"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 30 novembre 2011

Torino 2011: Day 5

Torino 2011: Day 5

Da sempre nel Torino Film Festival il momento della riscoperta è pari in importanza (se non addirittura superiore) a quello della scoperta tout-court, prova ne sia il ruolo sempre essenziale delle retrospettive. Nella quinta giornata questo doppio registro novità/memoria è diventato suo malgrado la traccia delle opere visionate. L'inizio è per Bereavement, opera quasi “autarchica” per come il regista Steven Meka si è arrogato quasi tutti i compiti (è sceneggiatore, produttore, montatore, autore delle musiche e degli effetti sonori nonché regista della seconda unità!). Si tratta di un horror ambientato negli anni Ottanta e che risponde a certe regole del non dimenticato survivalism, quel filone “cattivo” tipico dei decenni passati con assassini con un debole per la macellazione e donne in pericolo. Qui la dicotomia è complicata da un bambino che viene rapito dal killer di turno e “iniziato” alla violenza, in un percorso di formazione che alla fine non lascerà superstiti sul campo. L'incedere un po' disordinato e la regia che indulge nel manierismo sono i punti deboli di un'opera che però stupisce dal versante della durezza dei toni. Bello il cast, con i redividi Michael Biehn e John Savage, affiancati dalla bellissima Alexandra Daddario. Gli anni Ottanta si ritrovano anche nel bel Jess + Moss, evento congiunto di “Festa mobile” e “Onde”, che racconta l'estate di due giovani cugini (lei 18 anni, lui 12): i due esplorano l'ormai fatiscente casa dove era vissuta la famiglia di lei, e tale esperienza diventa un'avventura che dalle palpitazioni del presente giunge a un rapporto di confronto (e anche fascinazione) con il passato. Il regista Clay Jeter è molto bravo nell'elaborare visivamente i vari spunti, offrendoci un'opera affascinante e capace di rendere gli stati d'animo dei personaggi e i loro sentimenti contrastati attraverso gli splendidi scenari del Kentucky. Si va infine nel classico vero e proprio con due riproposte come Il mattatore di Dino Risi (nell'ambito dell'omaggio a Dorian Gray, scomparsa qualche mese fa) e il bellissimo Radio America, ultimo capolavoro di Robert Altman. Risi ci ricorda che in fondo l'italietta truffaldina del passato era già molto simile a quella che (con molta meno simpatia di quanto non susciti il grugno mascalzone di Vittorio Gassman) domina oggi le cronache; Altman invece compone il suo personale canto del cigno su una trasmissione radiofonica, ammantando la vicenda di un latente senso di morte che però proprio nella sua ora più oscura diventa specchio di una trascinante vitalità, e di un'ironia che corre sottotraccia regalandoci un film divertito e commovente. Nostalgia senza passatismi, insomma, come dovrebbe essere sempre nel cinema che vale la pena scoprire e riscoprire.

martedì 29 novembre 2011

Torino 2011: Day 4

Torino 2011: Day 4

Una delle mancanze che si avvertono al Torino Film Festival 2011 è quella del comodo servizio di navette che portava gli spettatori da un capo all'altro del percorso cinefilo, ovvero dal multisala Massimo all'altro grande luogo delle proiezioni (il cinema Ambrosio negli anni passati, il Reposi in questo): si è dunque costretti a “concentrare” le visioni tutte nella stessa area per evitare faticosi andirivieni e sarà anche per questo che la quarta giornata si è rivelata un autentico tour-de-force con spettacoli a distanza ravvicinata e senza un momento per tirare il fiato! D'accordo, ormai si è completamente “dentro” l'atto del macinare pellicole senza sosta, ma a un certo punto ci si sentiva come i poliziotti di Serbuan Maut – The Raid, il film che rappresenta l'Indonesia nel concorso lungometraggi e che si rivela un action a rotta di collo, con una squadra di teste di cuoio che danno l'assalto al palazzo dove vive un boss della mala. Si risolve tutto in una carneficina con gli abitanti del condominio che, armati di machete, si schierano con il “cattivo”, ingaggiando furiose battaglie. Al di là del ritmo e delle magnifiche coreografie di lotta (come non se ne vedevano da tempo), il film colpisce per la teorizzazione di una possibile società verticistica rappresentata dai piani del palazzo, dove ogni personaggio sogna la scalata come affermazione personale, in un mondo dove la corruzione ha eliminato ogni possibile status. Potrebbe diventare un cult, speriamo in una distribuzione ufficiale. Non dovrebbero invece esserci problemi per gli altri due americani di “Festa Mobile”, il canadese Wrecked e lo statunitense A Good Old Fashioned Orgy: il primo racconta le tribolazioni del sopravvissuto a un incidente d'auto. E' bloccato nell'abitacolo, affetto da amnesia e i pochi dati a sua disposizione lo classificano come ladro di banche. E questo è solo l'inizio. Lo spunto è intrigante, sebbene si situi nel solco di recenti opere come Buried o 127 ore e quindi il torto che il regista Michael Greenspan si fa è quello di non osare troppo, affidando tutto a una costruzione che lentamente lascia andare tutti gli incastri al posto giusto senza lasciare dubbi alle spalle. Merita comunque attenzione l'interessante andirivieni fra la realtà e le visioni del protagonista, che – seppur in modo un po' abbozzato – immergono lo spettatore in uno spazio mutevole e capace di aumentare il senso di smarrimento. Nella parte del protagonista fa piacere ritrovare il sempre partecipe Adrien Brody. Si cambia invece del tutto registro con il film di Alex Gregory e Peter Huyck, autori del David Letterman Show, che raccontano l'ultima estate di un gruppo di amici ultratrentenni, decisi a festeggiare l'evento con... un'orgia! In bilico fra goliardia e perbenismo, i due registi se la cavano, componendo un divertito affresco generazionale che nella ricerca di un ultimo sfogo di gioventù diventa un autentico rito di passaggio per i personaggi. Ne consegue che, sì, diversamente da quanto il moralismo americano possa far pensare, alla fine non solo l'orgia si tiene davvero, ma proprio questo permette ai nostri eroi di trovare la quadra delle rispettive vite! Niente male per una giornata che in fondo sin dalle prime battute si era connotata come irriverente: l'apertura mattutina era stata infatti tutta per Robert Altman con l'ancora perfettamente caustico M.A.S.H., fra le punte di diamante della sua retrospettiva.

lunedì 28 novembre 2011

Torino 2011: Day 3

Torino 2011: Day 3

Sarà che gli addobbi per i 150 anni dell'unificazione rimandano all'idea di Torino capitale, ma nella terza giornata di proiezioni la sensazione è quella di essere piuttosto in una capitale europea: Parigi innanzitutto, per le opere di Mathieu Amalric, Eugène Green e Woody Allen. Oppure la Londra della scoperta Joe Cornish, fino alla Spagna (ma Barcellona, e non Madrid) di Jaume Balaguerò. Visioni tutte entusiasmanti e che fanno spiccare il volo al festival, attraverso un mix di generi ed emozioni che rinnovano lo stupore e il sogno del rito davanti allo schermo. Amalric (solo regista) parte da una pièce di Corneille per il suo L'illusion Comique (presentato nella sezione "Festa Mobile"), dove un antico dramma di cavalieri e principesse è declinato al presente, mantenendo però il testo originale. Lo straniamento è raddoppiato dai sottotitoli che non rispettano il parlato in rima, costringendo lo spettatore a mantenere un rapporto vigile fra testo e significato: sicuramente la cifra teorica cara al regista ne guadagna, sebbene in modo non convenzionale. Il grande Balaguerò, invece, abbandona per un momento gli infetti di REC ma resta nello scenario di un condominio per il suo Mientras Duermes (sempre "Festa Mobile"), in cui il portiere Gérard perseguita un'inquilina infilandosi nottetempo fra le sue lenzuola: l'invasione dello spazio domestico non è una novità per il cinema spagnolo (viene alla mente l'ottimo El habitante incierto, di Guillem Morales) e Balaguerò è bravo a trasformare un canonico thriller in una parabola esistenziale che cerca l'empatia verso un personaggio sgradevole e in cerca di un posto nel mondo nonché di una ragione per esistere. Viene spontaneo il collegamento con gli sfortunati amanti del bellissimo Le pont des arts, di Eugène Green (protagonista dell'omaggio di “Onde”), che sulle arie di Monteverdi costruisce un melodramma sulla ricerca dell'amore nella vita e oltre la morte, dove musica, sogno e filosofia si intrecciano, ma non mitigano la cifra squisitamente emozionale che l'impossibile e struggente rapporto fra uno studente insofferente verso l'università e una cantante di musica barocca regala allo spettatore. Un film anche questo teorico nella sua costruzione visiva perfettamente geometrica, ma capace di slanci lirici profondamente toccanti e di un'ironia velata ma gustosa, che si insinua nei dialoghi e nelle caratterizzazioni dei personaggi. Non hanno invece bisogno di transitare verso altri luoghi, dimensioni o epoche i giovanissimi protagonisti della rivelazione franco-inglese Attack the Block (in Concorso Lungometraggi), decisi come sono a difendere con le unghie e i denti (o meglio con katane e mazze da baseball, ma c'è spazio anche per pistole ad acqua caricate a benzina!) il loro quartiere, teatro di un'invasione aliena. Il regista Joe Cornish (che è amico di Edgar Wright, con cui ha scritto il Tin Tin spielberghiano e che concede un cameo al grande Nick Frost) lo ha presentato come un incrocio fra Super 8 e 8 Mile, ma il suo film è soprattutto una intelligente e folle corsa in un immaginario capace di unire pochi mezzi a ottime trovate sceniche, con un ritmo scandito da dialoghi divertentissimi e una capacità di trasfigurare il clima da rivolte londinesi in uno scenario fantascientifico. Da noi uscirà per Filmauro, prendete nota. A tirare le somme giunge infine un Woody Allen in forma smagliante, che con il nuovo Midnight in Paris (ancora "Festa Mobile") porta un simpatico Owen Wilson a vivere parentesi di sogno in una Parigi che a mezzanotte si trasforma nella città degli anni Venti, frequentata da Fitzegerald, Picasso, Dalì e Hemingway: una fiaba dolce ma tutt'altro che assolutoria nei confronti della nostalgia che porta a incensare acriticamente il passato. Allen affronta questo intrigante spunto con la levità del giovane sognatore, ma anche e soprattutto con il pragmatismo e la maturità dell'uomo di esperienza, che sa infine tornare nel suo tempo. Come Torino alla fine della giornata torna a essere la bellissima città che da anni conosciamo, lasciandosi alle spalle le illusioni capitoline, ma mantenendo la concretezza dell'esaltante giornata di cinema che è stata capace di offrirci.

domenica 27 novembre 2011

Torino 2011: Day 2

Torino 2011: Day 2

Esattamente dieci anni fa, nel 2001, uno sciagurato incendio poneva fine all'edizione numero 19 e al rapporto di lungo corso fra il Torino Film Festival e il cinema Reposi: fa dunque piacere ritrovare la storica multisala, teatro quest'anno di buona parte delle proiezioni, a rinsaldare un legame antico e che respira dei nomi dei registi che su quegli schermi sono passati, da John Carpenter a George Romero. A questa rosa oggi possiamo aggiungere anche Sion Sono, che della seconda giornata di proiezioni è stato l'autentico mattatore, introducendo tre fra i suoi film più belli e complessi: Noriko's Dinner Table (2005), Strange Circus (2005) e il fluviale Love Exposure (2008), con le sue quattro ore di durata. Tre racconti molto diversi fra loro, ma in cui ricorrono i temi della famiglia, dei legami affettivi e della rappresentazione, per mettere in scena moderne tragedie in cui i personaggi affrontano ancora una volta il bisogno di affermare un'identità in un Giappone che non glielo permette. Che sia la forma del racconto personale (Noriko), dello spettacolo teatrale che mette in scena l'assurdo dell'esistere (Strange Circus) o di una scatenata commedia che sfocia nel puro mélo con intrecci persino religiosi (!) come in Love Exposure, sembra che questi personaggi debbano sempre affrontare un percorso difficile e che quasi sempre esclude il lieto fine. In definitiva si esce dalla proiezione quasi sempre devastati. Allo stesso modo non può esserci felicità nemmeno nell'ultimo lavoro del grande Werner Herzog, Into the Abyss, nuova incursione nel documentario per il regista tedesco, che qui affronta due detenuti e la cittadina texana teatro dei loro massacri e che per questo porterà uno dei due sul patibolo. La forma è stavolta più lineare e le inquietudini corrono in particolare sottotraccia, nella ripartizione di ruoli che però – a uno sguardo più attento – i personaggi tendono a non accettare (l'assassino che si dichiara innocente, il boia che rinuncia al suo ruolo) mettendo in scena anche in questo caso un'autentica rappresentazione del dramma della morte come meccanismo sociale sotto la cui apparente impeccabile forma aleggia un malessere (l'abisso del titolo) più profondo. Infine – ma è stata in realtà la proiezione mattutina - l'horror americano The Oregonian, di Calvin Lee Reeder (presentato in "Festa Mobile") con la sua protagonista che si risveglia ferita in un auto che ha sbandato e precipita in un vortice di allucinazioni. Il meccanismo, più che David Lynch, ricorda il mai troppo lodato Carnival of Souls, con una messinscena che tradisce in questo caso una povertà di mezzi capace però di far risultare in maniera anche più forte l'impatto di alcune scene visionarie. Alla fine si esce dalla visione con la sensazione di aver assistito a qualcosa di interessante. Certo, di fronte agli orrori del reale, il conforto del genere – per quanto inquieto – lascia quasi tirare un sospiro di sollievo. A suo modo anche questo è un lieto fine!

sabato 26 novembre 2011

Torino 2011: Day 1

Torino 2011: Day 1

Una delle tappe obbligate, quando si giunge a Torino, è il Museo del Cinema, che quest'anno vede la Mole Antonelliana addobbata nel segno di Robert Altman, protagonista della retrospettiva principale del TFF. Ma, al di fuori del ventaglio di proposte festivaliere, la Mole ospita anche la mostra “Amos Gitai: Architettura della memoria”, una installazione dedicata al regista israeliano (e curata direttamente dall'interessato) nell'inedita cornice dei sotterranei, aperti eccezionalmente al pubblico. Un'occasione da non perdere, specie quando si ha a disposizione l'intera mattinata, essendo le proiezioni del Day 1 concentrate interamente nel pomeriggio. E sono visioni decisamente forti e poco concilianti, se il primo spettacolo vede protagonista il Suicide Club che nel 2002 rivelò al mondo il talento di Sion Sono, protagonista assoluto della sezione “Rapporto Confidenziale”. Sfuggono i motivi per i quali un film così celebre sia mostrato soltanto oggi, peraltro con introduzione del regista che si toglie elegantemente il cappello davanti al pubblico e lascia che a parlare siano soprattutto le immagini forti dei suicidi giovanili veicolate da una mano misteriosa che determina il meccanismo thriller. Al di là della componente gore che si auto stempera in un tono abbastanza grottesco, il film è sentito e lacerante nel dipingere una società disgregata e che cerca valvole di sfogo in sottoculture pop (gruppi musicali in particolare): la visione diventa così un intrigante andirivieni tra i meccanismi tipici della società dello spettacolo e ambizioni autoriali che rendono il film molto più complesso di quanto non appaia inizialmente. Il Giappone ne emerge come una terra infelice, e a confermarlo arriva anche il bellissimo Hanezu no Tsuki, della grande Naomi Kawase, che apre le “Onde” della sezione sperimentale: il racconto di un triangolo amoroso diventa il pretesto per una riflessione malinconica sullo stratificarsi di tempi e memorie con i quali raccontare una terra osservata in inediti scorci di folgorante bellezza, dove una natura incontaminata e un rapporto anche fecondo che gli uomini intrattengono con essa non riesce a cancellare un malessere interiore che porta la possibile storia d'amore a naufragare. Laddove comunque il sentimento pone le sue basi, la Kawase offre scene di struggente dolcezza, regalandoci alla fin fine un anomalo melodramma. La proiezione è anticipata dal bel corto svedese Sent Pa Jorden/Late on Earth: accostamento riuscitissimo per lo sguardo anche qui immerso nei colori e, soprattutto, nei suoni di una natura dove scene proposte senza particolare soluzione di continuità offrono una sinfonia poetica e aggraziata. Torna – per contrasto – alla mente la cacofonia di suoni della mostra di Gitai, per ricordarci che fra le visioni di questa prima giornata è il sonoro (e la musica) ad averla fatta da padrone.

venerdì 25 novembre 2011

Torino 2011: Day 0

Torino 2011: Day 0

Torino finalmente, con il suo clima rigido ma per certi versi accogliente, così come calorosi nella loro compostezza sono gli applausi che accompagnano la pre-anteprima del festival, una sorta di “Giorno Zero” che anticipa e si completa nell'unica serata dedicata a Aki Kaurismaki e al suo Miracolo a Le Havre, da domani in tutte le sale: è la storia di un lustrascarpe della Normandia che si ritrova suo malgrado a dover badare a un ragazzo di colore, entrato clandestinamente in Francia e deciso a raggiungere la madre oltremanica. In mezzo anche il male che improvviso colpisce la moglie del protagonista e che costituisce una sorta di terzo personaggio, una metafora di quel dolore e quella mancanza che affliggono un mondo dove i valori di solidarietà, altruismo e comprensione sembrano scomparsi e si trovano ad essere incarnati dal più improbabile degli eroi, un vecchio squattrinato e “un po' bambino”, poetico eppure buffo nella sua delicata sensibilità: una figura trasversale nel suo approccio disincantato eppure mai urlato alla vita, capace per questo di far sentire inadeguato un mondo abituato allo scontro e al guardie contro ladri. In fondo è la stessa sensazione che si prova di fronte a Kaurismaki stesso e al suo approccio al cinema, una specie di “terra di mezzo” dove convivono le pressioni di un presente difficile e una sorta di desiderio per una fanciullezza perduta (frequenti risultano i richiami alle iconografie degli anni Cinquanta e Sessanta e a generi puri come il noir, incarnati nelle figure di improbabili poliziotti): fra lo straniamento della recitazione e i colori di una fotografia che dipinge splendidi contrasti fra i colori vivi delle strade e l'atmosfera più vissuta della città portuale, il vero miracolo il film lo fa raccontando la concretezza di un mondo ideale dove la salvezza è affidata agli ultimi. Il tutto mentre Kaurismaki, omone dall'apparenza burbera, conquista il pubblico annunciando serissimo di aver realizzato un film particolarmente brutto ma in realtà irresistibile, capace di affrontare la serietà del tema senza rinunciare al divertimento di mettere in scena una girandola di personaggi improbabili nella loro umanità. Se il buongiorno si vede dal mattino (o meglio, dalla serata) l'edizione 29 del Torino Film Festival si preannuncia gustosissima.

mercoledì 23 novembre 2011

Torino 2011

Torino 2011

Proprio mentre si chiudeva la valigia e ci si preparava a partire è arrivata la notizia tanto sorprendente quanto inaspettata: al già ricchissimo programma del 29° Torino Film Festival si aggiunge l'anteprima di Twixt, il nuovo film di Francis Ford Coppola. Mi sembra di tornare a un anno fa, quando lo stesso festival presentava per la prima volta in Italia The Ward di John Carpenter dopo che lo si era atteso invano in altre manifestazioni!

Ecco, il bello di essere sorpresi fino alla fine sta proprio in questa possibilità di vivere un'esperienza cinefila dove le certezze vengono allegramente sovvertite: alla soglia dei 30 anni, insomma, il più bel festival d'Italia è ancora quel “cinema giovani” degli esordi, per come si diverte a mescolare percorsi e a giocare tanto con il gusto della scoperta, quanto con quello della rivalutazione, quanto – naturalmente – con l'attesa per gli ultimi titoli dei maestri, come è giusto che sia.

Aspettiamoci dunque di essere sorpresi, di esplorare i percorsi delle varie sezioni, di riscoprire il talento di Robert Altman e Sion Sono, protagonisti di retrospettiva e “Rapporto Confidenziale”, e di analizzare anche l'opera di Eugene Greene nella sezione “Onde”.

Come sempre la domanda è: si riuscirà a seguire tutto? Finora la bulimia della proposta non ha impedito alla macchina di funzionare a dovere, lasciando anche il tempo di fugaci passeggiate nella splendida Torino, fra le sue vie e piazze che ricordano il cinema di Dario Argento.

L'edizione diventa anche il pretesto per inaugurare una nuova forma di resoconto festivaliero qui sul Nido, che verrà aggiornato quotidianamente con i sapori, le curiosità e le storie che transiteranno sullo schermo, nella speranza di far condividere l'interesse, l'entusiamo e le impressioni dall'interno. Ci si rilegge qui e ci si vede in sala!


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sabato 12 novembre 2011

Immortals

Immortals

Il Re Iperione giura vendetta contro gli dei che non hanno ascoltato le sue preghiere e hanno lasciato morire i suoi familiari tra atroci tormenti. Per questo intende schiacciare gli elleni e impossessarsi dell'Arco di Epiro, con il quale liberare i Titani. Zeus impedisce però agli dei di interferire con le faccende degli uomini, perché confida nella forza di Teseo, un giovane contadino senza padre che lui stesso ha educato, sotto le mentite spoglie di un anziano mentore. Così, quando Iperione uccide la madre di Teseo, il ragazzo promette vendetta. Teseo ha dalla sua un gruppo di ladri fatti prigionieri da Iperione e soprattutto Fedra, l'Oracolo della Sibilla, le cui visioni lasciano presagire un ruolo fondamentale nella battaglia per il giovane contadino.


Il ritorno alle atmosfere mitologiche da lungo tempo care al cinema americano, avviene attraverso lo sguardo trasversale di un visionario regista indiano che si avvale della collaborazione alla sceneggiatura di due greci. Questo particolare melting pot ben si adatta alla struttura apparentemente stolida di una vicenda che in realtà rimescola gli elementi originali del Mito per dare forma a un'opera curiosamente “porosa”, dove è possibile vedere in controluce molti altri titoli.

L'insieme assume quindi la caratura di una strana rivisitazione delle vecchie vicende già raccontate da Ray Harryhausen negli anni Settanta e, in particolare, sembra restituire dignità a quella vicenda dello Scontro di Titani, così ignobilmente maltrattata dal remake ufficiale di Louis Leterrier. Allo stesso tempo, è difficile non ritrovare, nelle coreografie plastiche e piene di effetti slow motion, la matrice forgiata dallo Zack Snyder di 300. Come a dire, insomma, l'estrema artigianalità del passato, coniugata con l'estrema attualità del cinema digitale.

Eppure l'opera di Tarsem, nel riverberare tutte queste influenze, non assomiglia davvero a nessuna di esse e riesce a trovare un suo respiro originale, lungo quella strana linea di confine che – fra kitsch e convinzione assoluta in ciò che fa – permette a una storia astrattamente ricercata nelle sue contaminazioni visive di ricondurre le sue pulsioni a sentimenti primari: la vendetta per l'omicidio della madre, il risentimento per il silenzio degli dei, il timore per la sorte degli umani e la fiducia nel loro campione.

Pertanto questo Immortals è davvero uno strano film, che riesce a trovare una sua particolare quadra pur nella diseguaglianza delle parti, dove la vicenda regge gli scossoni di uno sguardo che a volte sembra ricercare troppo l'estetizzazione, e si barcamena fra la necessità di mettere in scena momenti grandiosi e la ricerca di un baricentro narrativo che giustifichi quanto messo in campo. Una simile natura “oscillante” trova poi un corrispettivo nella scelta di raccontare il Mito riducendo al minimo l'elemento fantastico. A parte poche invenzioni strettamente “implausibili” (come l'arco di Epiro), infatti, il film rifugge completamente la componente fantasy vera e propria, non mostra creature fantastiche e laddove lo fa imprime un gusto realistico capace di rendere le stesse verosimili: il Minotauro, ad esempio, è un gigante con un copricapo a forma di toro, i cavalieri nemici sono tutti mascherati e sfigurati, ma la battaglia è principalmente fra uomini. Persino gli dei e i Titani, stante la loro natura extraterrestre, appaiono come figure umanoidi che combattono secondo proprie regole fisiche, in un modo che ben poco ha di fantastico e che lascia sul campo sempre il sangue. L'estrema stilizzazione del gesto che devasta le figure, non abdica dunque mai a un'idea di scontro che sia innanzitutto collisione di corpi estremamente concreti e anatomicamente coerenti con quello umano.

Tarsem tenta quindi di iscrivere non un'idea di fantastico nel reale, ma quella di un'epica che sia comunque riconducibile al principio fondatore della stessa: un'impresa di uomini, di creature realistiche che combattono, amano e sanguinano su uno scenario che, pur attraverso la fede in un altrove distante dalle faccende terrene, comunque mantiene lontano l'elemento mostruoso. Ecco dunque che, più che a Leterrier, forse dovremmo guardare al cinema storico-epico americano, alla Troy per intendersi.

Punto di vista privilegiato rispetto a questo fluire magmatico imbrigliato in una forma peraltro solenne e apparentemente impenetrabile, è dunque quello fornito da un personaggio non allineato, un contadino senza padre, frutto di una donna violentata da ignoti e educato da un dio: un personaggio che ritrova il suo senso di appartenenza rispetto a se stesso e al mondo attraverso lo scontro con il Caos di cui è portatore il nemico Iperione, secondo una dicotomia bene/male squisitamente classica.

Il suo sguardo disallineato trova poi una felicissima sintesi in un effetto 3D fra i migliori mai visti sullo schermo, che lavora e cesella ogni singola inquadratura regalando uno stordimento visivo che amplifica la capacità visionaria del regista: ogni figura, ambiente, spazio o elemento dilata in profondità le inquadrature, frappone ostacoli alla vista e permette allo sguardo dello spettatore di perdersi fra i dettagli disseminati in ogni dove, riscoprendo il gusto infantile per la meraviglia. Che poi è da sempre elemento fondamentale del Mito.


Immortals
(id.)
Regia: Tarsem Singh
Sceneggiatura: Vlas Parlapanides, Charley Parlapanides
Origine: Usa, 2011
Durata: 110'