"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 15 dicembre 2015

Le anime disegnate

Le anime disegnate

Le anime disegnate è un libro dalle molte vite. Il fatto che sia citato spesso prova quanto si sia guadagnato sul campo la statura di classico: in fondo ha più di vent'anni sulle spalle e rappresenta uno dei primi saggi a comparare l'animazione occidentale con quella orientale senza particolari complessi di superiorità o inferiorità da una parte e dall'altra. Allo stesso tempo, però, è un libro che, nel tempo, è stato sottoposto dal suo autore a svariate riedizioni e quindi è stato rivisto, cambiato e ampliato – qui prendo in analisi la terza edizione del 1998, edita da Castelvecchi, ma ce ne sono altre più recenti. La cosa in sé può apparire anche bizzarra, ma è sufficiente una lettura anche superficiale per rendersi conto che la struttura è abbastanza rapsodica: che non significa improvvisata, si badi.

Ci sono tre macrocapitoli: uno dedicato al genio di Walt Disney, uno alla natura controcorrente dei cortometraggi Warner Bros (che si allunga anche alla MGM e a Hanna & Barbera), per poi arrivare al Giappone. Su questa gabbia ben definita, si aprono poi le molte possibilità ispirate da una scrittura che, seppur molto lucida, sembra seguire il filo dei pensieri in modo molto colloquiale, come se nascesse dall'ispirazione del momento, interrompendosi, concedendosi digressioni, aprendo deviazioni più o meno brevi su punti che si vogliono comunque “fermare” in questo divertito ma mai futile viaggio nei mondi animati.

Ed è un libro che smentisce se stesso: nel senso che la tradizione ce lo ha tramandato come un libro quasi esclusivamente orientato alla difesa dei cartoon giapponesi. Ma invece tutto è ben distribuito, nella sua divisione del mondo. Certo, la parte “americana” dimostra una maggiore scioltezza, tipica di un argomento con cui si ha la dimestichezza data dalla lunga frequentazione e dalla saggistica già corposa. Quando si arriva al Giappone il percorso è chiaramente più impervio, nei primi anni Novanta è ancora un territorio poco noto: la scrittura si fa quindi più guardinga, attenta a rimettere anche in riga i pregiudizi fioccati nel decennio precedente, ma sempre con quel gusto per la scoperta che emerge prezioso, goloso, in tutte le pagine.

Così, le “anime” del titolo non sono semplicemente gli anime giapponesi, ma i pensieri che muovono i vari autori, alle varie latitudini, nella creazione di opere che sono anche riflesso di un sentire personale e universale. E' una storia culturale dell'animazione, affrontata con il piacere del collegamento fra punti altrimenti considerati distanti, dove si esalta spesso il gusto del paradosso. Ad esempio quello che vede la cultura occidentale profondamente distante e quasi fiera della propria differenza rispetto a quella orientale, eppure così attratta dalle storie prodotte nel lontano arcipelago (“Gli europei si sentono lontani anni luce dall'universo giapponese, dalla sua cultura, e dal suo stile di vita. Eppure […] il cartone giapponese ha proposto situazioni in cui i nostri ragazzi si sono riconosciuti e continuano a riconoscersi. Questo […] perché nei confronti della nostra infanzia la cultura occidentale, la nostra cultura, è molto più repressiva di quanto questa voglia riconoscere”).

Va da sé che, dunque, ci si sofferma meno sulla tecnica e più sugli aspetti sociologici e contenutistici, nell'ambito di un approccio comunque analitico, in grado di esaltare le differenze, ma anche i tratti in comune fra i vari universi. In fondo Le anime disegnate sembra voler dimostrare che tutto è figlio di valori universali e di una tecnica che, fra i vari cambiamenti del caso, persegue gli stessi scopi. Un libro agile come il suo piccolo formato, ma molto profondo, di cui si sente il bisogno, anche dopo due decadi, in un mondo che tende sempre a chiudere in recinti ciò che invece è pensato per abbattere barriere.
 
Le cover delle varie edizioni, dalla prima del 1994 (a sinistra) alla
più recente del 2005 (ultima a destra)

Le anime disegnate – Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi
di Luca Raffaelli
1994
Terza edizione, 1998
Castelvecchi, Roma
192 pagine
(attualmente il libro è nel catalogo Minimum Fax)

martedì 8 dicembre 2015

Animeland – Racconti tra manga, anime e cosplay

Animeland – Racconti tra manga, anime e cosplay

La storia è nota: l’arrivo dei cartoni animati giapponesi sulle nostre emittenti, alla fine degli anni Settanta, ha marcato un “prima” e un “dopo” nella storia del costume italiano, creando un legame fortissimo con un pubblico ben definito – principalmente quello dei più giovani, maggiormente attenti e ricettivi rispetto alla “novità”. Un amore che ha resistito al tempo e che ha assunto, negli anni, varie forme: c'è il collezionismo dei manga (i fumetti giapponesi), la costante visione degli anime (i cartoon appunto), e infine il cosplay, ovvero la pratica divertente e divertita di mascherarsi dal proprio personaggio preferito per partecipare alle manifestazioni dove inscenare i momenti più celebri dell’opera.

Quello che era iniziato come un semplice divertimento, magari da relegare ai soli anni d’infanzia, alla prova del tempo si è insomma dimostrato un enorme bacino di storie e forme. Di più: è il riflesso di una cultura lontana ma capace di farsi linguaggio universale, grazie alla forza espressiva del mezzo. Anime e manga vantano infatti uno stile dinamico e innovativo nell’uso delle tecniche visive, dove l'evocazione e la forza emotiva sopravanzano quel rispetto del verosimile più caro alle culture occidentali, donando all'esperienza un maggiore impatto immersivo. Da qui, a cascata, sono poi nati un fandom articolato e varie professionalità e competenze, come studiosi e critici della materia, nonché editori che si sono fatti carico di portare in Italia le più recenti produzioni.

A tutto questo è dedicato il documentario Animeland – Racconti tra manga, anime e cosplay, opera prima di Francesco Chiatante, che cerca di tracciare una mappa di questo composito universo, partendo dalle origini dell’invasione per poi inseguire le tracce sedimentate nell’immaginario italiano. Lo fa in due modi, attraverso i resoconti di “chi c’era” e le dichiarazioni di chi ha poi costruito a sua volta nuove forme, diventando parte della cultura popolare: attori (Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea), registi (Fausto Brizzi, Michel Gondry, Maurizio Nichetti), cantanti (Caparezza) solo per citarne alcuni, che compongono un mosaico affascinante.

Il racconto è fluviale e riesce replicare l'idea immersiva traghettando lo spettatore in un universo “altro”, ma familiare anche ai meno avvezzi, grazie alla capacità di fare appello a un bagaglio visivo-percettivo che è ormai percepito come globale e trasversale alle fasce d'età. Si parla insomma di Goldrake, Heidi, Candy Candy, Holly & Benji, Hayao Miyazaki ma poi il racconto si prende la libertà di concedersi i necessari detour, come a dire che quei titoli restano sicuramente dei punti cardine, ma non esauriscono il discorso in quanto singoli cascami di un tutto più grande e articolato: sono non il punto d'origine e d'arrivo, ma piuttosto la chiave per aprire la porta di un mondo più complesso. I bambini di ieri, quindi, sono diventati gli adulti di oggi e tutte queste storie e forme che hanno portato in dote sono diventate la via preferenziale per raccontare il percorso passato e definire le nuove tendenze del presente.

Ne emerge perciò un ritratto molto personale, che fa appello alla passione dell’autore, ma – esattamente come i lavori che racconta – diventa poi opera universale, capace di instaurare un dialogo con lo spettatore, affascinandolo con un’atmosfera fiabesca ma concreta per la specificità degli argomenti trattati. Un po' ricordo, insomma, un po' ricognizione documentata, grazie anche alle linee guida fornita da alcuni studiosi, primo fra tutti Luca Raffaelli, celebre saggista e qui elevato ad autentico “narratore” e voce critica di una generazione che ha deciso di affidarsi a questo flusso narrativo e visivo per definire la propria realtà.

Francesco Chiatante è un videomaker tarantino, montatore e autore di cortometraggi e documentari, ed è stato premiato per il suo backstage del film di Ivano De Matteo, I nostri ragazzi, al Festival del Cinema Città di Spello. Animeland è stato realizzato in piena indipendenza attraverso anni di ricerche, incontri con le varie personalità e un’impressionante mole di materiale iconografico, ed è stato infine presentato in anteprima mondiale al Roma Fiction Fest 2015. Su Siderlandia è possibile leggere la mia intervista al regista, sul film e la passione per anime e manga:

venerdì 4 dicembre 2015

Torino Film Festival 2015

Torino Film Festival 2015

Dal 20 al 28 Novembre si è rinnovato il rito della trasferta torinese per il festival del cinema, amatissimo e estremamente partecipato - quest'anno, nonostante il ritorno delle tre sale del Lux, le code hanno spesso lasciato fuori una parte del pubblico. Il programma può essere ben sintetizzato dalla retrospettiva Cose che verranno, dove si esplorava il futuro visto dal passato (attraverso i classici della sci-fi più o meno distopica), perché in effetti sappiamo bene che al festival è cara la tradizione del cinema, ma senza che questo faccia mai venir meno lo sguardo verso le nuove tendenze – e infatti, in un magnifico gioco di paradossi, la retrospettiva resta uno spazio “protetto” ma meno centrale che in passato.

Il segreto della fortunata ricetta torinese, in fondo, sta proprio in questo: non cambiare mai nell'impostazione generale, ma senza negarsi al contempo il piacere della novità. I percorsi si sono perciò articolati fra il classico Concorso (dove ha vinto Keeper, di Guillame Senez); la macro-sezione Festa Mobile, trasversale alla proposta dei nuovi titoli di autori consolidati e piccole grandi scoperte; i percorsi monografici su Orson Welles (per il suo centenario), Julien Temple e Terence Davies; la sezione più “di genere” e “dark” After Hours; e infine, ma non ultime, le Onde di Massimo Causo e Roberto Manassero con il cinema sperimentale e di ricerca.

Torino resta quindi un faro per il cinema di qualità, senza le tentazioni dell'evento mondano fine a se stesso, ma è ugualmente capace di attirare le masse e di produrre il divertimento: lo stesso direttore Emanuela Martina ha sempre concluso ogni annuncio con un augurale “Buon divertimento”, diverso dal più classico “buona visione” e la sfumatura non è da poco. A proposito di divertimento, va segnalata quest'anno la novità della Notte Horror, maratona della sezione After Hours proseguita fino all'alba con tanto di distribuzione di cornetti, cola e caffè per i più irriducibili (il sottoscritto non poteva naturalmente mancarla!).

Qui di seguito (dopo il salto) brevi schedine di alcuni fra i titoli più interessanti visti o riscoperti al festival, nella speranza che siano prima o poi distribuiti regolarmente in Italia: