Torino 2011: Day 2
Esattamente dieci anni
fa, nel 2001, uno sciagurato incendio poneva fine all'edizione numero
19 e al rapporto di lungo corso fra il Torino Film Festival e il
cinema Reposi: fa dunque piacere ritrovare la storica multisala,
teatro quest'anno di buona parte delle proiezioni, a rinsaldare un
legame antico e che respira dei nomi dei registi che su quegli
schermi sono passati, da John Carpenter a George Romero. A questa
rosa oggi possiamo aggiungere anche Sion Sono, che della seconda
giornata di proiezioni è stato l'autentico mattatore, introducendo
tre fra i suoi film più belli e complessi: Noriko's Dinner Table
(2005), Strange Circus (2005) e il fluviale Love Exposure
(2008), con le sue quattro ore di durata. Tre racconti molto diversi
fra loro, ma in cui ricorrono i temi della famiglia, dei legami
affettivi e della rappresentazione, per mettere in scena moderne
tragedie in cui i personaggi affrontano ancora una volta il bisogno
di affermare un'identità in un Giappone che non glielo permette. Che
sia la forma del racconto personale (Noriko), dello spettacolo
teatrale che mette in scena l'assurdo dell'esistere (Strange
Circus) o di una scatenata commedia che sfocia nel puro mélo con
intrecci persino religiosi (!) come in Love Exposure, sembra
che questi personaggi debbano sempre affrontare un percorso difficile
e che quasi sempre esclude il lieto fine. In definitiva si esce dalla
proiezione quasi sempre devastati. Allo stesso modo non può esserci
felicità nemmeno nell'ultimo lavoro del grande Werner Herzog, Into
the Abyss, nuova incursione nel documentario per il regista
tedesco, che qui affronta due detenuti e la cittadina texana teatro
dei loro massacri e che per questo porterà uno dei due sul patibolo.
La forma è stavolta più lineare e le inquietudini corrono in
particolare sottotraccia, nella ripartizione di ruoli che però – a
uno sguardo più attento – i personaggi tendono a non accettare
(l'assassino che si dichiara innocente, il boia che rinuncia al suo
ruolo) mettendo in scena anche in questo caso un'autentica
rappresentazione del dramma della morte come meccanismo sociale sotto
la cui apparente impeccabile forma aleggia un malessere (l'abisso del
titolo) più profondo. Infine – ma è stata in realtà la
proiezione mattutina - l'horror americano The Oregonian, di Calvin Lee Reeder (presentato in "Festa Mobile") con
la sua protagonista che si risveglia ferita in un auto che ha
sbandato e precipita in un vortice di allucinazioni. Il meccanismo,
più che David Lynch, ricorda il mai troppo lodato Carnival of Souls, con una messinscena che tradisce in questo caso una
povertà di mezzi capace però di far risultare in maniera anche più
forte l'impatto di alcune scene visionarie. Alla fine si esce dalla
visione con la sensazione di aver assistito a qualcosa di
interessante. Certo, di fronte agli orrori del reale, il conforto del
genere – per quanto inquieto – lascia quasi tirare un sospiro di
sollievo. A suo modo anche questo è un lieto fine!
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