tag:blogger.com,1999:blog-87544394872618327122024-03-13T13:11:02.796+01:00Il nido di RodanAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.comBlogger502125tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-67645504367372105872018-01-25T19:02:00.001+01:002018-01-25T19:04:31.602+01:00Mickey – Uomini e Topo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-2fwYOqHG8Jo/WmoaM__aEMI/AAAAAAAADXc/yBQESSzOYSMDTIrjsmLqa1if3AaBcrGYACLcBGAs/s1600/mickeycover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="364" height="400" src="https://4.bp.blogspot.com/-2fwYOqHG8Jo/WmoaM__aEMI/AAAAAAAADXc/yBQESSzOYSMDTIrjsmLqa1if3AaBcrGYACLcBGAs/s400/mickeycover.jpg" width="291" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
Una chiacchierata al bar: così Tito
Faraci definisce nelle prime righe questo suo bel libro dedicato a
Topolino, testata (e personaggio) per cui scrive dagli anni Novanta.
L'intento è confermato dal tono colloquiale di alcune parti, che si
alternano però ad altre in cui la lucidità dello sceneggiatore
mette in riga concetti e pensieri con un'ordine che fa pensare più
alla saggistica che alla semplice chiacchierata. È un po' la stessa
separazione che si crea fra il personaggio e la sua testata, fra i
momenti in cui Faraci ci parla del “suo” Mickey come esistesse
davvero, avallando la sospensione d'incredulità dell'appassionato
che in fondo crede sempre che i suoi eroi siano reali; e i passaggi
in cui entra invece nei meccanismi dello scrivere, che in un certo
qual modo svelano la finzione, ma senza demistificare, perché tutto
in fondo è pensato per esaltare il piacere dell'atto creativo.</div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
La struttura a capitoli molto serrati
(25, contando anche introduzione e intermezzi, per poco meno di 140
pagine di testo) affastella ricordi e considerazioni, cercando una
traccia ben definita, ma concedendosi il piacere della
distrazione/divagazione, che ci riporta all'idea della chiacchierata:
in effetti, quello che rivelano le pagine è che <i>Mickey – Uomini
e Topo</i> è una sorta di Zibaldone in cui dialogano l'autore e
l'appassionato. Che Faraci ami Topolino traspare in maniera indubbia,
non solo perché il libro, dichiaratamente, vuole spiegare chi <i>sono</i>
Mickey Mouse - per lui ne esistono “<i>almeno un paio. C'è il
primo, quello dei cartoni animati. E c'è quello attuale, dei
fumetti</i>” - ma anche perché difende molte scelte (editoriali e
non) che nella vulgata corrente sarebbero da considerarsi impopolari.
Prima fra tutte la presunta “antipatia” di Topolino, contrapposta
alla “simpatia” di Paperino, fino al nodo dei limiti imposti
dalla testata su cosa si può e non si può rappresentare –
essenzialmente il divieto su violenza e temi scabrosi.</div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
Il Faraci autore, dal canto suo,
sottolinea la versatilità del personaggio – che la sua generazione
ha in larga parte contribuito a svecchiare - pur all'interno di una
serie di regole molto ben codificate, che gli consentono quella
universalità riconosciuta a varie latitudini. Anche e soprattutto
quelle italiche dove si creano la maggior parte delle storie a
fumetti (“<i>Abbiamo delle responsabilità, noi autori italiani,
nei suoi confronti</i>”). Si crea così un contrappunto con la
struttura libera eppure ben definita del libro stesso. Faraci
racconta perciò il rinnovamento della testata dagli anni Novanta,
fornendo interessanti retroscena sul lavoro redazionale, e analizza
alcune storie topiche del suo percorso, da <i>Dalla parte sbagliata</i>,
sul rapporto di contrapposizione/amicizia impossibile fra Topolino e
Gambadilegno, a <i>La lunga storia del commissario Manetta</i>, sul
celebre detective del commissariato di Topolinia – entrambe le
storie si possono leggere su <i>Topolino Black Edition</i>, compendio
che raccoglie alcune fra le più rappresentative storie gialle del
topo, firmate da Faraci, ecco la cover:</div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-VdwGVussV9g/WmoakszaulI/AAAAAAAADXg/OYOme3ARKawHl55HMAVK-N9yY7go3VvRACLcBGAs/s1600/topolinoblackedition.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="366" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-VdwGVussV9g/WmoakszaulI/AAAAAAAADXg/OYOme3ARKawHl55HMAVK-N9yY7go3VvRACLcBGAs/s320/topolinoblackedition.jpg" width="234" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
L'autore entra poi nei meccanismi
stessi della narrazione, rivolgendosi chiaramente a un pubblico che
conosce il personaggio, ma magari non ha una familiarità più
allargata con il mezzo-fumetto in sé, arrivando anche a un esempio
diretto con un confronto sceneggiatura/tavola finita nella seconda
metà del volume.</div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
In un passaggio particolarmente
interessante, Faraci, punta inoltre l'indice contro i lettori adulti
“<i>che vogliono sempre la stessa sbobba</i>”, costringendo
quindi i personaggi a una perenne immobilità. A questa contrappone
la curiosità imperante fra i bambini, lettori ideali anche e
soprattutto perché capaci di cogliere le iniezioni di novità di cui
gli autori cercando continuamente di farsi carico. Fra le spiegazioni
e le puntualizzazioni del caso, insomma, Faraci racconta se stesso e
i lettori, da quelli della prima ora ai neofiti, e riesce a farci
capire i punti di forza di un personaggio e un periodico che è
sempre stato capace di dare forma a un intrattenimento popolare, ma
colto. Un po' come il suo autore che nel corso della trattazione
sembrerà anche intraprendere strade molto lontane dal tema, citando
opere distantissime dalla tradizione disneyana, per poi recuperare
sempre il filo. In questo senso, la lettura si rivela utile e
divertente. Proprio come un buon numero di <i>Topolino</i>.</div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Mickey – Uomini e Topo</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Tito Faraci</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<b>add editore, collana Incendi</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Prima edizione, Novembre 2016</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<b>144 pagine, 12 euro</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<b><br /></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.addeditore.it/catalogo/tito-faraci-mickey/" target="_blank">Il libro sul sito dell'editore</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-74332137606083712682017-05-30T10:55:00.000+02:002017-05-31T12:18:07.187+02:00Dieci anni nel paese delle meraviglie<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Dieci anni nel paese
delle meraviglie</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-L3x4vakGnrc/WS0xbvYGPgI/AAAAAAAADQk/O_UMEVCIvvEmsKAo1RNuEMVuBD27acYLQCLcB/s1600/dieciannimeraviglielibro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="349" height="400" src="https://4.bp.blogspot.com/-L3x4vakGnrc/WS0xbvYGPgI/AAAAAAAADQk/O_UMEVCIvvEmsKAo1RNuEMVuBD27acYLQCLcB/s400/dieciannimeraviglielibro.jpg" width="279" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'uscita del libro di
Alberto Ferrarese, scritto insieme ai figli Lapo e Niccolò e
finanziato attraverso una fortunata campagna di crowdfunding, è
stata accolta in Rete con molto interesse, anche per la sua capacità
di andare a coprire un vuoto editoriale nella pur corposa saggistica
relativa all'immaginario “anni Ottanta” - virgolette d'obbligo
per sottolineare <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2016/05/per-il-potere-di-grayskull.html">ancora una volta</a> come questa definizione copra in
realtà un periodo molto più grande. Il motivo di tale mancanza, va
da sé, è prettamente economico: se, infatti, il cinema, i fumetti,
i libri e l'animazione restano per loro natura transgenerazionali e
capaci di mantenere la fidelizzazione con il pubblico lungo le varie
età della vita (leggasi: di poter continuare a generare profitto per
chi li produce), per definizione i giocattoli sono relegati alla sola
sfera infantile e quindi, una volta traslati sull'età adulta,
restano isolati a discorsi nostalgici di nicchia, utili per lo più
alla produzione di cataloghi fotografici. O per lo meno questa è la
valutazione corrente, evidentemente da ripensare alla luce del
successo dell'operazione e del business che ormai ruota intorno al
concetto di nostalgia: è insomma l'inizio di un trend editoriale
legato al giocattolo? Al tempo ogni sentenza, qui ci limitiamo a
constatare che l'argomento interessa nella misura in cui ci permette
di affrontare un discorso sempre più completo sulle trasformazioni
dell'immaginario pop negli ultimi decenni.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il volume in questione
racconta quindi l'esperienza professionale di Ferrarese nel decennio
1976-1986 e il lavoro della sua agenzia pubblicitaria Phasar, che si
è occupata di pianificare, definire e portare avanti il lancio e le
campagne pubblicitarie italiane dei prodotti distribuiti dal
consorzio Gruppo Italiano Giocattoli, più noto come Linea GIG.
Quindi ecco rievocati brand famosi come Playmobil, Micronauti,
Diaclone, Transformers (o meglio “Trasformer”, e nel volume è
ben spiegata la differenza), Pelocaldo e altri ancora, e la loro
“invasione” delle case italiane attraverso le campagne
orchestrate in particolare attraverso gli spot televisivi e le
pubblicità sul magazine di Topolino – il blog dell'amico Apreda ha
persino dedicato una <a href="http://docmanhattan.blogspot.it/search/label/Pubblicit%C3%A0" target="_blank">rubrica apposita</a> a queste pagine del periodico
disneyano.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-jxofuBcBGlU/WS0xn7VDeTI/AAAAAAAADQo/wlQuqT0wzjQ9R3u4Wm4UZfkPvbkbkLh2QCLcB/s1600/gig.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="250" data-original-width="400" height="200" src="https://2.bp.blogspot.com/-jxofuBcBGlU/WS0xn7VDeTI/AAAAAAAADQo/wlQuqT0wzjQ9R3u4Wm4UZfkPvbkbkLh2QCLcB/s320/gig.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il libro, poderoso nella
mole e corposo nei contenuti, è abile nello stabilire un particolare
rapporto empatico con il lettore: da un lato, infatti, si offre con
la forza impressionante dei numeri elencati con orgoglio nella quarta
di copertina, che sottolineano la ricerca attenta portata avanti
dagli autori per fornire un quadro il più completo possibile
dell'epoca e delle campagne di Phasar, attraverso interviste alle
figure interessate e ricerche d'archivio; a questa scelta oppone poi,
con intelligenza, una narrazione in prima persona, che scansa il
rischio dell'opera fredda e compilativa, per dare forma invece a una
sorta di diario, capace di instaurare un dialogo con il lettore che
ricorda e rievoca le pubblicità via via elencate nel testo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il viaggio nel Paese
delle Meraviglie (come da slogan del consorzio) inizia così con un
attento resoconto dell'esperienza umana di Ferrarese, dagli anni
giovanili dominati dalla passione per la musica – poi tornata utile
per la realizzazione dei vari jingle pubblicitari – alla creazione
di Phasar, fino al rapporto professionale con Gianfranco Aldo Horvat,
presidente di GIG. La narrazione è attenta a restituire, attraverso
una fitta aneddotica, un ritratto profondamente umano delle
lavorazioni, senza però abdicare all'intento informativo: pertanto,
ferma restando la godibilità del testo, il lettore è messo nelle
condizioni di entrare nei meccanismi della realtà pubblicitaria e
delle strategie comunicative utili a “vendere” un prodotto.
Chiaramente l'intento commerciale prescinde dal valore dei singoli
prodotti, ma Ferrarese è onesto nelle valutazioni e rivendica la
natura creativa delle sue campagne, volte a esaltare il valore
formativo del giocattolo in quanto mezzo capace di liberare la
fantasia dei più piccoli. Il concetto di “meraviglia” promesso
dal marchio GIG, insomma, è stato, nelle dichiarazioni dell'autore,
la linea guida che ha permesso al consorzio italiano di farsi
promotore di un giocattolo (e di una promozione) di qualità.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-93guWAYDiH8/WS0x7mMV5SI/AAAAAAAADQs/AmVU8ZV_9Bk2aQmjZOYk2Jknbg-yqkgqQCLcB/s1600/trasformergigphasar.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="360" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-93guWAYDiH8/WS0x7mMV5SI/AAAAAAAADQs/AmVU8ZV_9Bk2aQmjZOYk2Jknbg-yqkgqQCLcB/s320/trasformergigphasar.jpg" width="230" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Pubblicità Trasformer su Topolino, dalla pagina FB del libro - © Phasar</td></tr>
</tbody></table>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La seconda parte del
volume, la più ampia, passa in rassegna i principali brand importati
da GIG, divisi in due categorie: i prodotti “strategici”, pensati
cioè per uno sfruttamento di lungo periodo, e quelli “tattici”,
utili per riempire i mesi di vuoto fra un titolo più forte e il
successivo. Per ogni linea vengono spiegate le scelte fatte per il
lancio italiano, sono elencate le pubblicità di Topolino (con tanto
di numero di ogni prima uscita), fino al commento, sequenza per
sequenza, dei vari spot televisivi. L'apparato iconografico è pure
molto ricco, con foto di dimensioni ridotte e in bianconero, che
hanno un intento non tanto collezionistico, quanto meramente
esplicativo. In chiusura troviamo infine i bozzetti originali a
colori delle principali campagne orchestrate dall'agenzia fiorentina.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La prima parte è senza
dubbio la più interessante, per la panoramica generale e completa
della storia di Phasar e GIG, dalla nascita del consorzio fino alla
sua chiusura e alla tragica fine di Horvat, e per le motivazioni
creative e commerciali già enunciate; la seconda è più
specialistica e visibilmente pensata per ovviare alla mancanza dei
supporti visivi, ma solo chi ha visto realmente gli spot potrà
comprendere bene le scelte effettuate da Phasar, per gli altri la
ricognizione rischia di risultare un po' pedante. In effetti
un'alternativa poteva essere quella di allegare un DVD in modo da
snellire parte del volume, che con le sue circa 600 pagine sembra
allinearsi a una certa tendenza attuale a produrre opere <i>extralarge</i>:
ma forse è l'unico modo possibile per solleticare, con la sua
tensione “completista”, il pigro pubblico abituato a trovare in
rete le informazioni di cui ha bisogno. In questo caso, ovviamente,
nessun motore di ricerca potrà rimpiazzare un racconto così di
prima mano, perché redatto da chi quel periodo e quel settore ha
praticamente contribuito a crearlo e a renderlo, evidentemente,
memorabile.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Dieci anni nel Paese
delle Meraviglie: La pubblicità per Linea GIG dal 1976 al 1986</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Di Alberto Ferrarese,
Lapo Ferrarese, Niccolò Ferrarese</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Phasar Edizioni,
Dicembre 2016</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>584 pagine, 35 euro</b><br />
<b> </b></div>
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/MqfoQcpfTAs" width="560"></iframe>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.dieci-anni-nel-paese-delle-meraviglie.it/" target="_blank">Sito del libro</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.facebook.com/Dieci.Anni.nel.Paese.delle.Meraviglie" target="_blank">Pagina Facebook del libro</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.phasar.it/" target="_blank">Sito di Phasar</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/GiG" target="_blank">GIG su Wikipedia</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.albertoferrarese.it/" target="_blank">Sito di Alberto Ferrarese</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-85511102297924788442017-03-30T17:22:00.000+02:002017-03-30T17:22:04.489+02:00Il manga: Storie e universi del fumetto giapponese<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Il manga: Storie e
universi del fumetto giapponese</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-swRnEX5Cxwc/WN0igbs9DaI/AAAAAAAADOM/ntx_gNl_45Q_8xp-fagkoGf4bgr6hxeeQCLcB/s1600/ilmangabouissou.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-swRnEX5Cxwc/WN0igbs9DaI/AAAAAAAADOM/ntx_gNl_45Q_8xp-fagkoGf4bgr6hxeeQCLcB/s1600/ilmangabouissou.jpg" /></a></div>
Difficile, in Italia,
tentare un confronto sereno sul fumetto giapponese, per molti motivi:
in primo luogo per l'impressionante mole di materiale prodotto lungo
i vari decenni nell'Arcipelago, e per una forma di mercato
organizzato secondo una tale logica industriale da travalicare le
facili classificazioni all'Occidentale. Il manga di per sé è
infatti diviso in pubblici specifici, generi codificati, ma allo
stesso tempo è “aperto” a contaminazioni che finiscono
naturalmente per andare oltre gli incasellamenti imposti dal rispetto
delle regole tradizionali.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Come se non bastasse, a
queste motivazioni intrinseche del mezzo si unisce la particolare
dicotomia di un pubblico italiano diviso fra la passione smodata dei
cultori, che nell'esaltazione acritica ne deprimono le reali
potenzialità rinchiudendole in una fruizione totalmente
autoreferenziale; e la diffidenza degli osservatori più distaccati,
che appiattiscono il dibattito su sterili confronti con il fumetto
occidentale e con la sua presunta maggiore levatura “artistica”,
il tutto, <i>ca va sans dire</i>, in un'ottica di assoluta
generalizzazione. A corollario possiamo aggiungere anche il rapporto
di minoranza che il fumetto nipponico patisce rispetto
all'animazione, che per prima ha determinato l'<i>imprinting</i>
delle storie giapponesi sulla società italiana e europea.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il saggio di Jean-Marie
Bouissou arriva quindi a colmare un vuoto critico sintetizzato da
queste problematiche e lo fa in maniera assolutamente mirabile.
L'autore, pur non nascondendo la sua passione per la materia, incarna
alla perfezione un punto di vista decentrato quale può essere quello
di un europeo adulto (è sulla sessantina), perfettamente consapevole
della sua storia e della sua cultura, che si confronta in modo
fecondo con una forma espressiva <i>altra</i>, cogliendone in questo
modo il variegato insieme di peculiarità.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Bouissou, infatti, riesce
a riassumere le fasi storiche che hanno visto il manga evolversi nel
corso del tempo, e ne coglie le caratteristiche espressive e
commerciali con una sagacia che gli permette, spesso, di sovvertire
alcune ipotesi ormai diventate materia corrente nella vulgata
contemporanea. In particolare, l'autore riconduce la presunta
“sconcezza” delle storie disegnate alla matrice popolare di un
Giappone che “<i>adorava le grandi sceneggiate e i fiumi di
lacrime, i fantasmi con le catene e il sesso, il piacere e il dramma
in tutte le loro forme. Un Giappone che non amava nulla più che […]
andare in giro per le strade portandosi appresso dei falli giganti
durante le feste popolari e religiose</i>”. Un lato ormai
dimenticato e ridimensionato dal confronto con l'Occidente - avvenuto
attraverso l'abolizione della politica isolazionista prima e
l'occupazione americana all'indomani della Seconda Guerra Mondiale –
che quindi trova oggi espressione unicamente in queste forme
artistiche.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Si può già notare come
Bouissou prediliga una forma critica che unisce all'esplorazione
delle caratteristiche tipiche del fumetto nipponico in tutte le sue
principali articolazioni, una lucidità storica che gli permette di
ricondurre ogni stilema al particolare sentire della nazione,
conseguente il suo rapporto con il mondo: iscritto geograficamente in
un'area già oltre l'Asia e non ancora in Occidente, il Giappone vive
un difficile rapporto identitario con se stesso e con il mondo, che
se da un lato gli permette quella versatilità rimarcata in
precedenza, ne fa d'altra parte il territorio di costante
elaborazione di una problematicità evidente nelle sue storie. Per
questo motivo, se Bouissou riesce a centrare molto bene i meriti del
manga, allo stesso tempo ne evidenzia anche i limiti, ovvero la
tendenza sotterranea a una generale standardizzazione volta a
esaltare sempre il rispetto dell'esistente e il mantenimento dello
status quo. Anche quando spinge l'acceleratore su quella violenza e
quella volgarità subito percepita in Occidente come tratto
distintivo e che invece è da contestualizzare in una più ampia
casistica di attenuanti che il saggio in questione enumera con
straordinaria franchezza.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il volume si presenta
così diviso in tre principali sezioni: una storica (<i>Storia del
manga</i>), che passa in rassegna il percorso compiuto dal fumetto,
dalle origini alla nascita del manga moderno nel primo dopoguerra,
mostrandone la capacità di intercettare le spinte contestatarie
negli anni Sessanta e Settanta, fino al raggiungimento dello status
di mezzo di diffusione di massa e alla più recente crisi. La seconda
parte (<i>Comprendere il manga</i>), entra invece nel merito delle
scelte espressive e dei generi, partendo proprio dalle superficiali
percezioni degli osservatori occidentali sui fumetti “disegnati
male” e sulla loro natura eccessiva, creando anche interessanti
collegamenti con la fiaba e la psicanalisi. In questo senso, Bouissou
non teme di utilizzare anche moduli analitici tipicamente
occidentali, ma la lucidità e il rispetto dimostrato nei confronti
della materia gli permettono di evitare qualsiasi
decontestualizzazione.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'ultima parte (<i>Il
mondo secondo i manga</i>) passa infine in rassegna i vari filoni e
generi, con le più interessanti argomentazioni sull'espressione
della sessualità, che pure esprimono la dicotomia fra una morale
sociale orientata a contenere gli slanci fisici e le pulsioni
vitalistiche destinate a emergere con i progressivi cambiamenti
sociali (“<i>Specchio fedele delle evoluzioni della società e
della mentalità, il manga non ha smesso di riflettere le
trasformazioni della mascolinità e della femminilità nipponici e
l'evoluzione della relazioni tra i due sessi che si cercavano e si
avvicinavano con tanto desiderio quanta goffaggine, a mano a mano che
crollava il muro che il rigido confucianesimo dell'epoca Edo aveva
eretto tra loro</i>”).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un ulteriore punto di
forza del lavoro di Bouissou è lo stile, che rende la lettura
estremamente scorrevole, quasi “appassionante” e capace perciò
di andare oltre i rigidi steccati del fandom per rivolgersi anche ai
neofiti, che sicuramente troveranno ampie argomentazioni per
esplorare questo variegato universo. Ricco come un manuale e profondo
come un'indagine storico-sociologica, <i>Il manga</i> è arricchito,
nell'edizione italiana, da un ricco apparato iconografico e da
un'introduzione di Marco Pellitteri che, sebbene troppo radicale nel
suo differente approccio accademico, fornisce un'utile panoramica
d'insieme sul lavoro di Bouissou, offrendone un'ulteriore lettura
alla luce della situazione italiana (Paese che, va ricordato,
possiede la comunità di cultori più vasta al di fuori della
madrepatria). Ulteriore motivo che rende il saggio esaustivo e
assolutamente imperdibile.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Il manga: Storia e
universi del fumetto giapponese</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Jean-Marie Bouissou</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>2011</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Edizioni Tunué,
Latina</b></div>
<b>400 pagine</b><br />
<br />
<a href="http://www.tunue.com/it/lapilli-giganti/152-il-manga.html" target="_blank">Il libro sul sito dell'editore</a><br />
<a href="https://fr.wikipedia.org/wiki/Jean-Marie_Bouissou" target="_blank">Jean-Marie Bouissou su Wikipedia France</a>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-48438951058205719762016-08-23T16:52:00.000+02:002016-08-23T16:52:43.708+02:00Monnezza amore mio<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Monnezza amore mio</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-5fc2mHjEJz8/V7xi3Le3rlI/AAAAAAAADIc/0nRpiRR0Cc4I9KDCHQYNCUW-ru6d_e5nwCLcB/s1600/monnezzaamoremio.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-5fc2mHjEJz8/V7xi3Le3rlI/AAAAAAAADIc/0nRpiRR0Cc4I9KDCHQYNCUW-ru6d_e5nwCLcB/s320/monnezzaamoremio.jpg" width="211" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
“<i>A me Tomas non
piace, mentre Monnezza sì. Tomas è vulnerabile, ingenuo, timido,
Monnezza è coraggioso, saggio, estroverso. L'unica cosa che abbiamo
in comune è il senso dello humor.</i>” Non può esistere migliore
sintesi di questa per approcciarsi a questa biografia scritta da
Tomas Milian, in collaborazione con Manlio Gomarasca, culmine di
quella che era nata come un'intervista (mai pubblicata) e che ha poi
assunto la forma di una tela di Penelope, rinviata e limata
all'infinito sino all'uscita nelle librerie, in concomitanza con il
ritorno a Roma dello stesso Milian nel 2014, per ricevere il premio
Marc'Aurelio alla carriera dalla Festa del Cinema.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nelle pagine del libro
c'è infatti Tomas che racconta la sua vita, dall'infanzia a Cuba,
segnata dal drammatico suicidio del padre (di cui il giovane e futuro
attore fu diretto testimone), la voglia di fuggire dal contesto borghese di nascita, l'amore per la recitazione sulle orme di James Dean, fino agli anni del successo romano e
della tarda carriera americana quando, con un gesto decisamente
coraggioso, Milian abbandonò il sicuro approdo italiano per
reinventarsi come caratterista hollywoodiano e ricominciare così
daccapo. La storia è in effetti quella di continui re-inizi, e
continue reinvenzioni del proprio sé, sul set e nella vita,
raccontata con ricchezza di aneddoti e senso dell'umorismo, ma senza
risparmiare nulla sulle parentesi più drammatiche. Su tutto domina
il dualismo fra Tomas e il suo alter ego cinematografico, lo
sfrontato Monnezza, sia nell'originaria forma del ladro che in quella
più tarda dell'ispettore di Polizia – che sarebbe Nico Giraldi,
anche se Milian chiarisce una volta per tutte che il personaggio <i>è</i>
Monnezza, a livello progettuale e di fatto, anche se non fu possibile
usare il nomignolo per problemi di diritti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Così Tomas racconta e
Monnezza spesso interviene nella narrazione con i suoi commenti
sfrontati e a tratti demistificatori, inscenando un finto dialogo fra
le due facce della stessa personalità, e riverberando quel tema
della “maschera” che ricorre in tutta la narrazione: maschere
sono infatti quelle che l'attore usa per assumere di volta in volta
nuove identità sul palcoscenico, ma la maschera (in senso figurato)
è anche il filtro con cui Milian “recita” la sua vita, in base
alle aspettative proprie e altrui – subito dopo il suicidio del
padre, Tomas spiega di aver “recitato” il suo dolore, come ci si
sarebbe aspettato da lui, che era invece rimasto completamente
svuotato dal gesto: “Stavo <i>recitando</i>. E da quell'istante
recitare, per me, è diventato l'equivalente di <i>mentire</i>,
<i>ingannare</i>.”</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sarà anche per questo
che il distacco finto e un po' sornione con cui l'attore rievoca
divertito i vari passaggi della sua esistenza possono apparire come
un'ulteriore maschera: lo stile è piacevole e attento a dosare le
parti ironiche con quelle più problematiche, ma nel complesso il
ritratto non appare mai forzato perchè Milian rivendica una filosia
basata “<i>su nient'altro che non fosse emozioni e sentimenti.</i>”</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La biografia è quindi
senz'altro l'ennesima rappresentazione dell'attore, dove i fatti sono
reali, forse romanzati un po', ma l'attitudine di fondo è quella
dell'uomo che vuole mettere in scena la verità dietro le scelte di
una vita, per emettere il suo “giudizio” su quanto ha passato.
Milian non si fa sconti, riconosce i propri meriti ma evidenzia anche
i tanti sbagli, si definisce icasticamente “<i>uno stronzo, ma non
di quelli che dicono stronzate</i>”, perfezionista ma generoso, uno
che fugge dalla sua condizione primaria di “<i>borghese e corrotto</i>”
per avvicinarsi sempre più alla gente, ed essere così “<i>estroverso,
allegro, simpatico, paraculo, buono, puro, dritto e comunista</i>”.
Come il “suo” Monnezza e come l'amico e controfigura Quinto
Gambi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il ritratto riesce così
a intenerire, divertire e far riflettere, perché fra le righe di una
narrazione apparentemente semplice nella sua linearità emerge il
travaglio di una personalità complessa, tipica di chi, raggiunti gli
80 anni, può forse considerarsi “arrivato” professionalmente, ma
– a quanto pare – non umanamente, dopo un'esistenza spesa a
cercare il punto di equilibrio fra l'uomo e l'attore. Nella
contrapposizione fra tutte queste maschere emerge così un'umanità
fatta di debolezze, cadute e successi e di una carriera piena di
rischi, senz'altro lontana dall'aura del divo che pure connota la
figura di Tomas Milian in più passaggi, dove la vita e il cinema si
uniscono in un tutt'uno e il libro ha la vitalità di un film ma le
sfaccettature di un diario. Forse, questa biografia non è che un
punto di inizio e l'ennesimo film di Tomas e Monnezza deve ancora
prendere forma.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Monnezza amore mio</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Tomas Milian, con
Manlio Gomarasca</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>2014</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Edizioni Rizzoli,
Milano</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>304 pagine</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.rizzolilibri.it/libri/monnezza-amore-mio/" target="_blank">Il libro sul sito dell'editore</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.romacinemafest.it/ecm/web/fcr/online/home/content/marc%E2%80%99aurelio-acting-award-alla-carriera-a-tomas-milian.0000.FCR-4149" target="_blank">Marc'Aurelio alla carriera a Tomas Milian</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Tomas_Milian" target="_blank">Tomas Milian su Wikipedia</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-17115783311622773062016-08-08T14:35:00.000+02:002016-08-08T14:36:58.713+02:00Tokyo: La guida nerd<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Tokyo: La guida nerd</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-igKY8GiLzqM/V6h6nxSk73I/AAAAAAAADII/WPGtLNes9AE1GS0L0s78_ixjEZK5bWK0gCLcB/s1600/tokyolaguidanerdcover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-igKY8GiLzqM/V6h6nxSk73I/AAAAAAAADII/WPGtLNes9AE1GS0L0s78_ixjEZK5bWK0gCLcB/s320/tokyolaguidanerdcover.jpg" width="221" /></a></div>
Il nuovo libro di
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2016/05/per-il-potere-di-grayskull.html">Alessandro Apreda</a> non è un saggio, ma una guida, dichiarata fin dal
titolo, per gli appassionati del variegato universo
dell'intrattenimento che ruota attorno al Giappone: quindi seguaci di
animazione, telefilm, videogame e quant'altro, anche se i confini
possono essere agevolmente espansi, considerata l'influenza che
l'industria dell'intrattenimento nipponica ha sull'immaginario
italiano da almeno tre decenni (un argomento <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2015/12/animeland-racconti-tra-manga-anime-e.html">già trattato</a> in questi spazi).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'intento dichiarato è
molto semplice: fornire una mappa che aiuti il neofita dei viaggi in
Giappone perché vada a colpo sicuro nella sua ricerca di luoghi
caratteristici o negozi in cui dare sfogo alla propria passione per
gli immaginari di cui sopra – riassunti nel termine “nerd”, in
realtà alquanto detestabile, ma che l'autore spiega di preferire al
nipponico “otaku” per l'evidente connotazione negativa che
quest'ultimo ha tuttora nel suo paese d'origine. Come ci ricorda lo
stesso autore, da un decennio a questa parte l'industria culturale
nipponica ha riscoperto il proprio appeal commerciale presso un
variegato pubblico che travalica i suoi stessi confini - il termine
utilizzato è diventato una sorta di autentico marchio, “Cool
Japan”. All'estero non è dunque infrequente imbattersi in
operazioni come quella compiuta da Apreda: un esempio è l'opuscolo,
“Japan Anime Tourism Guide”, promosso dall'Agenzia del Turismo
Giapponese in varie lingue (io ho la versione in francese, esiste
anche <a href="http://imagorecensio.blogspot.it/2015/04/japan-anime-tourism-guide-2011.html" target="_blank">quella inglese</a>). Come spesso accade, l'Italia, in barba alla
sua folta comunità di appassionati, non sembra essere stata particolarmente sfiorata dal
fenomeno e dunque il libro in questione arriva a colmare un vuoto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'accompagnamento del
lettore avviene in modo semiserio, attraverso uno stile diretto e
colloquiale, abbastanza scevro dei neologismi umoristici che Apreda
utilizza sul suo blog, ma senza risparmiare battute: l'approccio
passa al setaccio, un quartiere alla volta, i luoghi della
meraviglia, fornendo non solo rapide spiegazioni, ma anche consigli,
informazioni utili per muoversi nella metropoli asiatica, e il senso
di un sentire condiviso che diventa non solo un accompagnare “per
mano” il lettore, ma anche dare il senso di familiarità e
comprensione del “problema”.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In effetti, ciò che
colpisce positivamente del libro è la generosità con cui Apreda non
cade nella facile trappola dell'ostentazione: non siamo, insomma, di
fronte a uno scritto un po' narcisista con cui l'autore magari tenta
di fare sfoggio della sua conoscenza della materia, ma di un libro
che vuole essere soprattutto <i>utile</i>, nel senso stretto del
termine, e partecipe della comune passione, riverberando a ogni
pagina la forza dell'immaginario comune e della meraviglia che esso
suscita da tanto tempo. L'autore evoca non a caso il paese dei
balocchi di Collodi, conosciuto attraverso oltre un decennio di
viaggi che permettono anche di elencare le trasformazioni avvenute in
un arco temporale così lungo: in effetti un po' spiace che Apreda
non approfondisca questi aspetti più “sociologici”, ma il
criterio dell'utilità senza troppe divagazioni resta la linea guida
del progetto e, in fondo, anche questo è un segno di onestà
intellettuale verso il lettore (non è un saggio, è una guida
dopotutto).<br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nel complesso vengono
passati in rassegna diversi temi dell'intrattenimento: animazione,
collezionismo, sport, video e retrogame, gli immancabili manga e
persino la cucina, anche se i negozi restano il baricentro essenziale
della ricerca, a scapito magari di musei e case di produzione (in
questo senso l'opuscolo dell'Agenzia del Turismo citato in precedenza
può comunque costituire un ottimo compendio).<br />
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td><a href="https://4.bp.blogspot.com/-HEFnrmzANJQ/V6h68RcBXbI/AAAAAAAADIM/dylPzDe3cAogoyee_9tbHZqg8WqfaPQZgCLcB/s1600/tokiolaguidanerdcover2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://4.bp.blogspot.com/-HEFnrmzANJQ/V6h68RcBXbI/AAAAAAAADIM/dylPzDe3cAogoyee_9tbHZqg8WqfaPQZgCLcB/s1600/tokiolaguidanerdcover2.jpg" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="font-size: 12.8px;">La cover completa (fronte/retro), con il bel disegno di Manuel Preitano</td></tr>
</tbody></table>
<br />
Graficamente il volume
si presenta riccamente illustrato su carta lucida, con brossura morbida e la bella cover di Manuel Preitano accompagnata, internamente, dai disegni di Lucia Debidda: lo spessore
ridotto non tragga in inganno, ogni pagina è infatti pregna di
scritte, box, mappe e quant'altro. Il sapore è quello di una pagina
web dove si aprono mille finestre pop-up, e crea dinamismo
nell'impaginazione, sfruttando ogni angolo per fornire le maggiori
informazioni possibili, tanto da divertire anche nella continua
ricerca di nuovi dettagli, magari sfuggiti alla prima lettura.
Qualcosa potrebbe naturalmente cambiare dal momento della lettura a
quello dell'eventuale viaggio, ma l'utilità non è messa in
discussione e il divertimento è assicurato. D'altra parte, come
scrive lo stesso autore “<i>Il viaggio, almeno per chi legge una
guida, deve in genere ancora iniziare: tra poco, tra molto, o anche
soltanto forse un giorno, chissà. In fondo si inizia a viaggiare già
con la testa, nel momento stesso in cui si culla l'idea di una nuova
avventura, e la fase della pianificazione è divertente quasi quanto
vivere quei luoghi poi di persona.</i>”</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Tokyo. La guida nerd</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Alessandro Apreda</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>2016</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Limited Edition Books,
Reggio Emilia</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>140 pagine</b></div>
<br />
<a href="http://docmanhattan.blogspot.it/2016/02/tokyo-la-guida-nerd.html" target="_blank">Il libro sul blog di Alessandro Apreda</a><br />
<a href="http://limitededitionbooks.it/acquista/tokyo-la-guida-nerd/" target="_blank">Il libro sul sito dell'editore</a><br />
<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Cool_Japan" target="_blank">Cool Japan su Wikipedia</a><br />
<a href="http://www.visitjapan.jp/en/" target="_blank">Agenzia del Turismo Giapponese</a>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-38089457739907845472016-07-19T00:43:00.001+02:002016-07-19T00:57:13.703+02:00'80 L'inizio della barbarie<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">'80 L'inizio della
barbarie</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-DA9QIh9EnWA/V41bg1i48hI/AAAAAAAADHw/G7yxQmWu2_Q6aZ_nV2j0j988DYqjih8wwCLcB/s1600/80iniziobarbarielibro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-DA9QIh9EnWA/V41bg1i48hI/AAAAAAAADHw/G7yxQmWu2_Q6aZ_nV2j0j988DYqjih8wwCLcB/s320/80iniziobarbarielibro.jpg" width="208" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La saggistica sugli anni
Ottanta, come <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2016/05/per-il-potere-di-grayskull.html">già evidenziato</a>, tende per lo più ad appiattirsi sul
ricordo nostalgico di chi ha vissuto sulla propria pelle (infantile)
quel decennio e il suo composito immaginario, partorito da
televisione, cinema, musica, fumetti e quant'altro. Ma qual era il
cuore pulsante di un'epoca che si presentava con il ritratto
spensierato della Milano da Bere, consegnata ai posteri dal
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=x_1ELGqCgWc" target="_blank">memorabile spot di un amaro</a> nel 1985?
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Paolo Morando,
giornalista e vicecaporedattore del “Trentino”, ci ricorda che,
in fondo, l'approccio al nuovo decennio fu tutt'altro che lieto: il
1980 consegna infatti alle cronache la <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Ustica" target="_blank">strage di Ustica</a>, quella della
<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Bologna" target="_blank">stazione di Bologna</a> e il <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Terremoto_dell%27Irpinia_del_1980" target="_blank">terremoto dell'Irpinia</a>. Nell'arco di appena
un paio d'anni vanno registrati anche i sequestri, da parte delle
Brigate Rosse, del magistrato <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_D%27Urso" target="_blank">Giovanni D'Urso</a>, del dirigente del
petrolchimico di Marghera <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Taliercio#Rapimento_e_assassinio" target="_blank">Giuseppe Taliercio</a>, di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Peci#Il_sequestro" target="_blank">Roberto Peci</a>,
fratello del pentito Patrizio, dell'assessore campano <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ciro_Cirillo#Rapimento_e_liberazione" target="_blank">Ciro Cirillo</a>;
la lista di inizio decennio prosegue, come un fiume in piena, con la
<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/P2#La_scoperta_della_lista" target="_blank">scoperta degli associati alla Loggia P2</a>, l'assoluzione degli imputati
per la <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Cronologia_delle_indagini_e_degli_avvenimenti_legati_alla_strage_di_Piazza_Fontana#1981" target="_blank">strage di Piazza Fontana</a>, l'attentato a <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_a_Giovanni_Paolo_II" target="_blank">Giovanni Paolo II</a>, la
morte di <a href="http://www.misteriditalia.it/casocalvi/" target="_blank">Roberto Calvi</a> a Londra, il trauma
nazionale di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_di_Vermicino" target="_blank">Vermicino</a> con la morte del piccolo Alfredino Rampi,
l'agguato al <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_via_Carini" target="_blank">Generale Dalla Chiesa</a>, l'assalto alla <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_alla_sinagoga_di_Roma" target="_blank">sinagoga di Roma</a>... chiunque abbia un minimo di ricordo dei telegiornali dell'epoca, rievocherà facilmente uno scenario difficile, marchiato da
eventi luttuosi e disastri, quelli citati da Morando non sono nemmeno
tutti: la Storia sembra insomma ribaltare un disegno poi abilmente
coperto dall'euforia generata da eventi più lieti, come la
vittoria della Coppa del Mondo di Calcio nel Mondiale di Spagna, che
nel 1982 arriva a riunire l'Italia intera (e fa anche dimenticare lo
scandalo calcio-scommesse, sempre del famigerato 1980).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Come si può notare, la
contrapposizione è fra una Storia reale che sembra tracciare ferite
profonde nella coscienza collettiva, e macro-eventi che svolgono una
funzione rigenerante per l'immaginario altrimenti malconcio del nuovo
decennio. Il saggio di Morando cerca pertanto di lavorare proprio su
questa doppia traccia: da un lato riporta alla luce fatti di cronaca
ormai dimenticati, che smitizzano e riscrivono l'aura degli Ottanta;
da parte dell'autore, si badi, non c'è la facile voglia di abbattere
i miti di una generazione. Nelle sue parole, anzi: “<i>è difficile
dar torto ai quarantenni di oggi e al loro struggersi: più che della
propria gioventù, e ci mancherebbe, è il ricordo di un'età
dell'abbondanza poi mai più ritrovata, del moltiplicarsi dei
palinsesti, di carrelli pieni nei supermercati, merci e suggestioni.
Sogni e futuro. Una visione legittimata da chi ha provato a
raccontare quegli anni al di là di date, eventi, governi e Pil.</i>”</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'autore cerca però di
stare ai fatti e stabilire come, nel calderone delle memorie, vadano
analizzate con più puntualità alcune delle simbologie più ambigue
del decennio, spesso derubricate con l'alibi della leggerezza, della
goliardia e del “dolce ricordo”, per comprendere come proprio
nell'epoca dell'apparente spensieratezza si piantavano i semi di
problematiche che sarebbero poi esplose con la loro evidenza solo in
futuro.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Morando parte quindi da
cinque temi/categorie, riassunte in altrettanti capitoli: <b>L'Italia
nordista</b> racconta i prodromi del leghismo e la scoperta di una feroce
divisione Nord/Sud sintetizzata dallo slogan “Forza Etna”,
collegato alla problematica eruzione del 1983, evidentemente eletta
dagli antimeridionalisti a strumento divino di “pulizia” per cui
fare il tifo. Ripensando agli <a href="http://www.globalist.it/news/articolo/203300/venti-terroni-in-meno-i-conati-razzisti-anche-sulla-tragedia-del-treno-in-puglia.html" target="_blank">ignobili commenti razzisti</a> apparsi in
questi giorni sui Social Media a proposito della strage dei treni di
Corato, in Puglia, si capisce come la riflessione sia centrata.
Quello dell'antimeridionalismo è un tema che ritorna un po' in tutto
il volume: lo ritroviamo infatti anche nel terzo capitolo, <b>L'Italia
becera</b>, centrato in gran parte sul fenomeno di <a href="http://www.ilpost.it/2014/09/18/radio-parolaccia/" target="_blank">Radio Parolaccia</a>,
ovvero il microfono aperto di Radio Radicale che divenne una valvola
di sfogo per gli istinti più violenti e razzisti degli ascoltatori,
lasciando emergere uno sconcertante ritratto del “paese reale”,
fino ad allora del tutto ignorato – con buona pace di chi ancora
oggi lo ricorda come un fenomeno spassoso, si vedano i <a href="https://www.youtube.com/watch?v=lw-Xbz04CbQ" target="_blank">commenti divertiti </a>ai video di YouTube dedicati alla questione. Ancora
l'ultimo capitolo, <b>L'Italia razzista</b>, sebbene si concentri in modo
particolare sui fenomeni collegati all'immigrazione dai paesi
africani, dando voce a tante storie sconcertanti di quotidiana
intolleranza, non manca di rivangare ulteriormente la divisione fra
Nord e Sud.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
I due capitoli rimasti,
<b>L'Italia paninara</b> e <b>L'Italia rampante</b> affrontano invece l'aspetto più
discusso ed esteriore degli anni Ottanta, ovvero il mito edonistico
dell'apparenza collegata alla ripresa economica, anche in questo caso
legato a doppio filo alle problematiche identitarie pronte a sfociare
nelle contrapposizioni evidenziate nel resto del volume. L'autore
continua a interrogarsi sul reale significato di iconografie e mode,
non propende per facili soluzioni, ma indaga gli aspetti più
controversi di un'Italia che vuole apparire civile ma si scopre
sempre più incattivita.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Morando è bravo a non
personalizzare mai troppo le varie problematiche, evitando così il
rischio di creare facili capri espiatori (pur facendo sempre nomi e
cognomi): ciò che infatti sembra interessargli è mettere in luce
una serie di tendenze poco visibili, ma profondamente diffuse, che
dicevano dello spirito di un'epoca e di una nazione che si lasciava
alle spalle le ferite del terrorismo e le battaglie ideologiche dei
decenni precedenti, andando incontro al futuro con un sorriso, ma
senza elaborare le profonde trasformazioni che nel frattempo erano
maturate nella coscienza collettiva, la cosiddetta pancia del Paese.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'aspetto più
interessante del volume riguarda lo stile: la divisione in cinque
macro-argomenti non impedisce infatti all'autore di adottare una
forma narrativa molto scorrevole, che spesso devia dal percorso
principale attraverso divagazioni utili a ribadire la natura
composita dei fenomeni raccontati. Ci si ritrova così guidati lungo
percorsi dove punti apparentemente lontani si collegano e si cerca di
dare corpo a una visione ad ampio raggio: ogni aspetto finisce così
per nascondere molte possibili sfaccettature e un unico punto
prospettico può aprire diversi percorsi tematici (per orientarsi
nella galassia di riferimenti viene utile l'indice dei nomi
pubblicato in coda).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il libro abbraccia fino
in fondo questo punto di vista “allargato”, lasciando al lettore
le considerazioni finali, senza tirare somme in maniera troppo netta:
l'impressione che la lettura suscita è dunque quella di un'epoca
complessa e difficile, per l'Italia e non solo (sebbene la politica
estera resti sullo sfondo, evocata soltanto quando ha ricadute
dirette sulla scena nostrana). Un ritratto quindi più reale di
quello propagandato dalla saggistica più celebrativa, non rancoroso,
che rappresenta un primo passo per una storicizzazione più
equilibrata, sebbene ancora impossibile, vista la vicinanza del
periodo preso in esame - “L'inizio” del titolo può essere letto
anche in questo senso.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'analisi può dunque
dirsi un buon punto di partenza, complice anche la ricca
documentazione riassunta dall'autore in un capitolo apposito,
preferito alle classiche note a pie' di pagina – il sottoscritto
avrebbe preferito questa seconda e più classica soluzione, ma è
comprensibile l'esigenza di non appesantire eccessivamente la
lettura.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>'80 L'inizio della
barbarie</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Paolo Morando</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>2016</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Editori Laterza,
Roma-Bari</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>243 pagine</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858122242" target="_blank">La scheda sul sito dell'editore</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1734:80-l-inizio-della-barbarie-paolo-morando&catid=40:primopiano" target="_blank">Estratto dal prologo</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.facebook.com/80-Linizio-della-barbarie-763690940430925/" target="_blank">Il libro su Facebook</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-88898577047769420472016-05-09T15:18:00.002+02:002016-05-09T15:18:45.765+02:00Per il potere di Grayskull<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Per il potere di
Grayskull</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-3DEt-uneenM/VzCOCzBzDRI/AAAAAAAADG4/7-MGIzqZonweYP2b6D-fc0tbaFl3cuR3QCLcB/s1600/perilpoteredigrayskullcover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-3DEt-uneenM/VzCOCzBzDRI/AAAAAAAADG4/7-MGIzqZonweYP2b6D-fc0tbaFl3cuR3QCLcB/s320/perilpoteredigrayskullcover.jpg" width="199" /></a></div>
Amati e odiati in egual
misura, gli anni Ottanta restano un decennio controverso: spensierati
o futili? Fantasiosi o egoisti? A sostenere le ragioni assolutorie è
soprattutto un'ampia saggistica che poggia sull'effetto nostalgia,
sulla consapevolezza che un'intera generazione ha attraversato quel
periodo negli anni della prima infanzia/adolescenza, assorbendo per
osmosi il ricchissimo insieme di influenze prodotte da cinema,
televisione, fumetti e quant'altro, senza preoccuparsi troppo del
resto. Si deve comunque precisare come questo tipo di rievocazioni
spesso indichino come “anni Ottanta” un periodo che in realtà si
allunga perlomeno fino ai Sessanta, complici gli sfasamenti temporali
della distribuzione – l'invasione dei cartoni animati giapponesi,
ad esempio, ha importato con un paio di decenni di ritardo materiale
anche molto precedente.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Molti libri si sono
perciò impegnati a fare da guida in questo mare magnum di
suggestioni infantili: <i>Per il potere di Grayskull</i> di
Alessandro Apreda si presenta come uno dei più agili e divertenti,
complice un piglio che è allo stesso tempo partecipe e
demistificatorio, perché orientato a esaltare alcuni paradossi
dell'epoca. L'autore infatti ci tiene a precisare che il volume, più
che una guida canonica è “<i>un insieme di ricordi e suggestioni
che quel periodo porta ancora alla mente, patrimonio comune,
trent'anni più tardi, per chi all'epoca era già in giro a fare
danni con un pupazzino dei Masters o una Barbie in mano</i>” – il
che ci riporta anche alla precisazione di cui sopra, essendo la
bambola Barbie in giro fin dal 1959.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Chi frequenta la
blogosfera ha già familiarità con il particolare stile di Apreda:
il suo blog <a href="http://docmanhattan.blogspot.it/" target="_blank"><i>L'Antro Atomico del Dr. Manhattan</i></a> è infatti
un'autentica bibbia della nostalgia, affrontata con piglio
sistematico ma non apologetico, grazie a un'ironia sempre vincente e
uno stile scoppiettante (sublimato da una serie di neologismi in
parte presenti anche nel volume qui considerato), in grado di
restituire immagini sempre molto vivide – si pensi a frasi come
“<i>palloni di cuoio veri ne giravano pochi, e quelli che giravano
finivano presto spellati sull'asfalto mangiaginocchia o ingoiati da
voraci balconcini di condomini anziani</i>”.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il libro evoca così, con
semplicità e divertimento, quindici punti nodali dell'immaginario
anni Ottanta, spesso associati ad altrettante icone: le proiezioni
cinematografiche gratuite per vendere enciclopedie; lo zainetto
Jolly; il calcio giocato per strada con il Super Santos; la linea di
giocattoli dei Masters of the Universe; l'invenzione del Walkman, i
cartoni animati giapponesi sportivi e di robot; i telefilm; le sale
giochi; gli home computer della Commodore; il Cubo di Rubik (non
amato dall'autore); le bici BMX; l'estetica <i>tamarra</i> dei film
alla <i>Top Gun</i>; i cataloghi della Postalmarket e il cinema di
fantascienza.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ne viene fuori una
geografia di luoghi e segni che Apreda affronta da una prospettiva
chiaramente molto personale, ma che riesce a creare risonanza con i
lettori che hanno effettivamente vissuto quel periodo, segno della
particolare comunanza di vedute e interessi che ha unito suo malgrado
lo stivale. Per il lettore novizio sarà invece interessante notare
gli incredibili paradossi di un'epoca che espandeva la
modernizzazione iniziata nei Sessanta del boom economico, modulandola
attraverso un'estetica del futuro <i>ormai a portata di mano</i> (si
noti l'elemento tecnologico dato dagli home computer, dal Walkman o
dalla fantascienza), attraverso scaltre strategie di massa (le catene
di giocattoli come i Masters o i Transformers). Apreda in questo
senso è bravo a sottolineare come si trattasse soprattutto di una
<i>illusione di futuro</i>, attraverso estetiche <i>kitsch</i>, pur
nei toni ammorbiditi garantiti dall'effetto nostalgia. In questo
senso, ogni capitolo è chiuso da una nota in cui si sottolineano le
differenze tra passato e presente (“<i>Ti accorgi che sono passati
trent'anni perchè...</i>”), tra un decennio che si credeva
all'avanguardia, e una realtà che ne ha presto smascherato le
velleità.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il fine, come già
evidenziato, resta comunque assolutorio, volto a orientare
l'entusiasmo di un'epoca che esaltava il piacere del fantastico a
misura di bambino e che, fra le varie mostruosità del caso, ha anche
seminato molte opere positive. La prospettiva a volo d'uccello non
garantisce eccessivi approfondimenti, e a volte cede eccessivamente
alle logiche di una scrittura che vuole far soprattutto divertire, ma
nel complesso il ritratto è sincero e piacevole alla lettura, nella
consapevolezza che “<i>sfilare quegli occhiali con le lenti rosa</i>
[della nostalgia] <i>è sempre un casino</i>”.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Per il potere di
Grayskull – Meraviglie e mostruosità degli anni 80</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Alessandro
“DocManhattan” Apreda</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>2014</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Limited Edition Books,
Reggio Emilia</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>128 pagine</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://docmanhattan.blogspot.it/2014/03/per-il-potere-di-grayskull-libro-anni-80.html" target="_blank">Il libro presentato dall'autore</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://limitededitionbooks.it/acquista/per-il-potere-di-grayskull/" target="_blank">Il libro sul sito dell'editore</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-524057514244148272016-03-28T11:41:00.001+02:002016-04-25T05:16:28.772+02:00Il regno dei sogni e della follia<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Il regno dei sogni e
della follia</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-1iM1MDnztYQ/Vvj8IvmG2bI/AAAAAAAADFo/dMCteLwjALcrTLfhEeG2PTPDq_P8vIJzA/s1600/regnosognifolliamanifesto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-1iM1MDnztYQ/Vvj8IvmG2bI/AAAAAAAADFo/dMCteLwjALcrTLfhEeG2PTPDq_P8vIJzA/s320/regnosognifolliamanifesto.jpg" width="247" /></a></div>
<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 11pt;"><i>Penso
che adesso noi stessi stiamo provando l'ansia che provavano i nostri
padri e le nostre madri al tempo in cui vissero. Il non sapere dove
si vada. La guerra... non si sarebbero neanche sognati di far guerra
all'America. Né tantomeno di cacciarsi nel pantano di una guerra
contro la Cina. E tipo... mentre erano tutti obnubilati, finì per
accadere. Poi, alla fine, come per pazzia, abbiamo finito per fare
guerra ad avversari in giro per il mondo. Non ho mai ben capito quali
fossero i sentimenti delle persone che vissero in quell'epoca, ma di
questi tempi penso “Ah, erano sentimenti come questi!”. Siamo
orientati in quella direzione. E dal momento che non stiamo seguendo
una storia di cui si conosca il finale, non sappiamo cosa accadrà.
Tuttavia, ormai con questo smetto di fare film. Più di così non
potrei fare. Basta così.</i></span></div>
<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
(Hayao Miyazaki)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nel 2013 si è verificata
la straordinaria coincidenza dell'uscita (quasi) contemporanea degli
ultimi lavori di Hayao Miyazaki e Isao Takahata: <i>Si alza il vento</i>
e <i>La storia della Principessa Splendente</i>. Pensati per
un'effettiva uscita nello stesso giorno (poi mancata a causa della
consueta “rilassatezza” di lavorazione di Takahata), i due film
hanno così riproposto una doppia uscita che ha un precedente nel
lontano 1988, quando le sale giapponesi accolsero insieme <i><a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2009/09/il-mio-vicino-totoro.html">Il mio vicino Totoro</a></i> e <i>Una tomba per le lucciole</i>. La
straordinarietà dell'evento ha quindi spinto la regista Mami Sunada
a immortalare in un documentario la lavorazione all'interno dello
Studio Ghibli, in un'opera di pedinamento straordinaria e capace di
restituire non solo il processo produttivo delle pellicole, ma anche
la peculiarità umane e la filosofia dei due autori.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'attenzione, in verità,
si concentra sul solo Miyazaki, vuoi perché uomo simbolo dello
Studio, vuoi perché maggiormente loquace, in opposizione a un
Takahata che resta nell'ombra in quanto artista più schivo persino
verso i produttori. Seguiamo così le fasi di lavorazione di <i>Si
alza il vento</i> e i pensieri del Miyazaki animatore e uomo, spinto
da un'incrollabile energia verso il suo lavoro, ma, allo stesso
tempo, da una marcata disillusione verso il mondo circostante. Le
parole di Miyazaki, disegnano infatti con lucidità la fine di un'era
in cui il cinema sembrava poter dialogare con una realtà ora
marchiata dalla crisi economica iniziata nel 2008. Il regista è
consapevole non soltanto di essere al lavoro sul suo ultimo
lungometraggio, ma anche della fine di un sistema produttivo, ma,
come l'ultimo dei guerrieri, continua a disegnare indefesso, perché
è ciò che sa fare – in un passaggio fugace ma significativo la
regista gli chiede della moglie, di come abbia fatto a capire che era
la donna giusta per lui e Miyazaki non conosce la risposta, spiega
che è il mistero della vita, una definizione che si adatta bene
anche a tutto il suo lavoro di animatore.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-ZOY5T6lrWzw/Vvj8IYH2LdI/AAAAAAAADFk/VlNp-qzcdXAjgjhwmsQiEThE9iHsbKAFQ/s1600/regnosognifolliamiyazaki.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="179" src="https://3.bp.blogspot.com/-ZOY5T6lrWzw/Vvj8IYH2LdI/AAAAAAAADFk/VlNp-qzcdXAjgjhwmsQiEThE9iHsbKAFQ/s320/regnosognifolliamiyazaki.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Tutto questo si riflette
nel particolare approccio verso il nuovo film, che Miyazaki sembra
creare come spinto da una necessità che Suzuki definisce un dialogo
interiore, sul filo dei ricordi di un passato parimenti diviso:
splendido nelle infinite possibilità che poteva stimolare, ma poi
precipitato nel gorgo della guerra. La nostalgia si tinge perciò dei
colori dell'amarezza, in una circolarità destinata a riflettersi nel
puramente duale presente. L'incontro di sogno e follia dei titolo
diventa così quello tra il pessimismo espresso a parole da Miyazaki
(e dai vari animatori, “vessati” dal suo perfezionismo) e uno
stile visivo capace di esaltare la bellezza e il senso di serenità
trasmessi dalla natura circostante e da un ambiente di lavoro
apparentemente confortevole, dove il regista può rilassarsi salendo
sul tetto della struttura ad ammirare il cielo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il lavoro di pedinamento
diventa così la poetica ricerca di una sintesi fra continui opposti:
il passato, raccontato attraverso immagini di repertorio e che ci
mostrano un Miyazaki attivista e mosso da grandi ideali, e un
presente dove fare i conti con l'industria, preservando ancora, per
quanto possibile, i sogni degli anziani maestri; il punto di vista,
così, si ribalta, il dietro le quinte diventa il <i>vero</i> momento
qualificante di un'animazione che vedremo finita solo di sfuggita,
perché non è lì che si concentra il processo creativo e il dialogo
fra il Miyazaki uomo e l'artista, e fra lui e l'ombra sempre presente
di Takahata (un rapporto di amore-odio, di rivalità per Suzuki, ma
che allo spettatore non sfuggirà essere comunque di continuo stimolo
per entrambi i registi).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La qualità umana del
documentario sta quindi tutta nel processo di elaborazione che il
regista compie sugli spunti a lui più cari, senza lavorare a una
sceneggiatura, ma seguendo un estro che rivela le proprie finalità
nel suo farsi, dove la storia di un ingegnere aeronautico spacciato
per guerrafondaio diventa un apologo antimilitarista e dove il
“maniaco depressivo e furioso tremendo” regista (così si
definisce lui stesso) può infine scoprirsi commosso per il suo
risultato, che inneggia a una vita ancora da vivere.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Il regno dei sogni e
della follia</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>(Yume to kyoki no
okoku)</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Regia e soggetto: Mami
Sunada</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Origine: Giappone,
2013</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Durata: 118 minuti</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.luckyred.it/il-regno-dei-sogni-e-della-follia" target="_blank">Il film sul sito LuckyRed</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=_6MqMnU60mA" target="_blank">Trailer italiano</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.imdb.com/title/tt3204392/" target="_blank">Scheda di IMDB</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-27907457409106174672016-03-25T14:28:00.002+01:002016-03-25T14:34:21.178+01:00Unbreakable – Il predestinato<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Unbreakable – Il
predestinato</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-ka66n_fOqsk/VvU8Ee6lJUI/AAAAAAAADFM/SFe2FdkPGUIViZDU8c5JS3102CFCM0YbQ/s1600/unbreakable_poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://2.bp.blogspot.com/-ka66n_fOqsk/VvU8Ee6lJUI/AAAAAAAADFM/SFe2FdkPGUIViZDU8c5JS3102CFCM0YbQ/s400/unbreakable_poster.jpg" width="247" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>David Dunn è un tipo
ordinario, che lavora come guardia giurata presso lo stadio di
Philadelphia e attraversa un periodo di crisi con la moglie.
Sopravvissuto al terribile deragliamento del treno su cui viaggiava,
David è rimasto miracolosamente illeso: il fatto gli attira le
attenzioni di Elijah Price, un collezionista di fumetti affetto da
una particolare anomalia genetica che gli è valsa il soprannome di
“uomo di vetro”, a causa della facilità con cui le sue ossa
tendono a rompersi. L'uomo infatti, insinua la possibilità che i
comics supereroistici si basino su un presupposto reale: l'esistenza
di esseri indistruttibili, del tutto opposti a quelli fragilissimi
come lui. E David potrebbe essere uno di loro, un supereroe che
ignora la sua vera natura. Sebbene folle, l'ipotesi inizia a farsi
strada nella mente di David, che ripensa alla propria vita: è mai
stato malato? Si è mai fatto male sul serio? Ha mai messo alla prova
se stesso per comprendere se possiede davvero dei poteri?</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Oggi che il tema dei
supereroi è alquanto inflazionato, è utile riscoprire questa
preziosa pellicola di M. Night Shyamalan, realizzata nel cono d'ombra
del fortunato <i>Il sesto senso</i> e per questo non considerata con
il giusto merito ai tempi dell'uscita in sala. Film eccentrico eppure
estremamente raffinato – come tutti quelli del regista, peraltro –
<i>Unbreakable</i> è seminale nella carriera dell'autore
indo-americano per come stabilisce
la sostanza di tutto il suo cinema: lo fa attraverso il gioco di
rispecchiamenti fra la realtà “vera” e il suo doppio fantastico,
che finisce per legittimare entrambi gli estremi in una forma, per
l'appunto, assolutamente seria e realistica eppure costantemente
sopra le righe.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Così accade nel gioco di
legittimazione reciproca che si instaura fra il dimesso protagonista,
ignaro della sua natura e della propria missione, afflitto com'è da
problemi assolutamente “terreni” (il lavoro, la famiglia che va
in pezzi); e il collezionista di fumetti, lucidissimo eppure folle
nella sua tesi ultraterrena di legittimazione dell'eroe e che perciò
si situa volutamente in una sfera fantastica che il regista tratta
però con la serietà del grande racconto mitico. Il bello è già
qui, in un gioco di identità fra il dramma e i codici del fumetto
dove, ricollocando i secondi nello spazio serissimo del primo, il
regista smonta e analizza pezzo per pezzo i meccanismi narrativi del
racconto supereroico. Che non sono soltanto quelli più appariscenti
(la forza sovrumana, il potere speciale, il punto debole, il rapporto
con la propria nemesi), ma anche e soprattutto quelli ideali: la
capacità di ispirare il Bene, la forza di dare conforto a chi vive
una vita nella paura, l'esaltazione dell'atto salvifico che sollevi
il mondo dalla mediocrità.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Shyamalan osserva questa
dinamica con uno sguardo bambino – perché è nell'infanzia che
risiede la fede più assoluta nel mito e la fascinazione per il
racconto. Questo è evidente sin dall'inquadratura iniziale in cui il
protagonista David Dunn è “spiato” nello spazio fra i sedili del
treno – un punto di vista che poi scopriremo essere, appunto,
quello di una bambina. E poi innesta questa trasversalità del punto
di vista sul rapporto padre/figlio che lega David al piccolo Joseph:
che è l'unico a riconoscere immediatamente e spontaneamente la
natura supereroica del genitore. Quale figlio non “vede” infatti
nel proprio padre un eroe? Ma nella naturalezza del gesto, Shyamalan
racchiude tutto il senso della fiducia e, perché no, della
meraviglia che lega naturalmente anche il lettore alle avventure dei
propri idoli cartacei. Nello spogliare una volta per tutte i comics
dalla loro aura pop, in modo da raggiungerne l'essenza, Shyamalan li
riconduce a dinamiche quasi primigenie, che sono quelle che muovono i
gangli primari della società, e risiedono nelle prime iterazioni di
ogni uomo con la propria famiglia. Anche per questo l'elemento
familistico ha un'importanza primaria nel processo di ridefinizione e
legittimazione che porterà David a riconoscersi in quanto eroe.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-fGExY1tYEb4/VvU8ET_0W3I/AAAAAAAADFQ/8aU4TBr9cVsHZ_1qh91gscaQ6vUIQJzrw/s1600/unbreakable_uomodivetro.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://3.bp.blogspot.com/-fGExY1tYEb4/VvU8ET_0W3I/AAAAAAAADFQ/8aU4TBr9cVsHZ_1qh91gscaQ6vUIQJzrw/s320/unbreakable_uomodivetro.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il gioco di
rispecchiamenti è dunque articolato su un continuo dualismo delle
parti che è anche continuo rovesciamento dei presupposti su cui si
basa il mondo “prima” della conoscenza del proprio doppio
fantastico: c'è l'eroe e la sua nemesi, dove uno è talmente
ordinario da non sospettare la propria invulnerabilità e l'altro è
così fragile da non far sospettare la follia ostinata che lo muove.
Shyamalan elabora questi spunti con uno stile visivo che alterna la
fissità delle figure a una mobilità del punto di vista ottenuto
attraverso lunghe inquadrature che trasmettono l'idea di una macchina
da presa estremamente leggera. La fisicità degli attori viene
ugualmente coinvolta nel processo: Bruce Willis oscilla fra la
pesantezza del proprio fisico robusto e la fragilità ispirata dalla più terrena calvizie, fino a
sparire nella scena della “vestizione” (tema ricorrente nel
cinema del regista) che lo rende una sorta di ombra fluttuante –
lieve e “bidimensionale” come l'iconografia di un comic, appunto,
ma capace anche di trasmettere l'idea ultraterrena della presenza
eroica. Al contrario, Samuel L. Jackson alterna pure la precarietà
della sua natura di “uomo di vetro” con una natura più
appariscente: vestiti violacei, bastone di cristallo, e capigliatura
diseguale si uniscono infatti a una gravità recitativa sintetizzata dal suo sguardo profondo e
vagamente spiritato, eccentrico sì, ma anche talmente evidentemente
folle da non sembrarlo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il finale in cui le carte
finalmente si svelano, ben lontano dall'essere un gratuito colpo di
scena – come teorizzavano all'epoca i facili codificatori dello
Shyamalan artefice di facili <i>twist</i> finali – tenta dunque la
saldatura fra gli elementi fino a quel momento posti in essere e
attua così il ribaltamento più ardito e feroce: quello che stempera
il successo dell'eroe nel dramma della responsabilità che si porta
dietro e di cui è a suo modo artefice. Una vera storia di origini,
dove il disastro crea la rinascita dell'uomo, ma in ultima istanza ne
costruisce anche il dolore. Nelle intenzioni circolate all'epoca da
regista e interpreti, <i>Unbreakable</i> sembrava dover proseguire con una serie,
forse una trilogia, ma purtroppo tutto è finito qui. Resta in ogni
caso un esperimento felice e sorprendente, ancora oggi che la parte
pop del concept supereroico ha preso il sopravvento senza possibilità
di interventi registici forti sul genere. Il primo film di supereroi
senza velleità da blockbuster, ma, anzi, da “piccolo” racconto
sul senso dell'umanità.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Unbreakable – Il
predestinato</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>(Unbreakable)</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Regia e sceneggiatura:
M. Night Shyamalan</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Origine: Usa, 2000</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Durata: 106 minuti</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=_8etYwG0uN8" target="_blank">Trailer originale</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.filmtv.it/film/21018/unbreakable-il-predestinato/trailer/412/#rfr:none" target="_blank">Trailer italiano</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.imdb.com/title/tt0217869/" target="_blank">Scheda di IMDB</a></div>
<br />
Collegati:
<br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2008/04/lady-in-water.html">Lady in the Water</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2008/06/e-venne-il-giorno.html">E venne il giorno</a>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-59518870873133391282016-03-18T14:18:00.001+01:002016-03-18T14:19:27.823+01:008 anni nel Nido<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">8 anni nel Nido</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-EjvGBWxTpGU/Vuv_xaz2MWI/AAAAAAAADE4/RT1lvoSY--UQ4M7sTGI_gemtetHXB5a4Q/s1600/atlas8.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://3.bp.blogspot.com/-EjvGBWxTpGU/Vuv_xaz2MWI/AAAAAAAADE4/RT1lvoSY--UQ4M7sTGI_gemtetHXB5a4Q/s200/atlas8.jpg" width="189" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Il peggio è passato, la crisi del
settimo anno è alle spalle e il blog è arrivato agli otto anni di
vita (nella giornata di <b>mercoledì 16 Marzo</b>). Come si può notare,
gli ultimi aggiornamenti spaziano fra <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2016/03/il-drago-e-la-saetta.html">libri</a>, <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2016/01/vorrei-cantare-insieme-voi-la-storia.html">costume</a>, <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2016/03/viaggio-tokyo-di-vincenzo-filosa.html">fumetti</a> e
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2015/12/animeland-racconti-tra-manga-anime-e.html">curiosità</a>, nel tentativo di rendere lo spazio un po' più dinamico:
il cinema resta infatti l'interesse maggiore, ma nella società
contemporanea fa sempre più rima con un intrattenimento a 360° che,
naturalmente, va visto come un incentivo a variare lungo differenti
possibilità.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Quindi non più (solo) buon cinema a
tutti, ma buona immersione nella moltitudine degli interessi.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Una nota sull'immagine di apertura:
ogni anno ne cerco sempre una che richiami in qualche modo il numero
dell'anno, da cui l'idea del <b>Super 8</b> dell'AVO Film, che ha pure una triplice, ulteriore, valenza:
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
- lo avevo tanti anni fa (poi chissà
che fine ha fatto, mai sottovalutare la capacità dei genitori di far
sparire i balocchi d'infanzia dei figli);
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
- l'idea stessa del formato Super 8
richiama quella del tempo che passa;</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
- postare un'immagine di Goldrake
attira sempre l'attenzione, non trovate?</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
Collegati:<br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2009/03/un-anno-nel-nido.html">1 anno nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2010/03/due-anni-nel-nido.html">2 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2011/03/3-anni-nel-nido.html">3 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2012/03/4-anni-nel-nido.html">4 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2013/03/5-anni-nel-nido.html">5 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2014/03/6-anni-nel-nido.html">6 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2015/03/7-anni-nel-nido.html">7 anni nel Nido</a>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-14724526458761756212016-03-15T21:10:00.001+01:002016-03-15T21:13:00.235+01:00Viaggio a Tokyo, di Vincenzo Filosa<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Viaggio a Tokyo, di
Vincenzo Filosa</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-xUlFdpby0nw/VuhrjSllcxI/AAAAAAAADEk/D8_INdGdl6AWs_INkTAPkBnPogXXZOkOw/s1600/viaggioatokiofilosa.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-xUlFdpby0nw/VuhrjSllcxI/AAAAAAAADEk/D8_INdGdl6AWs_INkTAPkBnPogXXZOkOw/s320/viaggioatokiofilosa.jpg" width="228" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La citazione
(volontaria?) dal capolavoro di Yasujiro Ozu non tragga in inganno:
il viaggio del titolo è qui una <i>quest</i> dal sapore
autobiografico con cui il fumettista calabrese Vincenzo Filosa
racconta il suo incontro-scontro con la cultura nipponica nella
capitale di quel lontano paese. Appassionato di fumetti e con una
particolare curiosità verso gli aspetti meno noti del manga, Filosa
ha infatti visitato la città giapponese per istruirsi direttamente
“sul campo” e emulare così i maestri del <b>manga</b> e del <b>gekika</b>:
quale sia la differenza tra queste due forme espressive ce lo
racconta il suo alter ego Francesco che, per l'appunto, viaggia a
Tokyo per fare incetta di volumi e studiare lo stile dei mostri
sacri. In primis Osamu Tezuka, il “dio del manga” che qui appare
più come un riferimento per il genere che come modello del lavoro di
Filosa, maggiormente legato al gekika, il manga “adulto” e
“realistico” che ha il suo esponente di maggior spicco in
Yoshihiro Tatsumi (autore di <i>Una vita tra i margini</i>, in Italia
per Bao).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dimostrando una volta di
più la sua intelligenza anticonformista, però, Filosa accentra la
sua attenzione in particolare su due figure meno note del filone, i
fratelli <b>Yoshiharu Tsuge</b> e (in particolare) <b>Tadao Tsuge</b>, che
Francesco letteralmente insegue nella speranza di incontrare nel suo
negozio in Edogawadai. Il racconto di questa ossessione si intreccia
con quello della vita nella capitale e con lo spaesamento che il
timido studente italiano prova di fronte alla particolare realtà
nipponica, e alla vertigine sensoriale data dall'impatto con una
metropoli variegata e non priva di punti controversi (si citano anche
i casi di suicidio ormai avvertiti quasi come rituali nelle gallerie
della metropolitana o nei boschi circostanti). Questo aspetto finisce
ben presto per assorbire la maggior parte della narrazione,
attraverso uno stile di racconto che abbraccia totalmente la visione
soggettiva di Francesco, mescolando, senza soluzione di continuità,
realtà e sogno a occhi aperti, esperienze reali e percezioni
allucinate che restituiscono un timor panico verso un mondo concreto
ma allo stesso tempo alieno.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pertanto, la dimensione
<i>fiction</i> data dal fumetto si intreccia alla componente
autobiografica, in una forma intermedia fra l'estetica propria del
gekika e il racconto di formazione all'occidentale: il fumetto ha
infatti l'aspetto di un autentico manga, con tanto di senso di
lettura ribaltato e soluzioni visive debitrici dei vari maestri.
Sebbene abbastanza omogeneo nello stile, infatti, il disegno presenta
sensibili differenze tra i vari capitoli, a volte si fa più
realistico e fine nel tratto, in altri casi assume una caratura più
essenziale, con poche linee a descrivere le forme e le situazioni,
fino a momenti dichiaratamente grotteschi – lo stesso Francesco
sembra uscito visivamente da un'opera di Shigeru Mizuki, pure evocato
nelle visioni allucinate della foresta dei suicidi. Per questo motivo
il ritmo può apparire a tratti frammentato e spiazzante,
l'impressione è quella di un racconto che a volte “salta” da una
situazione all'altra, ma in questo modo riesce a riprodurre il senso
di spaesamento del suo protagonista. Trasferendo la sua curiosità
anticonformista nella stessa raffigurazione del Giappone, Filosa ci
propone un'opera piena di riferimenti alla cultura pop nipponica
(molto noti anche in Occidente), ma allo stesso tempo ci mostra un
Giappone inedito, oscuro, notturno e animato da una violenza casuale
e perciò disumana, ma dove pure è possibile stringere amicizie
forti e trovare spazio per gli affetti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La ricerca dei propri
numi tutelari torna rilevante nella parte finale, con il possibile
incontro con Tadao Tsuge, il cui destino è bene lasciare alla
scoperta dello spettatore. L'opera è realizzata per l'editore
bolognese Canicola, che testimonia anche in questo caso la scelta per
realtà più di nicchia e anticonformiste, ma non per questo meno
interessanti.<br />
<br /></div>
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/u7O7NMtDtnQ" width="560"></iframe>
<br />
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Viaggio a Tokyo</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Vincenzo Filosa</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Canicola, Bologna,
2015</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>264 pagine, 18 euro</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://quattrononi.wordpress.com/2016/02/27/viaggio-a-tokio_-intervista-a-vincenzo-filosa/" target="_blank">Intervista a Vincenzo Filosa</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.canicola.net/" target="_blank">Sito di Canicola</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-26565996684673783002016-03-09T16:21:00.001+01:002016-03-09T16:21:55.486+01:00Il Drago e la Saetta<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Il Drago e la Saetta</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-H8zfwi-2__w/VuA_c4wiXrI/AAAAAAAADEU/rPVswyEWRak/s1600/dragoelasaetta.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://4.bp.blogspot.com/-H8zfwi-2__w/VuA_c4wiXrI/AAAAAAAADEU/rPVswyEWRak/s1600/dragoelasaetta.jpg" /></a></div>
Il nome di Marco
Pellitteri è uno dei primi a risaltare quando si affronta il <i>mare
magnum</i> della saggistica sull'animazione giapponese: non solo
perché è stato, di fatto, uno dei precursori del filone, ma anche
per la grande consapevolezza che ha sempre animato il suo lavoro. Da
un lato, infatti, i suoi scritti hanno avuto il merito di
sistematizzare e analizzare in prospettiva critica il materiale
giunto in Italia dalla fine degli anni Settanta, dando voce alle
istanze di una generazione che, in fondo, lo aveva assorbito quasi
per osmosi, senza forse andare troppo in profondità nelle sue
caratteristiche peculiari – ovvero quelle che lo avevano
immediatamente distinto da ciò che c'era <i>prima</i> e da quanto è
venuto <i>dopo</i>. Il testo fondamentale, in questo senso, è
<i>Mazinga Nostalgia</i>, che ha avuto varie riscritture dal 1999 in
poi, e che mette a confronto il “nuovo” immaginario giapponese
con quello dei “padri”. Il che ci porta all'altro merito della
sua analisi: confutare molte delle cattive impressioni della prima
ora, suscitate dalla novità in un pubblico adulto, abituato a
differenti codici espressivi e subito pronto a gridare alla
<i>corruzione dell'innocenza</i>. Si tratta quindi di un lavoro che è
allo stesso tempo critico, analitico, ma anche utile a rivendicare
l'appartenenza a un immaginario e, per estensione, una caratura
identitaria al <i>fandom</i> degli anime.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>Il Drago e la Saetta</i>
rappresenta l'estensione e il parziale completamento di quel
percorso, attraverso un corposo volume che mira a finalità
dichiaratamente accademiche. Il taglio si fa perciò ancor più
storico-sociologico-analitico e si prosegue nella confutazione di
molte credenze della prima ora, ponendole in una prospettiva che
guardi non solo al momento della transizione fra passato e presente,
ma anche alle possibili nuove istanze dell'animazione giapponese in
rapporto con la modernità – naturalmente va considerato come il
volume abbia ormai alcuni anni alle spalle, essendo uscito nel 2008.
Una sorta di analisi del “distacco”, che cerca di riscattare un
immaginario dalla componente totalmente nostalgica (comunque non del
tutto rinnegata) per immergerlo ancor più nella cultura d'origine e
anche nella contaminazione di segni, forme e linguaggi che nel tempo
lo stesso ha naturalmente creato attraverso il confronto con i
mercati che hanno subito “l'invasione”: in primis (sebbene in
modo meno accentuato che altrove) gli Stati Uniti e poi,
naturalmente, l'Europa, con l'Italia e la Francia a fare da
apripista. La mappatura è comunque ad amplissimo raggio, complici
anche gli studi che Pellitteri sta compiendo con alcuni analisti
internazionali per rendere il suo lavoro il più possibile
comparativo e completo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pertanto, l'autore
individua due grandi “movimenti” nel lungo rapporto fra
l'animazione giapponese e il mondo, sintetizzati nelle icone eponime
del <b>Drago</b> e della <b>Saetta</b>, che trasfigurano le due serie individuate
come più peculiari per i ragionamenti posti in essere: <i>Ufo Robot
Goldrake</i> (dove il robot dalle corna dorate richiama vagamente
l'idea visiva del Drago) e <i>Pokémon</i> (con la Saetta che
richiama le scariche elettriche emesse da Pikachu, l'animale-simbolo
del brand). La prima delle due serie sintetizza infatti l'impatto
dirompente di una nuova narrazione seriale che sopraggiunge sui
mercati creando un'immediata affinità tematico-spettacolare con il
pubblico più giovane, affascinato dagli scontri epici, dai
protagonisti tormentati e dalla particolare miscela di pacifismo
ideale e utopia dell'esplorazione spaziale rovesciata nell'incubo
dell'invasione nemica. L'analisi di Pellitteri è completa laddove
non si ferma alle peculiarità più volte analizzate anche in altre
sedi, ma cerca pure i significati più reconditi dell'alterità
insita in un eroe alieno ma sentito come affine (una possibile
metafora del rapporto di vicinanza-lontananza fra il Giappone e gli
Stati Uniti?).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'impatto di <i>Goldrake</i>
non esaurisce però la spinta di un nuovo modello che giunge in
Europa in maniera più casuale che per reali volontà di espansione
commerciale: per attendere questo secondo movimento dovremo appunto
attendere il fenomeno mondiale di <i>Pokémon</i>, pensato per una
strategia di ampio respiro e che riesce pure a sintetizzare la
<i>transmedialità</i> dell'immaginario nipponico, articolato, oltre
che sul fronte animato, su quello dei videogame e del merchandise. La
riflessione sui contenuti si accompagna così a un'analisi delle
strategie di mercato, sempre tenendo fermo il rapporto con le
industrie delle nazioni occidentali (statunitensi in primis), in
grado di fornire una prospettiva il più possibile completa del
fenomeno.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Naturalmente, le due
serie permettono anche una trattazione di alcune iconografie e
categorie percepite dall'autore come particolarmente rappresentative
del particolare sentire giapponese: l'<b>infante</b>, attraverso l'estetica
<i>kawaii</i>, ovvero quella particolare espressione della carineria
e del grazioso che stilizza un immaginario infantile in forme
apprezzate anche da un pubblico adulto; la <b>macchina</b>, attraverso
l'icona del robot e del corpo sintetico, dai giganti d'acciaio come
il già citato Goldrake, fino alle derive cyberpunk che riflettono il
particolare rapporto fra l'evoluzione tecnologica e il disagio
esistenziale delle generazioni moderne; e infine la <b>mutazione</b>, intesa
un po' come il punto d'unione dei precedenti percorsi, dove la
contaminazione dona sostanza a realtà ibride e iconografie nuove
(come possono essere, appunto, quella dei <i>Pokémon</i>), “<i>dal
pesante al leggero e dal reale al virtuale</i>”. Tutte queste forme
attraversano e sintetizzano tanto l'animazione quanto le altre forme
dell'industria dell'intrattenimento nipponica, arrivando quindi anche
al fumetto, alla musica, al cinema e via citando.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il libro cerca perciò di
dare sistematicità a questa complessa mole di argomenti attraverso
un approccio lineare e il più possibile chiaro, con una divisione in
capitoli netta ma dove ogni argomento sembra confluire nel successivo
in una forma sicuramente densa, puntigliosa nei suoi molteplici
riferimenti e debitrice di un'impostazione accademica, ma comunque il
più possibile discorsiva. I riferimenti interni sono evidenziati
attraverso rimandi precisi e anticipazioni degli argomenti trattati
nelle pagine successive. Il percorso parte quindi dalle peculiarità
tematiche dell'animazione e della cultura giapponesi, in grado di
esaltare la particolare natura di un sentire che è fortemente
identitario rispetto alla Storia dell'Arcipelago, ma anche molto
“poroso” e abile a recepire gli spunti altrui. Il che ha
determinato la particolare universalità di un linguaggio da tutti
percepito come fortemente giapponese, eppure capace di fare breccia
nei pubblici di tutto il mondo grazie a iconografie nette ma ben
riconoscibili.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Gli spunti sono
molteplici, e tengono conto anche della particolare mutazione del
mercato dell'intrattenimento e della mutazione economica che, nel
corso dei decenni, ha interessato un mondo sempre più globalizzato:
come la cultura e l'animazione giapponesi sono state capaci di mutare
pelle, così il mondo è cambiato con loro e il racconto di questa
conoscenza reciproca, al netto delle confusioni che il testo cerca di
chiarire, ha dunque il sapore di un dialogo stratificato e fecondo.
Non mancano anche argomenti più controversi, che riflettono il
dibattito interno e le possibili recrudescenze conservatrici della
società nipponica, sebbene gli autori dimostrino anche un
atteggiamento appassionato che a tratti assume il sapore di una
partigianeria volta a esaltare in modo particolare la cultura
nipponica a scapito di quelle occidentali (si veda in particolare il
saggio di Jean-Marie Bouissou sul manga, dove i confronti con il
fumetto euro-americano appaiono eccessivamente esemplificativi).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A proposito dei
contributi esterni, oltre all'appena citato saggio di Bouissou, il
volume presenta inoltre una prefazione del sociologo giapponese
Kiyomitsu Yui, e interventi di Gianluca Di Fratta, Cristiano
Martorella, Bounthavy Suvilay, pure orientati a rendere il lavoro il
più completo possibile.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Il Drago e la Saetta –
Modelli, strategie e identità dell'immaginario giapponese</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Marco Pellitteri</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>2008</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Tunué, Latina</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>664 pagine</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.tunue.com/it/esprit/108-il-drago-e-la-saetta.html#.VuA-x_nhDIU" target="_blank">Il libro sul sito dell'editore</a><br />
<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Pellitteri" target="_blank">Marco Pellitteri su Wikipedia</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-6416099027895900232016-02-22T15:06:00.000+01:002016-03-06T16:53:58.994+01:00Lo chiamavano Jeeg Robot<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Lo chiamavano Jeeg Robot</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-4WiV9EVSQSI/VssU5fu_SKI/AAAAAAAADDw/qfMGYetXlzc/s1600/lochiamavanojeegrobotposter.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-4WiV9EVSQSI/VssU5fu_SKI/AAAAAAAADDw/qfMGYetXlzc/s320/lochiamavanojeegrobotposter.jpg" width="224" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>Enzo Ceccotti è un
ladruncolo di quart'ordine in una Roma degradata e difficile. Un giorno, mentre è
in fuga dalla polizia, viene a contatto con dei rifiuti tossici
scaricati nel fiume Tevere e acquisisce una forza straordinaria. La
sua vita, già scossa da questo evento, viene ulteriormente
complicata dalla conoscenza di Alessia, una ragazza affetta da
disturbo da stress post traumatico conseguente alla morte dei
genitori, che si esprime in una visione compulsiva della serie
animata “Jeeg robot d'acciaio”. Scoperti i poteri di Enzo,
Alessia vede lui l'incarnazione dell'eroico Jeeg. Fra il riluttante
eroe e la sfortunata ragazza nasce così una strampalata ma tenera
relazione, anche se le capacità di Enzo iniziano a fare notizia e ad
attirare l'attenzione dello Zingaro, un piccolo malavitoso, afflitto
da manie di grandezza che lo rendono un'autentica mina vagante.</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Accolto con grande calore alla Festa del Cinema di Roma 2015 e, subito dopo, a Lucca Comics & Games,
arriva finalmente nelle sale il primo lungometraggio di Gabriele
Mainetti, sostenuto con forza dal distributore Lucky Red attraverso
un'intesa campagna sui social network e l'uscita nelle edicole di una
versione a fumetti, scritta da Roberto Recchioni e disegnata da
Giorgio Pontrelli. L'accenno a Jeeg Robot nel titolo, ha comunque
disorientato una parte del pubblico, convinta di trovarsi di fronte a
una scialba trasposizione della celebre serie animata, creata dalla
Toei Animation nel 1975 a partire da un'idea di Go Nagai. Ancora sui
social network, sono così fioccate svariate polemiche, legate a un
presunto delitto di lesa maestà nei confronti del robot animato, da
molti considerato un'autentica quell'icona generazionale. Nulla di
tutto questo, in realtà, per una polemica pretestuosa, che ricorda
quella che ha pure accompagnato l'uscita di <i><a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2013/07/pacific-rim.html">Pacific Rim</a></i>, da
alcuni considerato a torto una “copia” di <i>Neon Genesis
Evangelion</i> (in quel caso senza considerare ovviamente il fatto
che il genere giapponese dei <i>mecha</i>, all'epoca dello stesso
<i>Evangelion</i>, aveva già almeno due decenni di vita alle
spalle...).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per capire meglio il
senso dell'operazione è bene esplorare la precedente filmografia di
Mainetti e, in particolare, i due cortometraggi che lo hanno imposto
all'attenzione generale e dove già risaltava il sodalizio artistico con lo sceneggiatore Nicola Guaglianone - qui nel film affiancato dal fumettista <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Menotti_(fumettista)" target="_blank">Menotti</a>. Il primo, <i><b>Basette</b></i>, del 2008, racconta
la storia di un piccolo rapinatore romano (interpretato dall'ottimo
Valerio Mastandrea), grande fan di <i>Lupin III</i>, che riesce a
coronare il sogno di “trasformarsi” nel suo eroe proprio
nell'attimo del maggiore declino, durante un colpo andato a male, che
sarà poi anche l'ultimo della sua vita. A questo segue, nel 2012,
<i><b>Tiger Boy</b></i>, in cui un bambino segue con passione le imprese di
un wrestler con la maschera da tigre, che diventa un modello cui
aggrapparsi per reagire agli abusi sessuali perpetrati ai suoi danni
dal preside della scuola. Il riferimento pop al celebre <i>L'uomo
tigre</i> non è mai esplicitato, ma risuona come un'eco ugualmente
riconoscibile dallo spettatore.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Entrambi i lavori,
raggiungibili attraverso i link qui sotto, rivelano quindi un autore
cresciuto nel pieno di un immaginario pop, che diventa il mezzo (e
mai il fine) per affrontare i risvolti più difficili della realtà:
un punto di fuga da cui raccontare di protagonisti dissociati
rispetto al mondo in cui vivono, ma che più di tutti riescono a
metterne a nudo le criticità. La citazione, in questo caso, diventa
quindi un'interfaccia per raffigurare le contraddizioni umane nella
pienezza dell'espressione artistica, e, forse, l'unico mezzo che
questi personaggi hanno per riuscire a volgere a proprio vantaggio un
mondo che li condanna a una perenne sconfitta. D'altronde, non è a
questo che servono gli eroi?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-H5ez2NBsQkk/VssVIT7yLWI/AAAAAAAADD0/qWshSURbvmM/s1600/lochiamavanojeegrobot1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="177" src="https://3.bp.blogspot.com/-H5ez2NBsQkk/VssVIT7yLWI/AAAAAAAADD0/qWshSURbvmM/s320/lochiamavanojeegrobot1.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i><b>Lo chiamavano Jeeg
Robot</b> </i>rappresenta la naturale evoluzione di questo percorso: la
forma del lungometraggio permette infatti a Mainetti di ispessire i
termini del discorso, senza tradirne gli assunti di fondo. Riecco
quindi un protagonista disilluso e solo, costretto nel ruolo del
ladruncolo perdente, che, investito del potere e del ruolo del
supereroe, ottiene la possibilità di stravolgere la sua vita. Lo
farà innanzitutto pensando al proprio tornaconto, finché,
l'incontro con le due figure chiave di Alessia e dello Zingaro, non lo
spingeranno a mettersi in gioco sotto una nuova veste. La
triangolazione si snoda quindi fra personaggi egualmente dissociati,
ma che rappresentano una possibile alternativa al punto di vista
incarnato dall'introverso Enzo. Alessia è quello che lo investe, suo
malgrado, del ruolo di eroe attraverso l'intercessione iconica
favorita dalla figura di Jeeg Robot; lo Zingaro, invece, è il
personaggio naturalmente destinato a rappresentarne la nemesi –
che, come ogni storia di supereroi che si rispetti, altro non è che
uno speculare e un completamento dell'eroe.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mainetti mantiene così
il tono esistenziale e malinconico già emerso in <i>Basette</i> e
<i>Tiger Boy</i>, ma stavolta apre il fantastico al confronto
costruttivo con il reale, favorendo una possibile riscrittura del
mondo attraverso gli unici modelli possibili, quelli forniti,
appunto, dalla cultura pop. In questo modo, il mito e la fantasia non
restano confinati al sogno o alla visione, ma diventano un elemento
reale, che rende il supereroe verosimile – qualcuno ha mosso
paralleli con <i>Kick-Ass</i> e il <i>Super</i> di James Gunn e il
riferimento non è peregrino. La storia di Enzo Ceccotti ha quindi il
sapore autentico di un dramma delle periferie italiche, ma possiede
anche la capacità immaginifica e fantasy delle storie supereroiche
all'americana. E quindi, così come il ladruncolo diventa suo
malgrado eroe, così il piccolo film di Mainetti diventa anche una
riflessione metanarrativa sul nostro bisogno di simboli, e su come un
racconto di questo tipo dovrebbe sempre puntare a ispirare il meglio
in ogni spettatore (laddove oggi, diversamente, tutto si esaurisce in
un citazionismo inerte e autoreferenziale, indirizzato solo a chi già
conosce il fumetto di riferimento).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>Lo chiamavano Jeeg
Robot</i> diventa perciò un piccolo grande film di supereroi
all'italiana, che ha certi crismi della commedia, ma è a tutti gli
effetti un'opera seria e ossequiosa delle “regole interne” del
filone, senza complessi di inferiorità rispetto ai modelli
anglosassoni, ma con una forza personale e vibrante. Merito anche di
una perfetta sinergia con il cast: Enzo/Jeeg è un incredibile
Claudio Santamaria, ingrassato per il ruolo e perfetto per esprimere
il misto di tenerezza e insofferenza tipici del suo personaggio; gli
fa da contraltare un vulcanico Luca Marinelli (che evolve per certi
aspetti il ruolo già sostenuto in <i>Non essere cattivo</i> di
Claudio Caligari) e una fragile eppure intensa Ilenia Pastorelli. Un film da non perdere!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Lo chiamavano Jeeg
Robot</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Regia e produzione:
Gabriele Mainetti</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Menotti (soggetto di Nicola Guaglianone)</b><br />
<b>Con Claudio
Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Italia, 2015</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Durata: </b>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.lochiamavanojeegrobot.it/" target="_blank">Sito ufficiale</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.facebook.com/lochiamavanojeegrobot" target="_blank">Pagina Facebook</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.luckyred.it/lo-chiamavano-jeeg-robot" target="_blank">La scheda sul sito Lucky Red</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.youtube.com/playlist?list=PLRTym6fyuPjJC5VBOd-rcmA8G5lAU4vp_" target="_blank">Playlist YouTube</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://vimeo.com/15020146" target="_blank"><i>Basette</i> su Vimeo</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://vimeo.com/144552817" target="_blank"><i>Tiger Boy</i> su Vimeo</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-44247499535408393932016-01-15T00:24:00.004+01:002016-08-30T00:42:57.089+02:00Vorrei cantare insieme a voi... la storia dietro il video!<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Vorrei cantare insieme a
voi... la storia dietro il video!</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Buon Anno a tutti, per
iniziare. Siamo a metà Gennaio, e il lungo periodo delle Feste
natalizie, ormai archiviato, è stato celebrato qui sul Nido, come da
prassi, “appendendo” nello spazio delle Visioni dalla Rete lo
spot anni Ottanta della Coca-Cola, con il celeberrimo brano <i>Vorrei
cantare insieme a voi... in magica armonia...</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i><br /></i></div>
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/EoNwuXV266w" width="420"></iframe>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i><br /></i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
E' un rito che ripeto
praticamente ogni anno, fin dal 2009 (praticamente <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2009/06/visioni-dalla-rete.html">da quando esiste Visioni dalla Rete</a>) e al quale avevo <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2009/12/vorrei-cantare-insieme-voi.html">già dedicato uno scritto</a>: nella
circostanza, anzi, mi interrogavo sull'origine dello spot... che dopo
le opportune ricerche ha finalmente una storia che merita di essere
raccontata.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Intanto iniziamo con un
po' di date: lo spot sembra essere andato in onda in Italia ogni anno a partire
dal <b>1983</b>, fino al 1991 (stando a <a href="http://www.tecata.it/index.php/dettaglio-video/mediaitem/2052-the-coca-cola-company-coca-cola-sogg-hilltop-natale-buone-feste-1983-1984-1985-1986-1987-1988-1989-1990-1991" target="_blank">Tecatà</a> e alle note alle versioni caricate su Dailymotion), con una parziale riproposizione nel 2011 in una campagna
commemorativa realizzata per i 125 anni del marchio Coca-Cola (qui la
fonte è <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/I%27d_Like_to_Teach_the_World_to_Sing_(In_Perfect_Harmony)" target="_blank">Wikipedia</a>). La lunghezza dell'arco temporale che copre
praticamente tutto il decennio degli Ottanta, giustifica naturalmente
la natura “cult” dello spot che è diventato un po' il simbolo
dell'arrivo delle Feste (praticamente come fare l'albero o il
presepe) e che rinsalda la tradizione “natalizia” della bevanda
americana – scrivevo <a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2009/12/vorrei-cantare-insieme-voi.html">l'altra volta</a> che il marchio è stato
fondamentale anche per fissare in maniera definitiva nell'immaginario
globale l'iconografia del Babbo Natale vestito di rosso e bianco.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'origine di tutto va
rintracciata nel 1971, il 18 Gennaio per l'esattezza, quando <b>Bill
Backer</b>, creativo della Coca-Cola per conto dell'agenzia <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/McCann_Erickson" target="_blank">McCannErickson</a>, era in viaggio per Londra, per creare un brano da usare in
due nuovi spot della bevanda, che sarebbero stati cantati dal
popolare (per l'epoca in particolare) gruppo dei <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/The_New_Seekers" target="_blank">New Seekers</a>. Durante un atterraggio
in Irlanda, per la nebbia, Backer notò un gruppo di persone chiacchierare divertite bevendo Coca-Cola, un'immagine decisamente in contrasto con il nervosismo che serpeggiava fra i passeggeri molto seccati dalla sosta inattesa. La bevanda, insomma, sembrava evocare quasi un potere “pacificatore” e “socializzante”, e questo offrì a Backer lo spunto per
quello che sarebbe diventato il brano <i>I'd Like to Buy the World a
Coke</i>. L'idea, in fondo, era molto semplice: se la Cola ha una simile capacità di spingere la gente all'allegria e alla socializzazione, vorrei comprare una bottiglia per tutti gli abitanti del mondo, in modo che siano felici. Il brano, sviluppato con i compositori Roger Cook e
Roger Greenaway, venne inciso come previsto da New Seekers e usato
nello spot oggi noto come “<i>Hilltop</i>” perché ambientato su
una collina, dove ragazzi di varia etnia cantano uniti nell'ideale
condivisione di una positività senza confini. La forza della Cola,
dopotutto, poggia anche su una capacità di ragionare in senso
mitico, proponendosi come baluardo dell'<i>americanità</i>, intesa
come la tendenza degli States – soprattutto nel periodo della
Guerra Fredda – a ergersi quale nazione <i>buona</i> e sempre pronta
a inneggiare alla pace.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/ib-Qiyklq-Q" width="420"></ifra1me>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'atmosfera del video
risente chiaramente delle influenze hippy dell'epoca, nella sua
unione di un'estetica che predica un ideale ritorno alla natura,
unita a un furbo messaggio commerciale (curiosità: il video è stato
girato in Italia, nel Lazio per la precisione, da Roberto Malenotti
dopo che l'Irlanda si era rivelata impraticabile per il maltempo - la fonte è <a href="http://www.coloribus.com/adsarchive/tv-commercials/coca-cola-hilltop-2236655/" target="_blank">Coloribus</a>.
Alla fine il budget si rivelò altissimo, circa 250.000 dollari. La
diffusione in America iniziò nel Luglio 1971).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il brano, amato subito
dal pubblico, ha poi avuto anche una sua vita autonoma, con il titolo
cambiato in <i>I'd Like To Teach the World to Sing (In Perfect
Harmony)</i>. Essendo i New Seekers impegnati, la prima incisione fu
degli <a href="https://www.youtube.com/watch?v=ASe7ioPis6I" target="_blank">Hillside Singers</a> (i cantanti della collina, per creare l'ovvio
riferimento allo spot).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La versione natalizia che
conosciamo è da considerarsi una variazione sul tema, pensata
appositamente per le Feste e, stando alle fonti circolanti in rete,
diffusa a partire dal 1978.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nei cinque anni che la
separano dalla versione italiana però... qualcosa si perde: il
messaggio pacificatore dei due spot originali si manifesta infatti
attraverso una scelta di cast multietnica, che inneggia dunque
all'abbattimento delle barriere. C'è l'insieme delle persone che,
riunite, cantano (“<i>insieme a voi...</i>”)
e la macchina da presa apre su una serie di primi piani, scelti a
caso fra i presenti. Nella versione americana dell'<i>Hilltop
Christmas</i> (così è chiamato lo spot natalizio) si parte con una
ragazza di chiara etnia caucasica e, attraverso alcune dissolvenze
incrociate, si passa prima a una ragazza orientale e poi a un ragazzo
nero. Nell'edizione italiana questi ultimi due volti sono tagliati.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In parte il taglio è
giustificato dalla minore durata del filmato, che “accorcia”
tutte le inquadrature (e persino la musica, che parte direttamente
dal cantato senza l'incipit sonoro): lo spot americano dura infatti
50 secondi, contro i 30 della versione italiana. Però è difficile
togliersi dalla testa che la scelta di eliminare i due volti sia
dovuta a qualcosa in più. E' infatti possibile che chi ha curato
l'edizione italiana abbia ritenuto troppo “estreme” per il pacato
pubblico nostrano le fattezze non caucasiche dei due giovani – un
chiaro sintomo di quanto il multiculturalismo nel nostro paese sia un
valore poco radicato e sempre guardato con sospetto, se non
addirittura con timore.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Una nota stonata che
finisce per ridimensionare il messaggio di fratellanza universale
veicolato nello spot fin dalla sua creazione. Resta il piacere
nostalgico del filmato, la sua capacità di evocare l'<i>aria di
Natale</i>, complice la prolungata esposizione sui nostri teleschermi
e la forza trascinante di un brano che, anche nella nostra lingua, è
davvero difficile non accompagnare con il canto appena iniziano a
risuonare le prime note.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
(Un ringraziamento
particolare va a Alessandro Montosi per le informazioni fornite).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La storia dello spot sul
sito della Coca-Cola (in inglese)</div>
</iframe><br />
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'atmosfera del video
risente chiaramente delle influenze hippy dell'epoca, nella sua
unione di un'estetica che predica un ideale ritorno alla natura,
unita a un furbo messaggio commerciale (curiosità: il video è stato
girato in Italia, nel Lazio per la precisione, da Roberto Malenotti
dopo che l'Irlanda si era rivelata impraticabile per il maltempo - la fonte è <a href="http://www.coloribus.com/adsarchive/tv-commercials/coca-cola-hilltop-2236655/" target="_blank">Coloribus</a>.
Alla fine il budget si rivelò altissimo, circa 250.000 dollari. La
diffusione in America iniziò nel Luglio 1971).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il brano, amato subito
dal pubblico, ha poi avuto anche una sua vita autonoma, con il titolo
cambiato in <i>I'd Like To Teach the World to Sing (In Perfect
Harmony)</i>. Essendo i New Seekers impegnati, la prima incisione fu
degli <a href="https://www.youtube.com/watch?v=ASe7ioPis6I" target="_blank">Hillside Singers</a> (i cantanti della collina, per creare l'ovvio
riferimento allo spot). La versione dei Seekers arrivò poco dopo, ecco la cover del 45 giri:<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-CfcHvLmTbKA/VpivO1SZKTI/AAAAAAAADDQ/ERRvlcbaTMs/s1600/teachtheworldnewseekers.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://4.bp.blogspot.com/-CfcHvLmTbKA/VpivO1SZKTI/AAAAAAAADDQ/ERRvlcbaTMs/s1600/teachtheworldnewseekers.jpg" /></a></div>
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La versione natalizia che
conosciamo è da considerarsi una variazione sul tema, pensata
appositamente per le Feste e, stando alle fonti circolanti in rete,
diffusa a partire dal 1978.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/_zCsFvVg0UY" width="420"></iframe>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nei cinque anni che la
separano dalla versione italiana però... qualcosa si perde: il
messaggio pacificatore dei due spot originali si manifesta infatti
attraverso una scelta di cast multietnica, che inneggia dunque
all'abbattimento delle barriere. C'è l'insieme delle persone che,
riunite, cantano (“<i>insieme a voi...</i>”)
e la regia apre su una serie di primi piani, scelti fra i presenti. Nella versione americana del<i> Christmas </i><i>Hilltop </i>(così è chiamato lo spot natalizio) si parte con una
ragazza di chiara etnia caucasica e, attraverso alcune dissolvenze
incrociate, si passa prima a una ragazza orientale e poi a un ragazzo
nero. Nell'edizione italiana questi ultimi due volti sono tagliati.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-mVQq4vzhVqM/Vpgt9sMZ6TI/AAAAAAAADDA/p_scaXtrHPw/s1600/christmashilltopvolti.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-mVQq4vzhVqM/Vpgt9sMZ6TI/AAAAAAAADDA/p_scaXtrHPw/s1600/christmashilltopvolti.jpg" /></a></div>
<br />
In parte il taglio è
giustificato dalla minore durata del filmato, che “accorcia”
tutte le inquadrature (e persino la musica, che parte direttamente
dal cantato senza l'incipit sonoro): lo spot americano dura infatti
50 secondi, contro i 30 della versione italiana. Però è difficile
togliersi dalla testa che la scelta di eliminare i due volti sia
dovuta a qualcosa in più. E' infatti possibile che chi ha curato
l'edizione italiana abbia ritenuto troppo “estreme” per il pacato
pubblico nostrano le fattezze non caucasiche degli ultimi due giovani – un
chiaro sintomo di quanto il multiculturalismo nel nostro paese sia un
valore poco radicato e sempre guardato con sospetto, se non
addirittura con timore.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Una nota stonata che
finisce per ridimensionare il messaggio di fratellanza universale
veicolato nello spot fin dalla sua creazione. Resta il piacere
nostalgico del filmato, la sua capacità di evocare l'<i>aria di
Natale</i>, complice la prolungata esposizione sui nostri teleschermi
e la forza trascinante di un brano che, anche nella nostra lingua, è
davvero difficile non accompagnare con il canto appena iniziano a
risuonare le prime note.<br />
<br />
La storia, comunque, non è finita: lo
spot ottiene, come sappiamo, un grande successo in Italia, al
punto che, nel 1986, viene prodotto il <a href="https://www.youtube.com/watch?v=bRrLfRyKaD0" target="_blank">disco</a>. Per l'occasione il
testo viene modificato rispetto a quello sentito in televisione, perdendo i
riferimenti alla bevanda, esattamente come era avvenuto con la
versione discografica americana. Nasce così <i>Come vorrei un mondo
che cantasse insieme a me. </i>Il gruppo cantante è accreditato come
Coro Coro, mentre il nuovo arrangiamento, la produzione e la realizzazione sono di
<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Oscar_Prudente" target="_blank">Oscar Prudente</a>. Il brano esce sia su 33 giri, nell'antologia <i>E le
stelle stanno a cantare</i>, che su 45 giri, entrambi distribuiti
dalla CGD Messaggerie Musicali Spa. Quella riportata qui sotto è
proprio la cover del 45 giri che, sul retro, riporta in piccolo e fra
parentesi anche il titolo originale <i>I'd Like to Teach the World to
Sing</i>.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-JmkP3JDbbro/V8S4frLW9uI/AAAAAAAADIs/JvNincEmEscQmoo71Lj1Re2ggz4dcJxdACLcB/s1600/comevorreiunmondoche.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://4.bp.blogspot.com/-JmkP3JDbbro/V8S4frLW9uI/AAAAAAAADIs/JvNincEmEscQmoo71Lj1Re2ggz4dcJxdACLcB/s1600/comevorreiunmondoche.jpg" /></a></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il nuovo testo italiano è di Cristiano Minellono. Da
notare che sul <a href="http://www.tv-pedia.com/zapzaptv/viewtopic.php?f=15&t=4910" target="_blank">forum di Zap Zap TV</a>, dell'associazione culturale
TV-Pedia, il testo della versione televisiva “natalizia” è
attribuito invece a Gerry Scotti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
Il
viaggio si conclude, ancora una volta, in America: lo spot originale
è infatti considerato un classico dei <i>commercial</i> statunitensi e così, nel 1990, la Coca-Cola lo ha celebrato con un vero e proprio seguito, intitolato <i>Reunion</i>, dove il cast originale torna a cantare il brano insieme ai figli (viene intonata anche la nuova canzone <i>Can't Beat the Real Thing</i>, usata nello stesso anno nelle campagne principali):</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/Wqd5K5goiIo" width="560"></iframe>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
(Un ringraziamento
particolare va a <b>Alessandro Montosi</b> per le informazioni fornite).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<a href="http://www.coca-colacompany.com/stories/coke-lore-hilltop-story/" target="_blank"><br /></a>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.coca-colacompany.com/stories/coke-lore-hilltop-story/" target="_blank">La storia dello spot sul sito della Coca-Cola (in inglese)</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-53369376114522929852015-12-15T13:13:00.001+01:002015-12-15T13:42:45.713+01:00Le anime disegnate<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Le anime disegnate</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-ee0fNyhUo_I/VnAD55xAZYI/AAAAAAAADCU/G_E-OY5h-zw/s1600/animedisegnateraffaelli.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/-ee0fNyhUo_I/VnAD55xAZYI/AAAAAAAADCU/G_E-OY5h-zw/s320/animedisegnateraffaelli.jpg" width="195" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>Le anime disegnate</i>
è un libro dalle molte vite. Il fatto che sia citato spesso prova
quanto si sia guadagnato sul campo la statura di classico: in fondo
ha più di vent'anni sulle spalle e rappresenta uno dei primi saggi a
comparare l'animazione occidentale con quella orientale senza
particolari complessi di superiorità o inferiorità da una parte e
dall'altra. Allo stesso tempo, però, è un libro che, nel tempo, è
stato sottoposto dal suo autore a svariate riedizioni e quindi è
stato rivisto, cambiato e ampliato – qui prendo in analisi la terza
edizione del 1998, edita da Castelvecchi, ma ce ne sono altre più
recenti. La cosa in sé può apparire anche bizzarra, ma è
sufficiente una lettura anche superficiale per rendersi conto che la
struttura è abbastanza rapsodica: che non significa improvvisata, si
badi.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ci sono tre
macrocapitoli: uno dedicato al genio di Walt Disney, uno alla natura
controcorrente dei cortometraggi Warner Bros (che si allunga anche
alla MGM e a Hanna & Barbera), per poi arrivare al Giappone. Su
questa gabbia ben definita, si aprono poi le molte possibilità
ispirate da una scrittura che, seppur molto lucida, sembra seguire il
filo dei pensieri in modo molto colloquiale, come se nascesse
dall'ispirazione del momento, interrompendosi, concedendosi
digressioni, aprendo deviazioni più o meno brevi su punti che si
vogliono comunque “fermare” in questo divertito ma mai futile
viaggio nei mondi animati.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ed è un libro che
<i>smentisce se stesso</i>: nel senso che la tradizione ce lo ha
tramandato come un libro quasi esclusivamente orientato alla difesa
dei cartoon giapponesi. Ma invece tutto è ben distribuito, nella sua
divisione del mondo. Certo, la parte “americana” dimostra una
maggiore scioltezza, tipica di un argomento con cui si ha la
dimestichezza data dalla lunga frequentazione e dalla saggistica già
corposa. Quando si arriva al Giappone il percorso è chiaramente più
impervio, nei primi anni Novanta è ancora un territorio poco noto:
la scrittura si fa quindi più guardinga, attenta a rimettere anche
in riga i pregiudizi fioccati nel decennio precedente, ma sempre con
quel gusto per la scoperta che emerge prezioso, goloso, in tutte le
pagine.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Così, le “anime” del
titolo non sono semplicemente gli <i>anime</i> giapponesi, ma i
pensieri che muovono i vari autori, alle varie latitudini, nella
creazione di opere che sono anche riflesso di un sentire personale e
universale. E' una storia culturale dell'animazione, affrontata con
il piacere del collegamento fra punti altrimenti considerati
distanti, dove si esalta spesso il gusto del paradosso. Ad esempio
quello che vede la cultura occidentale profondamente distante e quasi
fiera della propria differenza rispetto a quella orientale, eppure
così attratta dalle storie prodotte nel lontano arcipelago (“<i>Gli
europei si sentono lontani anni luce dall'universo giapponese, dalla
sua cultura, e dal suo stile di vita. Eppure […] il cartone
giapponese ha proposto situazioni in cui i nostri ragazzi si sono
riconosciuti e continuano a riconoscersi. Questo […] perché nei
confronti della nostra infanzia la cultura occidentale, la nostra
cultura, è molto più repressiva di quanto questa voglia
riconoscere</i>”).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Va da sé che, dunque, ci
si sofferma meno sulla tecnica e più sugli aspetti sociologici e
contenutistici, nell'ambito di un approccio comunque analitico, in
grado di esaltare le differenze, ma anche i tratti in comune fra i
vari universi. In fondo <i>Le anime disegnate</i> sembra voler
dimostrare che tutto è figlio di valori universali e di una tecnica
che, fra i vari cambiamenti del caso, persegue gli stessi scopi. Un
libro agile come il suo piccolo formato, ma molto profondo, di cui si
sente il bisogno, anche dopo due decadi, in un mondo che tende sempre
a chiudere in recinti ciò che invece è pensato per abbattere
barriere.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/-5Kd02uWKock/VnAJ4aXT9uI/AAAAAAAADCk/_ixzzT6z_Tg/s1600/animedisegnateedizioni.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="205" src="http://3.bp.blogspot.com/-5Kd02uWKock/VnAJ4aXT9uI/AAAAAAAADCk/_ixzzT6z_Tg/s400/animedisegnateedizioni.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Le cover delle varie edizioni, dalla prima del 1994 (a sinistra) alla<br />
più recente del 2005 (ultima a destra)</td></tr>
</tbody></table>
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Le anime disegnate –
Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>di Luca Raffaelli</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>1994</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Terza edizione, 1998</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Castelvecchi, Roma</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>192 pagine</b><br />
<b>(attualmente il libro è nel catalogo Minimum Fax)</b><br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Raffaelli" target="_blank">Luca Raffaelli su Wikipedia</a><br />
<a href="http://www.animeclick.it/news/40919-lucca-2014-le-anime-disegnate-di-luca-raffaelli-da-tezuka-a-miyazaki" target="_blank">Conferenza dell'autore a Lucca Comics 2014</a><br />
<a href="http://www.minimumfax.com/libri/scheda_libro/27" target="_blank">La più recente edizione del libro</a><br />
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-73883358886509288782015-12-08T23:59:00.001+01:002015-12-08T23:59:55.965+01:00Animeland – Racconti tra manga, anime e cosplay<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Animeland – Racconti
tra manga, anime e cosplay</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-Z9TCLtOBWRo/VmdgUZnMwpI/AAAAAAAADCA/p1gQPYr-o80/s1600/animelandlocandina.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://2.bp.blogspot.com/-Z9TCLtOBWRo/VmdgUZnMwpI/AAAAAAAADCA/p1gQPYr-o80/s320/animelandlocandina.jpg" width="192" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La storia è nota:
l’arrivo dei cartoni animati giapponesi sulle nostre emittenti,
alla fine degli anni Settanta, ha marcato un “prima” e un “dopo”
nella storia del costume italiano, creando un legame fortissimo con
un pubblico ben definito – principalmente quello dei più giovani,
maggiormente attenti e ricettivi rispetto alla “novità”. Un
amore che ha resistito al tempo e che ha assunto, negli anni, varie
forme: c'è il collezionismo dei manga (i fumetti giapponesi), la
costante visione degli anime (i cartoon appunto), e infine il
cosplay, ovvero la pratica divertente e divertita di mascherarsi dal
proprio personaggio preferito per partecipare alle manifestazioni
dove inscenare i momenti più celebri dell’opera.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quello che era iniziato
come un semplice divertimento, magari da relegare ai soli anni
d’infanzia, alla prova del tempo si è insomma dimostrato un enorme
bacino di storie e forme. Di più: è il riflesso di una cultura
lontana ma capace di farsi linguaggio universale, grazie alla forza
espressiva del mezzo. Anime e manga vantano infatti uno stile
dinamico e innovativo nell’uso delle tecniche visive, dove
l'evocazione e la forza emotiva sopravanzano quel rispetto del
verosimile più caro alle culture occidentali, donando all'esperienza
un maggiore impatto immersivo. Da qui, a cascata, sono poi nati un
fandom articolato e varie professionalità e competenze, come
studiosi e critici della materia, nonché editori che si sono fatti
carico di portare in Italia le più recenti produzioni.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A tutto questo è
dedicato il documentario <i>Animeland – Racconti tra manga, anime e
cosplay</i>, opera prima di Francesco Chiatante, che cerca di
tracciare una mappa di questo composito universo, partendo dalle
origini dell’invasione per poi inseguire le tracce sedimentate
nell’immaginario italiano. Lo fa in due modi, attraverso i
resoconti di “chi c’era” e le dichiarazioni di chi ha poi
costruito a sua volta nuove forme, diventando parte della cultura
popolare: attori (Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea), registi
(Fausto Brizzi, Michel Gondry, Maurizio Nichetti), cantanti
(Caparezza) solo per citarne alcuni, che compongono un mosaico
affascinante.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il racconto è fluviale e
riesce replicare l'idea <i>immersiva</i> traghettando lo spettatore
in un universo “altro”, ma familiare anche ai meno avvezzi,
grazie alla capacità di fare appello a un bagaglio visivo-percettivo
che è ormai percepito come globale e trasversale alle fasce d'età.
Si parla insomma di <i>Goldrake</i>, <i>Heidi</i>, <i>Candy Candy</i>,
<i>Holly & Benji</i>, Hayao Miyazaki ma poi il racconto si prende
la libertà di concedersi i necessari <i>detour</i>, come a dire che
quei titoli restano sicuramente dei punti cardine, ma non esauriscono
il discorso in quanto singoli cascami di un tutto più grande e
articolato: sono non il punto d'origine e d'arrivo, ma piuttosto la
chiave per aprire la porta di un mondo più complesso. I bambini di
ieri, quindi, sono diventati gli adulti di oggi e tutte queste storie
e forme che hanno portato in dote sono diventate la via preferenziale
per raccontare il percorso passato e definire le nuove tendenze del
presente.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ne emerge perciò un
ritratto molto personale, che fa appello alla passione dell’autore,
ma – esattamente come i lavori che racconta – diventa poi opera
universale, capace di instaurare un dialogo con lo spettatore,
affascinandolo con un’atmosfera fiabesca ma concreta per la
specificità degli argomenti trattati. Un po' ricordo, insomma, un
po' ricognizione documentata, grazie anche alle linee guida fornita
da alcuni studiosi, primo fra tutti Luca Raffaelli, celebre saggista
e qui elevato ad autentico “narratore” e voce critica di una
generazione che ha deciso di affidarsi a questo flusso narrativo e
visivo per definire la propria realtà.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Francesco Chiatante è un
videomaker tarantino, montatore e autore di cortometraggi e
documentari, ed è stato premiato per il suo backstage del film di
Ivano De Matteo, <i>I nostri ragazzi</i>, al Festival del Cinema
Città di Spello. <i>Animeland</i> è stato realizzato in piena
indipendenza attraverso anni di ricerche, incontri con le varie
personalità e un’impressionante mole di materiale iconografico, ed
è stato infine presentato in anteprima mondiale al Roma Fiction Fest
2015. Su Siderlandia è possibile leggere la mia intervista al
regista, sul film e la passione per anime e manga:</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.siderlandia.it/2.0/animeland-i-cartoon-giapponesi-visti-dallitalia/" target="_blank">Animeland: i cartoon giapponesi visti dall’Italia (intervista a Francesco Chiatante)</a><br />
</div>
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/M_o4oJECplU" width="560"></iframe>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-91713719870069101592015-12-04T14:12:00.000+01:002015-12-04T14:12:33.395+01:00Torino Film Festival 2015<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Torino Film Festival 2015</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-5cs_0ECYt_0/VmGFlT7vGtI/AAAAAAAAC_k/9fiR6eOxSc4/s1600/tff2015poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://4.bp.blogspot.com/-5cs_0ECYt_0/VmGFlT7vGtI/AAAAAAAAC_k/9fiR6eOxSc4/s320/tff2015poster.jpg" width="226" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dal 20 al 28 Novembre si
è rinnovato il rito della trasferta torinese per il festival del
cinema, amatissimo e estremamente partecipato - quest'anno,
nonostante il ritorno delle tre sale del Lux, le code hanno spesso
lasciato fuori una parte del pubblico. Il programma può essere ben
sintetizzato dalla retrospettiva <i>Cose che verranno</i>, dove si
esplorava il <i>futuro visto dal passato</i>
(attraverso i classici della sci-fi più o meno distopica),
perché in effetti sappiamo bene che al festival è cara la
tradizione del cinema, ma senza che questo faccia mai venir meno lo
sguardo verso le nuove tendenze – e infatti, in un magnifico gioco
di paradossi, la retrospettiva resta uno spazio “protetto” ma
meno centrale che in passato.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il segreto della
fortunata ricetta torinese, in fondo, sta proprio in questo: non
cambiare mai nell'impostazione generale, ma senza negarsi al contempo il piacere della
novità. I percorsi si sono perciò articolati fra il classico
Concorso (dove ha vinto <i>Keeper</i>, di Guillame Senez); la
macro-sezione Festa Mobile, trasversale alla proposta dei nuovi
titoli di autori consolidati e piccole grandi scoperte; i percorsi
monografici su Orson Welles (per il suo centenario), Julien Temple e
Terence Davies; la sezione più “di genere” e “dark” After
Hours; e infine, ma non ultime, le Onde di Massimo Causo e Roberto
Manassero con il cinema sperimentale e di ricerca.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Torino resta quindi un
faro per il cinema di qualità, senza le tentazioni dell'evento
mondano fine a se stesso, ma è ugualmente capace di attirare le
masse e di produrre il divertimento: lo stesso direttore Emanuela
Martina ha sempre concluso ogni annuncio con un augurale “Buon divertimento”,
diverso dal più classico “buona visione” e la sfumatura non è
da poco. A proposito di divertimento, va segnalata quest'anno la
novità della Notte Horror, maratona della sezione After Hours
proseguita fino all'alba con tanto di distribuzione di cornetti, cola
e caffè per i più irriducibili (il sottoscritto non poteva
naturalmente mancarla!).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Qui di seguito (dopo il salto) brevi
schedine di alcuni fra i titoli più interessanti visti o riscoperti
al festival, nella speranza che siano prima o poi distribuiti
regolarmente in Italia:</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<a name='more'></a><br /><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>February</b></i>,
di Osgood Perkins (After Hours)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-CVbSDxti4mc/VmGGlQ1kZvI/AAAAAAAAC_s/5r3vHcKZH0U/s1600/februaryposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://4.bp.blogspot.com/-CVbSDxti4mc/VmGGlQ1kZvI/AAAAAAAAC_s/5r3vHcKZH0U/s200/februaryposter.jpg" width="133" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il figlio del mai
dimenticato Anthony ha alle spalle una rispettabile gavetta come
attore di secondo piano (in <i>Secretary</i>, <i>Alias</i> e <i>Star
Trek</i>): al festival arriva come autore di un suggestivo horror
d'atmosfera, che propone un originale rovesciamento di prospettive
sul tema della possessione demoniaca. Al posto dei soliti cliché del
filone, una struttura narrativa a rompicapo, con il continuo
andirivieni fra tempi e situazioni differenti, che solo alla fine
permetteranno ai vari pezzi di incastrarsi. Nel cast la sempre brava
Emma Roberts.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>The Devil's Candy</b></i>,
di Sean Byrne (After Hours)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-lLdUBpLVis8/VmGHGbFcDMI/AAAAAAAAC_0/-98w36_QeXQ/s1600/devilscandystill.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="171" src="http://2.bp.blogspot.com/-lLdUBpLVis8/VmGHGbFcDMI/AAAAAAAAC_0/-98w36_QeXQ/s320/devilscandystill.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il regista del bellissimo
<i><a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2010/10/loved-ones.html">The Loved Ones</a></i>
abbandona l'Australia per il suo debutto americano, con una storia
che mescola musica metal, serial killer e case stregate: così
facendo, dimostra come anche il plot più scontato possa trovare una
sua ragione d'essere se è sorretto da uno stile forte e da una
capacità visiva non comune. Un film che stimola i sensi fino al
roboante finale, per un talento da tenere d'occhio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>La guerra dei mondi</b></i>, di Byron Haskin (e George Pal) (Cose che verranno)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-qn0dXDvWoMA/VmGHzCTe9AI/AAAAAAAADAA/yg9JJ1itc-s/s1600/guerradeimondi1953poster.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/-qn0dXDvWoMA/VmGHzCTe9AI/AAAAAAAADAA/yg9JJ1itc-s/s200/guerradeimondi1953poster.jpg" width="143" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un classico,
riportato ai furori del grande schermo dal lontano 1953: le
splendide navi marziane e la devastazione che provocano sulla Terra, confermano la
forza di questo kolossal ante-litteram. Da un lato l'esaltazione di un
forte senso della comunità americana, dall'altro la disfatta totale
che nell'amarezza dell'incapacità di fare gruppo è quasi
un'anticipazione delle distopie anni Settanta: come se John Ford
incontrasse George Romero insomma! La partita, non a caso, è chiusa
dall'imprevedibilità di <i>ciò che non si vede</i>, in un film così
straordinariamente visivo (il senso dell'estetica di George Pal fa
letteralmente miracoli)! Unico neo (nostalgico): visto in lingua originale,
si sente la mancanza della <a href="https://www.youtube.com/watch?v=bmo_BL1TYhI" target="_blank">voce narrante del grandissimo Vittorio Cramer</a>.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Stand by for Tape
Back-Up</b></i>, di Ross Sutherland (Onde)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-VF0bHUdyWnI/VmGIgGUh3PI/AAAAAAAADAI/1SXXcDv2qjw/s1600/standyfortapebackupposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/-VF0bHUdyWnI/VmGIgGUh3PI/AAAAAAAADAI/1SXXcDv2qjw/s200/standyfortapebackupposter.jpg" width="142" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Partendo da una sua
performance teatrale (cui fa riferimento la locandina qui sopra), il regista inglese commenta i filmati impressi
su una vecchia videocassetta appartenuta all'amato nonno ormai
scomparso, sul quale l'uomo aveva registrato più volte. Mentre
scorrono filmati, con porzioni di vecchi film e programmi televisivi,
il nastro viene svolto e riavvolto, le parole di Sutherland creano
connessioni con la memoria e danno forma a un racconto teorico sul
riportare in vita il passato e gli affetti, e sull'esorcizzare il
sempiterno rapporto dei vivi con la morte. Esaltante sperimentazione
linguistica, che è anche un divertito omaggio cinefilo a porzioni di
memoria condivisi dal pubblico di ieri e di oggi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
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<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Love & Peace</b></i>,
di Sion Sono (After Hours)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-93Lh1WEAOdc/VmGI2AQyM1I/AAAAAAAADAQ/lUgz4KO-XZI/s1600/loveepeaceposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://2.bp.blogspot.com/-93Lh1WEAOdc/VmGI2AQyM1I/AAAAAAAADAQ/lUgz4KO-XZI/s200/loveepeaceposter.jpg" width="142" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Tre i film del prolifico
autore giapponese mostrati a Torino (su un totale di cinque diretti
nel corso dell'anno), anche molto diversi tra loro. <i>Love & Peace</i>
è il migliore, e racconta la parabola di un imbranato impiegato che
diventa una rockstar, ma non riesce a dimenticare l'amata tartaruga
Pikadon che ha abbandonato prima del successo e che è approdata in
una comunità di balocchi perduti assumendo via via dimensioni
gigantesche, fino a un finale da kaiju-eiga! Una divertente sarabanda
di situazioni che è anche una profonda riflessione sull'identità
nella società spettacolo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Di questo film è
leggibile la mia recensione più approfondita su <a href="http://www.orizzontidigloria.com/tff-33/torino-33-love-peace-di-sion-sono" target="_blank">Orizzonti di gloria</a>.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>La Terra
silenziosa</b></i>, di Geoff Murphy (Cose che verranno)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-bF_CaQCrSxc/VmGJa6zYbBI/AAAAAAAADAY/e4OVLbnz5bk/s1600/terrasilenziosaposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/-bF_CaQCrSxc/VmGJa6zYbBI/AAAAAAAADAY/e4OVLbnz5bk/s200/terrasilenziosaposter.jpg" width="140" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Fra i classici più noti
della retrospettiva spuntano alcune scelte curiose, che permettono di
riscoprire titoli altrimenti dimenticati, come questa fantascienza
distopica neozelandese, su un ultimo abitante della Terra dopo un
esperimento che ha cancellato l'umanità: scenari desolati e un senso
precario di un'umanità agli sgoccioli, con un fondo di amarezza non
riscattato dall'incontro con altri due superstiti. Visivamente soffre
di una certa rigidità anni Ottanta, ma nell'impianto generale resta
un titolo suggestivo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>West and Soda</b></i>,
di Bruno Bozzetto (Festa Mobile)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-ivfhe2DQzrs/VmGJ29o0ZuI/AAAAAAAADAg/lGrMZQ3cOeU/s1600/westandsodaposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/-ivfhe2DQzrs/VmGJ29o0ZuI/AAAAAAAADAg/lGrMZQ3cOeU/s200/westandsodaposter.jpg" width="142" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In occasione dei
cinquant'anni dall'uscita, il capolavoro animato di Bruno Bozzetto è
stato riproposto in versione restaurata, in un evento <a href="https://www.facebook.com/photo.php?fbid=877305645699489&set=pb.100002601869022.-2207520000.1449234396.&type=3&theater" target="_blank">alla presenza dell'autore, con una nutrita rappresentanza dei realizzatori</a>.
Un'opera straordinaria, che nel mettere alla berlina i cliché del
genere si dimostra straordinariamente addentro ai codici del nascente
western italiano, con protagonisti senza morale, tempi dilatati e una
tensione di morte stemperata da un umorismo nero controcorrente.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Phantom Boy</b></i>,
di Jean-Lupo Felicioli e Alain Gagnol (Festa Mobile)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-dYiOkMIJh3U/VmGKNe1YYMI/AAAAAAAADAo/hsGurZBVyS8/s1600/phantomboyposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/-dYiOkMIJh3U/VmGKNe1YYMI/AAAAAAAADAo/hsGurZBVyS8/s200/phantomboyposter.jpg" width="147" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Gli autori francesi di <i>Un
gatto a Parigi</i> tornano con una storia “americana” che mescola il genere <i>noir</i> con una pulsione quasi supereroica: c'è un folle che minaccia
di provocare il black out totale e gli unici che possono fermarlo
sono un poliziotto bloccato in ospedale da una gamba ingessata e un
bambino malato che ha la facoltà di far “uscire” la sua anima
dal corpo: non può agire direttamente ma può riferire quello che
vede. L'avventura diventa così una intelligente epopea, dove la
forza espressiva del disegno si sublima nel potere della parola.
Anche di questo film è possibile leggere una mia recensione completa
su <a href="http://www.orizzontidigloria.com/tff-33/torino-33-phantom-boy-di-jean-loup-felicioli-e-alain-gagnol" target="_blank">Orizzonti di gloria</a>.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>The Assassin</b></i>,
di Hou-Hsiao-Hsien (Festa Mobile)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-Hdvtkl4mnLw/VmGK0E2rsfI/AAAAAAAADAw/LXVfyjhMIV4/s1600/theassassinposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://2.bp.blogspot.com/-Hdvtkl4mnLw/VmGK0E2rsfI/AAAAAAAADAw/LXVfyjhMIV4/s200/theassassinposter.jpg" width="143" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il capolavoro del
festival: il regista taiwanese affronta il genere wuxiapian con la
storia di un'assassina che, nella Cina del IX secolo viene incaricata
di eliminare un oppositore del potere. E lo fa rispettando tutti i
codici espressivi del genere (le coreografie dei combattimenti sono
splendide), ma allo stesso tempo rinnegandoli in una narrazione
sospesa, che sublima ogni particolare nella bellezza espressiva del
gesto, degli spazi e del tempo. Un'opera potente e lirica,
rappresentata benissimo dalla sua protagonista: una guerriera
infallibile, divisa però fra le ragioni del canone e il diniego
delle stesse. Pura poesia per immagini.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Evolution</b></i>,
di Lucile Hadzihalilovic (After Hours)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/--gkcX9UseaY/VmGLPvpgc9I/AAAAAAAADA4/qgW78WWUAjI/s1600/evolution2015poster.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/--gkcX9UseaY/VmGLPvpgc9I/AAAAAAAADA4/qgW78WWUAjI/s200/evolution2015poster.jpg" width="132" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il cinema francese più
oscuro e che non ti aspetti, in grado di traslare la forza espressiva
dell'horror in una pulsione eterea degna della fiaba: il piccolo
protagonista è infatti rinchiuso in uno strano ospedale dove si
compiono esperimenti di inseminazione artificiale da parte di una
razza di misteriose infermiere-mostro che mirano a perpetuare la loro
specie. La regista lascia molto spazio al non detto e lavora sulla
forza perturbante delle atmosfere, fra raggelata sessualità e una
visualità tagliente, in grado di creare uno stile asfissiante e
affascinante allo stesso tempo. Idealmente da accostare a <i>Les
revenants</i>, in opposizione a tanto horror francese più fisico e
barocco.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Balikbayan #1 –
Memories of Overdevelopment (Redux III)</b></i>, di Kidlat Tahimik
(Onde)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-Tvxt_cmg9Oc/VmGLs95QgiI/AAAAAAAADBA/WlGGPOT8RvU/s1600/balikbayan1poster.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/-Tvxt_cmg9Oc/VmGLs95QgiI/AAAAAAAADBA/WlGGPOT8RvU/s200/balikbayan1poster.jpg" width="133" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
I grandi eventi della
Storia che si mescolano alle storie meno note: il regista filippino
racconta, in questo emozionante video-diario, il suo viaggio sulle
tracce di Enrique, lo schiavo che aveva compiuto (e completato) la
circumnavigazione del globo terrestre insieme a Ferdinando Magellano,
nel XVI secolo. Attraverso una struttura fluviale, che comprende il
resoconto della ricerca, gli spezzoni di un vecchio sceneggiato che
romanza la vita di Enrique, e l'incontro con l'attore che aveva
interpretato il ruolo, il regista ci immerge in un caleidoscopio di
suggestioni che esaltano la ricerca di un'identità e il recupero del
rimosso, con alcune note critiche rispetto alla versione veicolata
dalla Storia ufficiale. Un documentario che piacerebbe a Werner
Herzog (a quanto pare effettivamente grande estimatore di Tahimik).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>John From</b></i>,
di Joao Nicolau (Concorso)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-3xGQbrnwHzc/VmGMW0_iorI/AAAAAAAADBI/IXBIHWGLzNo/s1600/johnfromstill.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="199" src="http://3.bp.blogspot.com/-3xGQbrnwHzc/VmGMW0_iorI/AAAAAAAADBI/IXBIHWGLzNo/s320/johnfromstill.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La quindicenne Rita si
innamora del vicino di casa, un fotografo che ha visitato la
Melanesia e sta allestendo una mostra con i suoi scatti. Con
delicatezza assistiamo alle giornate di questa esuberante adolescente
e alla progressiva “melanesizzazione” del suo mondo, che
estrinseca i sentimenti permeando la realtà, attraverso una
dimensione soggettiva che si fa oggettiva e permette così alla tenerezza
di un sentimento di colorare il mondo come fosse una grande fiaba.
Un racconto poetico e irresistibile, a ritmo di Lambada (ascoltare
per credere), fra i migliori visti al festival.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>The Ecstasy of
Wilko Johnson</b></i>, di Julian Temple</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/--kZmJCUoeKw/VmGNGSJtnfI/AAAAAAAADBQ/IV_PCtnVGvE/s1600/ectasywilkojohnsonposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://2.bp.blogspot.com/--kZmJCUoeKw/VmGNGSJtnfI/AAAAAAAADBQ/IV_PCtnVGvE/s200/ectasywilkojohnsonposter.jpg" width="131" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Guest Director
dell'edizione 2015 del TFF, Julian Temple ha portato a Torino due
lavori finemente collegati e dedicati al gruppo pub rock dei Dr.
Feelgood: <i>Oil City Confidential</i>, del 2009, ne racconta i successi,
seguendo le formule da biopic musicale già note agli estimatori del
regista. Dove la forza espressiva trova il suo picco, però, è
nell'ultimo <i>The Ecstasy of Wilko Johnson</i>, che racconta l'incredibile
caduta e rinascita del chitarrista della band, cui era stato
diagnosticato un tumore incurabile e che decide perciò di vivere i
suoi ultimi giorni con l'intensità dei migliori, fino a un miracolo
finale. Un'opera intensa e commovente, che è un continuo dialogo con
la morte, trasfigurato nel migliore e potente inno alla vita che si
possa immaginare, a suon di grande musica. All'interno del
documentario sono anche citati alcuni classici (<i>Il settimo
sigillo</i>, <i>La bella e la bestia</i> di Cocteau, <i>Scala al
Paradiso</i> e <i>Sayat Nova</i> di Padadjanov), pure riproposti al
festival, nell'ambito del percorso tematico curato dall'autore.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Terrore nello
spazio</b></i>, di Mario Bava (Festa Mobile)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-roi2kFVscFk/VmGNjQZVazI/AAAAAAAADBY/fFRE3OIrNIk/s1600/terrorenellospazioposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://3.bp.blogspot.com/-roi2kFVscFk/VmGNjQZVazI/AAAAAAAADBY/fFRE3OIrNIk/s200/terrorenellospazioposter.jpg" width="121" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Altro restauro di lusso,
per il classico fanta-horror di Bava: la particolarità, oltre alla
possibilità di una nuova visione in una copia 4K che esalta al
meglio i cromatismi prediletti dall'autore, è stata la <a href="https://www.facebook.com/davide.digiorgio.5/posts/879109275519126?pnref=story" target="_blank">presentazione d'eccezione</a>: da un lato due figuranti con le tute originali indossate nel film, dall'altro il produttore Fulvio Lucisano e il mitico Nicolas Winding Refn, grande estimatore del film e dei
suoi particolari contrasti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Heterophobia</b></i>,
di Goyo Anchou (Onde)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-UrMaR1NRPhc/VmGN4k9obbI/AAAAAAAADBg/SVE1_k0SwbI/s1600/heterophobiaposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://4.bp.blogspot.com/-UrMaR1NRPhc/VmGN4k9obbI/AAAAAAAADBg/SVE1_k0SwbI/s200/heterophobiaposter.jpg" width="129" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mariano è un giovane gay
di Buenos Aires, che racconta la sua ricerca dell'amore in un mondo
fondato sulle logiche patriarcali, che condannano l'omosessualità come una colpa da nascondere. Al di là dell'ovvia
militanza del presupposto, colpisce il lavoro di elaborazione visiva,
che crea un'opera in grado di mescolare pratiche alte e basse, dove
le metafore vengono esplicitate in suggestioni horror e il tono si fa
lisergico. Un'opera da vivere con i sensi, immergendosi nel flusso
delle immagini, prima ancora che nelle logiche della mera narrazione.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Faire la parole</b></i>,
di Eugène Green (Onde)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-JqlGh6qyOqg/VmGOZm5AG1I/AAAAAAAADBo/OglrHI_CfnQ/s1600/fairelaparolestill.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="172" src="http://1.bp.blogspot.com/-JqlGh6qyOqg/VmGOZm5AG1I/AAAAAAAADBo/OglrHI_CfnQ/s320/fairelaparolestill.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ormai un affezionato del
Festival, Green stavolta realizza un documentario sulla lingua basca,
sul suo rapporto conflittuale con le istituzioni spagnole che hanno
sempre cercato di osteggiarne l'uso, osservando alcuni personaggi e
il loro lavoro di educazione all'identità nei confronti delle
giovani generazioni. Da un regista apolide (nato in America ha poi
rinnegato completamente i suoi legami con la madrepatria) la ricerca
diventa un viaggio in una cultura che è anche un'esperienza
introspettiva sul filo della parola e del canto, in grado di
risultare molto affascinante.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<i><b>Blade Runner –
Final Cut</b></i>, di Ridley Scott (Cose che verranno)</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-ABWQAjEEmew/VmGPBRy_ozI/AAAAAAAADBw/D34eu9WpUnE/s1600/bladerunnerfinalcutposter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/-ABWQAjEEmew/VmGPBRy_ozI/AAAAAAAADBw/D34eu9WpUnE/s200/bladerunnerfinalcutposter.jpg" width="135" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Altro titolo che non ha
bisogno di presentazioni e che non poteva essere mancato, nella forza
della visione su grande schermo: la distinzione tra Final e Original
Cut è ininfluente, erano infatti presentate entrambe le versioni e
ho scelto questa perché non l'avevo mai vista. Resta sorprendente la
natura ormai “istituzionale” di un'estetica che ha di fatto
modellato tutta la percezione del futuro dal 1982 in poi. E,
soprattutto, un'ancor poco considerata cifra “manniana”, che nel
rapporto con lo spazio metropolitano fatto di ombre <i>noir</i>, nel
rincorrersi di visioni e fantasmi, anticipa il lavoro poi portato
avanti dal grande regista di <i>Heat</i>. Chissà se effettivamente
c'è stata un'influenza diretta, o se è tutto frutto di una temperie
che aleggiava nel tempo e che ha finito, per caduta, per avvicinare i
due artisti. Il film, in ogni caso, resta un capolavoro.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-54825034125729351332015-11-18T17:19:00.000+01:002015-12-09T00:05:56.058+01:00Star Wars: la trilogia di Thrawn<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Star Wars: la trilogia di
Thrawn</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-nbFMmbBH8ys/Vkyk0qBBEbI/AAAAAAAAC_E/ftPqmR4lk7g/s1600/thrawn.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="345" src="http://1.bp.blogspot.com/-nbFMmbBH8ys/Vkyk0qBBEbI/AAAAAAAAC_E/ftPqmR4lk7g/s640/thrawn.jpg" width="640" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'arrivo del settimo
Episodio di <i>Star Wars</i> nelle sale cinematografiche è previsto
fra un mesetto e, per ingannare l'attesa, riscopriamo quello che,
fino a pochi anni fa era considerato il seguito ufficiale delle
avventure di Luke Skywalker e soci: la trilogia di romanzi scritta da
<b>Timothy Zahn</b> nei primissimi anni Novanta, e composta da <i><b>L'erede
dell'Impero</b></i> (1991), <b><i>Sfida alla Nuova Repubblica</i> </b>(1992) e
<i><b>L'ultima missione</b></i> (1994). Pubblicati quando la saga
cinematografica attraversava un periodo di appannamento – i prequel
non erano ancora nell'aria e l'onda lunga del successo ottenuto dalla
Trilogia Classica era ormai esaurita – i romanzi fornirono
all'epoca un rinnovato slancio all'avventura lucasiana, piazzandosi
in testa alla classifica dei best-seller e permettendo l'autentico
fiorire di quello che con il tempo sarebbe stato conosciuto come
l'Universo Espanso di <i>Star Wars</i>: un ricchissimo corpus di
storie che, tra romanzi, fumetti, videogame e tanto altro, ampliavano
la storyline della galassia lontana lontana, pur non essendo create o
supervisionate direttamente da George Lucas (con il recente passaggio
alla Disney, queste storie sono state collocate al di fuori della
continuity ufficiale, azzerata per ripartire dai soli film e dalla
serie animata <i>Star Wars: The Clone Wars</i>). Il successo
dell'Universo Espanso fu comunque tale che alcune sue trovate furono
effettivamente “canonizzate” all'interno dei prequel e della già
citata serie di <i>Clone Wars</i>.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La storia si ambienta
cinque anni dopo <i>Il ritorno dello Jedi</i> e vede la Nuova
Repubblica messa in piedi dagli ex ribelli Leia Organa, Han Solo e
Luke Skywalker alle prese con la difficile ricostruzione della
galassia. Dai territori più remoti però, un nuovo nemico sta
raccogliendo attorno a sé i resti del defunto Impero Galattico. È
il Grand'Ammiraglio Thrawn, finissimo stratega, forte di alcuni
importanti assi nella manica: in primis gli ysalamiri, animali in
grado di inibire l'uso della Forza; poi Joruus C'Baoth, un Jedi
Oscuro già asservito all'Imperatore; e infine una tecnologia che,
fra apparati di clonazione ritrovati fra i cimeli dell'Imperatore e
le navi della grandiosa flotta Katana (recuperate dopo essere state
considerate disperse), rischiano di scatenare una nuova Guerra dei
Cloni. Nella vicenda intervengono molti altri personaggi, fra i quali
vale la pena segnalare quantomeno Mara Jade, ex braccio destro del
defunto Imperatore, ora riciclatasi come contrabbandiere, il cui
scopo è eliminare Luke Skywalker.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Appena quarantenne
all'epoca del primo romanzo, Timothy Zahn aveva alle spalle già un
premio Hugo e una certa nomea nell'ambito della fantascienza
letteraria: il suo stile si dimostra immediatamente lineare e
versatile quel tanto che basta da ricreare molto bene le interazioni
fra i personaggi già noti al pubblico dei tre film sino a quel
momento prodotti (<i>Guerre stellari</i>, <i>L'impero colpisce ancora</i>
e <i>Il ritorno dello Jedi</i>). Han Solo, Luke Skywalker, i droidi
C3-PO e R2-D2, Lando Calrissian e i vari personaggi già visti sul
grande schermo rivivono fra le pagine dei tre romanzi con incredibile
naturalezza e ognuno agisce in modo significativo per la progressione
del racconto, senza limitarsi al ruolo di semplice comparsa, dando
un'idea di grande compattezza al tutto: il solo personaggio di Leia
Organa è caricato di un'inedita qualità ansiogena e malinconica,
motivata dalla dolce attesa di due gemelli e dal rapporto per lei
nuovo con la Forza (conseguente la sua scoperta, nel <i>Ritorno dello
Jedi</i>, di essere la sorella di Luke Skywalker).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-iSOWyyuSZk0/Vkyk8bvrdXI/AAAAAAAAC_M/Xl2Unmzhr2k/s1600/thrawn2.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://4.bp.blogspot.com/-iSOWyyuSZk0/Vkyk8bvrdXI/AAAAAAAAC_M/Xl2Unmzhr2k/s320/thrawn2.jpg" width="206" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Più della familiarità
del noto, però, il lavoro di Zahn colpisce per le molti innovazioni
apportate al canone: totalmente privo di evidenti timori reverenziali
verso la materia, l'autore americano schiva perfettamente la trappola
della nostalgia spicciola e l'effetto <i>fan-fiction</i>, evitando di
rimestare nel già fatto per aggiungere invece elementi nuovi. La
prospettiva è razionalista, l'inibizione della Forza permette
infatti allo scrittore di sfumare la componente più mistica per
concentrarsi su un gioco di strategie che ha nell'infallibile intuito
di Thrawn uno dei suoi elementi più affascinanti – il rapporto fra
il Grand'Ammiraglio e il suo secondo, il Capitano Pellaeon, ricorda
molto quello fra Sherlock Holmes e il dottor Watson.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La triangolazione fra la
familiarità garantita dai “vecchi” personaggi e le novità
apportate dai nuovi arrivati è tenuta insieme da un'attenta
conoscenza degli elementi sino a quel momento noti nella mitologia di
<i>Star Wars</i>: l'autore azzarda spunti interessanti partendo da
particolari secondari delle pellicole cinematografiche per creare un
affresco particolarmente avvincente. Dove inoltre Zahn si dimostra
eccellente profeta è nella descrizione delle dinamiche politiche
interne alla Nuova Repubblica, con i giochi di potere e le varie
difficoltà nel tenere insieme i pezzi del nuovo ordine, che
anticipano quanto lo stesso Lucas mostrerà nei tre prequel prodotti
a cavallo del nuovo secolo (<i>Episodio I: La minaccia fantasma</i>,
<i>Episodio II: L'attacco dei cloni</i> e <i>Episodio III: La
vendetta dei Sith</i>). Zahn, insomma, dimostra davvero di aver
compreso a fondo le potenzialità insite in un universo che può
modularsi contemporaneamente attraverso la fantascienza, l'avventura
di ribaldi contrabbandieri, il mistery, il fantasy con poteri fuori
dalla sfera dell'ordinario e il thriller politico, rinnovando la sua
forza di grande contenitore di storie.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La trilogia è ancora
oggi molto amata dagli appassionati, che non a caso hanno per anni
invocato una trasposizione cinematografica. L'ottimo lavoro di Zahn,
però, funziona bene sulla carta, ma pensato in una prospettiva
cinematografica denota alcuni limiti: molto dialogato e cerebrale
nella guerra di logoramento fra Repubblica e Impero, il plot non
indugia in molte scene spettacolari, indispensabili in un'eventuale
controparte filmica. Si tratta, insomma, di un lavoro in tutto e per
tutto letterario, che sfrutta appieno le potenzialità del mezzo, ma
che difficilmente riuscirebbe a “uscire” dalla pagina scritta. Di
certo, la prospettiva di vedere eventualmente sullo schermo un
personaggio straordinario come il Grand'Ammiraglio Thrawn è di
quelle che generano un comprensibile entusiasmo ed è un vero peccato
che Disney non abbia preso in considerazione l'idea di recuperarlo in
qualche modo nel nuovo canone.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pubblicati in Italia da
Sperling & Kupfer a poca distanza dall'uscita americana, i tre
romanzi sono stati più di recente riproposti (con una nuova
traduzione) da Multiplayer.it, con una veste grafica che rinuncia
alle suggestive cover <i>vintage</i> di Tom Jung, ma propone <i>L'erede
dell'Impero</i> in un'ottima edizione commemorativa, con tanto di
note dello stesso Zahn. L'autore spiega così le scelte fatte e
contestualizza i vari passaggi anche alla luce dei successivi
sviluppi della saga cinematografica. Che la si consideri o meno in
continuity, è una lettura che i fan della saga stellare non
dovrebbero mancare.</div>
<br />
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/VUm0Lo6DL-E" width="560"></iframe>
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-57199853563288964522015-06-09T15:32:00.002+02:002015-06-09T15:32:21.836+02:00Il racconto dei racconti<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Il racconto dei racconti</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-9Jk94eggQrQ/VXbqjR3aRCI/AAAAAAAAC8U/pUql90n17OA/s1600/raccontodeiraccontiposter.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://4.bp.blogspot.com/-9Jk94eggQrQ/VXbqjR3aRCI/AAAAAAAAC8U/pUql90n17OA/s320/raccontodeiraccontiposter.jpg" width="224" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>La regina del regno di
Selvascura, smaniosa di un figlio, divora il cuore di un drago marino
e dà così alla luce Elias. Ma anche la serva che ha cucinato il
cuore per lei partorisce allo stesso tempo Jonah. Il profondo legame
fra i due ragazzi è mal visto dalla sovrana.</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>Il re di Roccaforte è
un uomo dissoluto, che brama la popolana Dora, ignaro del fatto che
si tratta di una donna anziana. Ringiovanita da una strega, Dora
diventa la moglie del sovrano, ma la sorella Imma si fa scorticare
viva, per ritrovare la giovinezza e starle ancora accanto.</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>Nel regno di
Altomonte, infine, il sovrano sfida i pretendenti alla mano di sua
figlia a indovinare di chi sia una misteriosa pelle, appartenuta a
una pulce gigante che l'uomo ha cresciuto con dedizione. A vincere la
competizione però è un mostruoso orco, che così porta via la
principessa...</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il tentativo ambizioso di
ridurre in forma di lungometraggio tre delle molte novelle che
compongono <i>Il racconto dei racconti</i> di Giambattista Basile,
diventa nelle mani di Matteo Garrone l'occasione per una nuova
ricognizione nei meandri di un'ossessione umana che ridisegna i
confini del reale e il rapporto fra la concretezza del vero e il volo
nel fantastico. La struttura, in fondo, non è poi tanto dissimile da
quella del precedente <i>Reality</i>, con l'incipit che si apre sulla
messinscena di uno spettacolo (qui alcuni saltimbanchi alla corte del
re di Selvascura, lì un fastoso matrimonio), per poi scindere la
singola ossessione del potenziale concorrente del reality show in tre
vicende mosse da un'unica direttrice (l'ossessione per
qualcuno/qualcosa) e in perpetuo dialogo attraverso una serie di
riferimenti incrociati. A ogni azione c'è una corrispondenza, ci
ricorda il negromante/anima critica del racconto e così il film
corteggia costantemente il tema del doppio e della specularità fra
storie che si inseguono e si accavallano, in cerca del punto di fuga
che apra la “chiusura” dei singoli animi. Gli stessi regni in cui
si ambientano le novelle non sono connotati da una precisa
identificazione spaziale: come la Napoli di <i>Gomorra</i> si ha la
sensazione di un universo-mondo potenzialmente senza barriere (in cui
tutti i personaggi si incontrano alla fine, non a caso), dove però i
confini sono delimitati dalle dinamiche “piccole” degli uomini.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'ossessione della regina
di Selvascura per il figlio Elias si rispecchia così nel legame
inscindibile che spinge il ragazzo a cercare (e preferire) sempre la
compagnia del fratellastro Jonas; la passionalità possessiva del
sovrano di Roccaforte ha il suo corrispettivo nel desiderio di Imma
di non essere abbandonata dalla sorella; il rapporto conflittuale fra
il re di Altomonte e la figlia Dora incarna la doppia ossessione di
un uomo morbosamente legato alla mostruosa pulce e di una ragazza che
vuole a tutti i costi un marito, salvo poi ritrovarsi nella
spiacevole situazione di vittima. Azione e corrispondenza non
nascondono infatti la possibile deriva nell'infelicità, che
prescinde da un aspetto puramente morale, tipico della fiaba, per
farsi quasi racconto iniziatico di una vita “di fuori” che preme
con nuove sfide e che, unica fra le tante, può impartire la
necessaria lezione per affrancarsi dalla prospettiva limitata che
l'ossessione offre. Così, Viola dovrà sconfiggere da sola l'Orco e
si guadagnerà in tal modo un ruolo da sovrana, mentre Elias e Jonah
arriveranno tanto vicino alla morte, da capire poi la necessità di
un generoso gesto di separazione (e di donare l'altro agli altri).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-OLi_cY5lpL4/VXbqjW1BkdI/AAAAAAAAC8Y/JXk3EbohpEQ/s1600/raccontodeiraccontiregina.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="207" src="http://4.bp.blogspot.com/-OLi_cY5lpL4/VXbqjW1BkdI/AAAAAAAAC8Y/JXk3EbohpEQ/s320/raccontodeiraccontiregina.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Accanto all'aspetto
puramente narrativo e tipicamente immerso nei temi cari al regista, è
però interessante il più complesso lavoro di dialogo con un sistema
di riferimenti che spazia dalla raffigurazione pittorica (Garrone ha
chiamato in causa Goya o Caravaggio) alle dinamiche tipiche della
fiaba nella sua forma più primigenia e archetipica: il fantasy de <i>Il
racconto dei racconti</i> è infatti tipicamente figlio di una
cultura che va al di là della semplice meraviglia (tipica del genere
cinematografico) e, anzi, ricerca la ricaduta delle vicende più
“grandi” sul corpo e sulla mente dei personaggi, destinati a
patire le sofferenze delle rispettive sventure, portandone i segni
nelle carni. La dinamica dell'azione-corrispondenza è resa infatti
attraverso un continuo ricorso all'espediente della mutazione
corporea e dell'offesa dei corpi: questo è vero sia per le stesse
creature fantastiche (l'uccisione “rituale” del drago marino),
sia per le figure umane, che a volte per un'azione violenta (lo
sgozzamento dell'orco), altre per scelta precisa (il re che si
dissangua per nutrire la pulce, Imma che si lascia scorticare), altre
ancora per perpetuare una diversa immagine di sé (Dora che si tira e
incolla la pelle) trova corrispondenza negli strumenti offerti dalla
magia: le due donne ingravidate dal sortilegio e il ringiovanire di
Dora ci dicono infatti di una realtà dove il volere (proprio o
altrui) finisce per determinare lo scavalcamento fra il reale e il
fantastico.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quest'ultimo punto ci
riporta a un'altra delle capacità tipiche del cinema di Garrone,
quella della definizione del mondo attraverso una continua
oscillazione fra il verosimile e l'impossibile: in passato, però,
era spesso una capacità che, pur estrinsecandosi al mondo tutto, era
sempre veicolata da una forte pulsione soggettiva. Il finale di
<i>Reality</i> era lì a ribadire come l'immersione nella
realtà-spettacolo, inseguita fin dall'inizio, restava comunque un
discorso tutto interno alle percezioni del protagonista; le regole
che sorreggevano l'universo di <i>Gomorra</i> erano comunque
percepite dallo spettatore (e da alcuni isolati personaggi) come
<i>altre</i> e avulse dalla “normalità” socialmente condivisa
(tanto che il film può tuttora anche essere letto sotto una chiave
grottesca, più che di precisa denuncia). Con <i>Il racconto dei
racconti</i> è come se il regista finalmente abbracciasse l'idea di
una pulsione umana che riesce a determinare <i>oggettivamente</i> le
regole che sorreggono il mondo. Il risultato è un fantasy ben
radicato nel reale e in location anche abbastanza note (si pensi a
Castel Del Monte), spettacolare ma un po' “assorto” nel ritmo,
eppure capace di riverberare in più occasioni un gusto visivo e una
ricerca per l'invenzione anche pindarica, comunque mai fine a se
stessa perché motivata da una precisa poetica narrativa e
stilistica. In questo senso, <i>Il racconto dei racconti</i> è quasi
una propaggine espansa della scena del grillo di <i>Reality</i>, qui
richiamato proprio dalla piccola pulce che si ingigantisce fino a
determinare alcuni dei destini chiamati in causa dal racconto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Il racconto dei
racconti – Tale of Tales</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Regia: Matteo Garrone</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Sceneggiatura: Matteo
Garrone, Edoardo Albinati, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso (dalle fiabe
di Giambattista Basile)</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Origine:
Italia/UK/Francia</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Durata: 125'</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.ilraccontodeiracconti.it/" target="_blank">Sito ufficiale</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.facebook.com/pages/Tale-of-Tales-Il-Racconto-dei-Racconti/1436597526636984" target="_blank">Pagina Facebook</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.imdb.com/title/tt3278330/" target="_blank">Scheda di IMDB</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Il_racconto_dei_racconti_-_Tale_of_Tales" target="_blank">Pagina di Wikipedia</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.bookciakmagazine.it/le-favole-cattive-di-giambattista-basile/" target="_blank">Il testo di Giambattista Basile</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://screen.yahoo.com/featurette/il-racconto-dei-racconti-backstage-082443590.html" target="_blank">Backstage (video)</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=L8e8S-4E7lY" target="_blank">Trailer ufficiale</a></div>
<br />
Collegati:<br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2012/10/reality.html">Reality</a>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-9959128112058503122015-03-27T19:21:00.002+01:002015-03-27T19:21:24.668+01:00Mulberry St<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Mulberry St</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-OIkjyuYZJ64/VRWffX6lTII/AAAAAAAAC7M/x-zkzYqRpvY/s1600/mulberrystposter.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/-OIkjyuYZJ64/VRWffX6lTII/AAAAAAAAC7M/x-zkzYqRpvY/s1600/mulberrystposter.jpg" height="320" width="215" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>New York, un giorno
come tanti: nella zona di Mulberry Street, a Manhattan, si incrociano
le storie di alcuni abitanti di un condominio. C'è il roccioso ex
boxeur Clutch, capofila della varia umanità del posto; sua figlia
Casey, soldatessa in viaggio verso casa dopo essere rimasta sfregiata
in Iraq; c'è Coco, drag queen locale, che porta un po' di leggerezza
al contesto con la sua vivacità; l'anziano Frank, ammalato di
cancro, cui bada Charlie, il tuttofare della palazzina; e poi c'è
Kay, che gestisce il bar in strada e vive con il figlio Otto. Tutti
restano coinvolti in una misteriosa epidemia, veicolata dai ratti del
quartiere, che trasforma ogni vittima del loro morso in una belva, un
ibrido uomo-ratto assetato di sangue. Le autorità dichiarano presto
lo stato di emergenza e New York diventa un campo di battaglia,
mentre i nostri protagonisti, guidati da Clutch, cercano di
sopravvivere.</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il nome di Jim Mickle sta
iniziando a ritagliarsi uno spazio importante all'interno del più
recente cinema di genere americano, soprattutto in virtù della
trasposizione da <i>Freddo a Luglio</i> di Joe Lansdale, che ha
segnato per certi aspetti l'approdo a un cinema narrativamente più
strutturato, sebbene sempre da considerarsi all'interno di una sfera
indipendente. <i>Mulberry St</i> è la pellicola dell'esordio, un
efficace <i>zombie-movie</i> riletto attraverso l'idea degli
uomini-ratto e un'estetica da sottoproletariato urbano americano che
ben si sposa all'impostazione da <i>guerrilla filmmaking</i> che
caratterizza l'intera operazione.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La regia oscilla infatti
tra una tensione documentarista, evidente nell'uso dei corpi
attoriali privi di qualsiasi aura <i>cool</i> e nel modo in cui si
getta a capofitto fra le atmosfere, i suoni e le pulsioni del mondo
raffigurato; e poi una tendenza alla sgangheratezza da B-movie che si
accompagna alla deriva più <i>pulp</i> della seconda parte della
storia, quando emerge con più chiarezza l'idea del contagio e della
proliferazione dei mostri assassini. Una natura ibrida che
ritroveremo anche nelle altre opere del regista, compreso il già
citato <i>Freddo a Luglio</i>, ma che qui più che altrove si sposa
bene al desiderio di dare forma a un cinema di genere fiero di
esserlo, e capace perciò di sguazzare tanto nelle pratiche più
basse, quanto nell'ambizione di dare forma a un ritratto sociale che
sia cartina di tornasole di un particolare momento storico.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ciò che sembra
interessare a Mickle è infatti il racconto di un tempo che scivola
fra le dita e forgia in tal modo delle esistenze precarie, impegnate
in una sopravvivenza continua che diventa specchio di un mondo
condannato alla rovina. Il contagio che affligge New York diventa
così nient'altro che la più evidente risultante di un'incapacità
di tenere insieme le proprie vite tipica degli abitanti di Mulberry
Street. I vari protagonisti sono infatti afflitti da una malinconia
evidente, che il film elegge a linea guida restringendo sempre più
il campo visivo addosso a ogni figura umana, amplificando in maniera
progressiva e implacabile una situazione di assedio e di oppressione.
Il vissuto stesso dei personaggi è rivelatorio: ci sono reduci di
guerra, militari che recano le sofferenze sul corpo, ex atleti non
realizzati e ragazze madri che si muovono in un contesto chiaramente
influenzato dal clima di sfiducia post 11 Settembre, chiamato in
causa non per gli eventi diretti delle Torri Gemelle, quanto per il
clima di perenne tele/radiocronaca data dai costanti bollettini
lanciati dai telegiornali o dalle trasmissioni che fanno il punto
sull'emergenza (una mossa che, narrativamente, stabilisce anche un
ponte con il capostipite <i>La notte dei morti viventi</i>).</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-k772SkMaJig/VRWffWqdjfI/AAAAAAAAC7Q/JT0W2QP_EPQ/s1600/mulberrystvirus.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/-k772SkMaJig/VRWffWqdjfI/AAAAAAAAC7Q/JT0W2QP_EPQ/s1600/mulberrystvirus.jpg" height="213" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La debolezza di certe
raffigurazioni al limite dell'amatoriale si accompagna a tagli di
inquadratura spesso sorprendenti nella loro raffinatezza, che
riescono a riplasmare lentamente il mondo secondo una qualità
espressionista. Gli spazi si reinventano, il fatiscente condominio
diventa una trappola e i personaggi vengono immersi nei temi
dominanti del verde e del rosso: la notte di fuga dai mostri diventa
così un viaggio in una realtà psichedelica, illustrata con ritmi
incalzanti, scanditi da un montaggio molto serrato (curato dallo
stesso Mickle) e da un uso esasperato del grandangolo che genera la
giusta tensione e rivela un'idea di cinema molto più definita di
quanto le prime battute non facciano pensare.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il divertimento si
stempera poi nell'amarezza, mentre le varie microstorie convergono
verso destini amari e privi di speranza. Un bell'esempio di quel pulp
capace di oscillare fra emozioni e esiti anche diametralmente
opposti, riverberando la vitalità di un genere altrove ormai troppo
autoreferenziale e inerte. Anche solo vedendo questo film, si capirà
bene perché Lansdale si sia affidato a Mickle per il suo lavoro.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Inedito in Italia,
<i>Mulberry St</i> è stato proiettato al Torino Film Festival 2014
nell'ambito di un omaggio tributato al regista.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Mulberry St</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Regia: Jim Mickle</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Sceneggiatura: Nick
Damici, Jim Mickle</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Origine: Usa, 2006</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Durata: 84'</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.slantmagazine.com/house/article/nightmare-on-mulberry-street-an-interview-with-writerdirector-jim-mickle-and-cowriteractor-nick-damici" target="_blank">Intervista a Jim Mickle e Nick Damici (in inglese)</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.mulberrystreetmovie.com/" target="_blank">Sito ufficiale</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.imdb.com/title/tt0473514/" target="_blank">Pagina di IMDB</a></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=SHEU22Sq4pg" target="_blank">Trailer originale</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-35253302930776738162015-03-20T12:56:00.002+01:002015-03-20T13:05:11.097+01:007 anni nel Nido<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;">7 anni nel Nido</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-koGkTL6RsX0/VQwKoV6omQI/AAAAAAAAC60/H6SlY7JI2Hw/s1600/7.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-koGkTL6RsX0/VQwKoV6omQI/AAAAAAAAC60/H6SlY7JI2Hw/s1600/7.jpg" height="81" width="200" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Preceduto dal restyling del blog e dalla nuova cornice più "spaziosa" (cui, spero, si aggiungerà quanto prima il nuovo logo), il Nido ha compiuto sette anni questa settimana. Se ricorderete, ero convinto di tagliare questo traguardo già l'anno scorso e quindi ora che il momento arriva davvero mi sento particolarmente contento (poi, non so perché, il numero 7 da sempre mi dona un senso di appagamento e soddisfazione).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Di recente qualcuno mi ha anche chiesto se avessi mollato, forse anche a causa dell'effettiva chiusura del blog gemello <i>La luna di Cybertron.</i> In realtà, anche se gli aggiornamenti sono stati pochissimi, si va tranquillamente avanti, pur con i compromessi concessi dal poco tempo a disposizione. Dopotutto l'importante è perseverare!</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Come sempre grazie a chi prova interesse nei post e nell'attività del blog in genere. Da parte mia c'è sempre l'impegno a mantenere il compromesso fra il divertimento per la scrittura, la passione per il cinema (e tutto il resto) e la serietà dell'analisi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Buon cinema a tutti!</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Collegati:<br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2009/03/un-anno-nel-nido.html">1 anno nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2010/03/due-anni-nel-nido.html">2 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2011/03/3-anni-nel-nido.html">3 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2012/03/4-anni-nel-nido.html">4 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2013/03/5-anni-nel-nido.html">5 anni nel Nido</a><br />
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2014/03/6-anni-nel-nido.html">6 anni nel Nido</a>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-39426760650878591302015-02-25T17:31:00.001+01:002015-02-25T17:32:25.857+01:00Wake in Fright<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Wake in Fright</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-8A6DzFkCBXs/VO34twjdDkI/AAAAAAAAC5c/M2LhuzVLj0s/s1600/wakeinfrightposter.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-8A6DzFkCBXs/VO34twjdDkI/AAAAAAAAC5c/M2LhuzVLj0s/s1600/wakeinfrightposter.jpg" height="320" width="224" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<i>John Grant, insegnante
in una scuola di Tiboonda, nel remoto Outback australiano, parte per
godersi le vacanze natalizie. Si ferma così una notte nella
cittadina di Bundanyabba, prima di prendere l'aereo per la Sidney,
dove lo attende la sua ragazza. Qui, però, John perde tutti i suoi
soldi in un banale gioco di scommesse: impossibilitato a proseguire
il viaggio, viene così risucchiato nella vita locale, fra
ubriacature, battute di caccia ai canguri, scazzottate e la compagnia
di Doc Tydon, un medico alcolista lucidamente dedito
all'autodistruzione. Una discesa nel degrado fisico e mentale porterà
il sempre più sconvolto John a un passo dalla follia.</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Peter Weir, Fred Schepisi
e Bruce Beresford lo considerano un film seminale per come ha
raffigurato, seppur a tinte forti, un certo sentire australiano sul
grande schermo, favorendo di fatto l'idea di una cinematografia
locale, quasi del tutto inesistente al giro di boa fra gli anni
Sessanta e Settanta. Il bello di <i>Wake in Fright</i>, però, è che
a una tale certezza identitaria corrisponde una natura assolutamente
transnazionale, con una coproduzione fra l'australiana NLT e
l'americana Westinghouse Broadcasting Company (entrambe attive più
che altro sul mercato televisivo), e una realizzazione affidata a
maestranze <i>aussie</i> e protagonisti inglesi (Gary Bond e Donald
Pleasence). La regia è poi di Ted Kotcheff, filmmaker di origini
bulgare, cresciuto artisticamente nella televisione canadese. Noto ai
più per il successivo exploit di <i>Rambo</i>, Kotcheff riflette nel
suo cinema la propria condizione di figlio di immigrati, raccontando
il disagio di personaggi in perenne fuori sincrono rispetto al mondo
cui vanno incontro. Il John Grant qui raffigurato non fa eccezione e
la sua odissea è resa più potente dalla dinamica di
attrazione/repulsione che scontorna i confini del reale e apre la
struttura del racconto a pulsioni visionarie e ossessive.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Una carrellata circolare
apre il film e ne racchiude il senso, sintetizzando metaforicamente
il “girare in tondo” di un protagonista prigioniero di una
perenne coazione a ripetere gesti che annullano progressivamente la
sua volontà e lo status di intellettuale, spingendolo ad abbracciare
la forza selvaggia dell'Australia più nascosta e vicina alle
asprezze visive dell'Outback (proprio <i>Outback</i> è il titolo
usato in America e Inghilterra). Kotcheff lascia abilmente che la
discesa agli inferi di Grant sia a un tempo eterodiretta dagli eventi
e dai personaggi con cui lo stesso viene a contatto, ma anche
provocata da una sua risoluta voglia di non allinearsi razionalmente
ai comportamenti di una realtà da lui percepita come rozza e <i>altra</i>,
in un palleggio fra perenne ingenuità e snobismo. Il confronto con
l'altrettanto colto Tydon - che diversamente da lui accetta la
propria condizione di alcolista e dissoluto, perseguendola
scientemente - permette al suo dramma di emergere con maggior forza.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La struttura visiva segue
questa continua dinamica di allontanamento e vicinanza, e rende i
personaggi quasi una propaggine visiva dell'ambiente circostante,
attraverso un'omogeneità cromatica che predilige tinte calde, dove
prevalgono i motivi del giallo, dell'arancio e del verde più scuro.
La regia, dal canto suo, elabora continuamente soluzioni visive che
riverberano il clima decadente eppure grandioso di certo tardo
western italiano e americano (da Leone a Monte Hellmann) e, allo
stesso tempo, le pulsioni della New Hollywood ancora in fieri negli
stessi anni, con un'immersione piena fra i corpi e i volti della
gente, in grado di spezzare (e pure esaltare) la ieraticità brulla
del paesaggio. La narrazione si riduce perciò al minimo, non tenta
di dare oltremodo spessore ai personaggi e ai loro trascorsi e
preferisce offrire spazio alle azioni e agli stati d'animo più
estremi che l'avventura lascia affiorare in superficie.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quello cui perciò si
assiste è un linguaggio fatto di corpi che si cercano e si
confrontano, attraverso la condivisione di precisi rituali (le
scommesse, le infinite bevute di birra), un ostentato cameratismo (e
altruismo), fino al contatto fisico più ruvido, evidente nelle
scazzottate che, come un'autentica deflagrazione di follia, portano a
sfasciare l'ambiente circostante in un tripudio di risa isteriche. La
natura sostanzialmente <i>altra</i> di Grant è sottolineata dal
confronto fra la sua fisicità efebica e la ruvida carnalità della
gente locale, sempre pronta a elargire strette di mano energiche e
contatti dal sapore via via sempre più marcatamente sessuale (con
riferimento tanto alla giovane ninfomane Janette, quanto
all'implicito momento omoerotico fra Grant e Tydon dopo l'ennesima
notte di bagordi).
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-eS5bsWQJBxc/VO34s2qu6_I/AAAAAAAAC5U/hbkscnIggYQ/s1600/wakeinfrightcanguro.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-eS5bsWQJBxc/VO34s2qu6_I/AAAAAAAAC5U/hbkscnIggYQ/s1600/wakeinfrightcanguro.jpg" height="188" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il tutto trova la sua
sublimazione nella terribile sequenza della battuta di caccia ai
canguri (effettuata in realtà da professionisti), che davvero segna
il momento di immersione più oscura nella follia umana, ma anche nel
particolare abbraccio fra questi personaggi e la terra che li
circonda, ancora una volta tra condivisione e distruzione. L'assurdo
confronto uno-a-uno fra l'uomo e il canguro diventa così l'autentico
simbolo visivo del film.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sebbene la produzione
spingesse per un taglio più <i>exploitation</i>, Kotcheff coglie il
potenziale autoriale della storia e tara la narrazione sulla tonalità
isterica e grottesca garantita dalla continua ilarità dei
protagonisti: ottiene in tal modo un racconto ribollente di energia,
e allo stesso tempo terribile e incredibilmente grottesco. Una scelta
che garantisce i necessari sprazzi di visionarietà, garantiti da un
montaggio quasi subliminale negli inserti di follia che attraversano
Grant durante e dopo i momenti di black-out, con il repentino
miraggio di felicità garantito dalle visioni della fidanzata
lontana.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Considerato oggi un
classico per la sua potenza espressiva, <i>Wake in Fright</i> è
stato per anni un autentico film fantasma: la presentazione al
Festival di Cannes non lo ha infatti salvato dall'iniziale ostracismo
di un pubblico locale che non si riconosceva nel ritratto
iperrealista portato avanti dal racconto – e che, suo malgrado, ha
effettivamente finito per determinare una certa estetica un po'
stereotipata dell'australiano rozzo e scolabirra. Complice il lavoro
del montatore Anthony Buckley, che ha rintracciato i materiali
originali dopo vari decenni, il film è stato però recuperato e
restaurato dopo un lungo oblio, riguadagnando il posto che gli
spetta. In Italia resta purtroppo inedito.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Questo resoconto è
condotto a partire dall'ottima edizione Blu-Ray inglese della Eureka
Entertainment.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Wake in Fright</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Regia: Ted Kotcheff</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Sceneggiatura: Evan
Jones, dal romanzo di Kenneth Cook</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Origine: Australia,
1971</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Durata: 119'</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://drafthousefilms.com/film/wake-in-fright" target="_blank">Sito ufficiale (in inglese)</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.imdb.com/title/tt0067541/" target="_blank">Scheda di IMDB</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Wake_in_Fright" target="_blank">Pagina di Wikipedia inglese</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.ozmovies.com.au/movie/wake-in-fright" target="_blank">Scheda di Oz Movies</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=TdwyOra45ao" target="_blank">Trailer dell'edizione Eureka</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-36080735353880793402014-11-19T14:26:00.001+01:002014-11-19T14:26:36.055+01:00Torino 2014<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Torino 2014</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-a4pK2hc6FKE/VGyaTdNtOeI/AAAAAAAAC2U/BCo4dpush9A/s1600/torino2014manifesto.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-a4pK2hc6FKE/VGyaTdNtOeI/AAAAAAAAC2U/BCo4dpush9A/s1600/torino2014manifesto.jpg" height="225" width="320" /></a></div>
<br />
In un'annata che sembra
aver rappresentato una sorta di “resa di conti” per molti grossi
festival nazionali (si vedano le critiche al programma veneziano e le
polemiche su Roma, con Marco Muller che ha annunciato di considerare
chiusa l'esperienza di direttore), il <b>Torino Film Festival</b> si
presenta con la forza della continuità. La direzione passa
ufficialmente a Emanuela Martini, dopo vari anni spesi sul campo come
coordinatrice generale, e il programma è ricco di titoli (quasi
200), con nomi di qualità (Woody Allen, Susan Bier, Tommy Lee Jones,
Bruno Dumont, fino a Jerry Schatzberg che firma il manifesto, visibile qui sopra), come sempre cercando di tenere insieme
un'appetibilità “popolare” con una selezione non banalmente
glamour.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Non tutto è oro ciò che
luccica, in ogni caso, visti i problemi di budget che hanno portato
alla limitazione delle sale, ma è chiaro come Torino cerchi di
difendere un'autonomia artistica guadagnata sul campo e che ha
portato ad assorbire anche bene gli scossoni del 2006, quando la
manifestazione fu investita dalle polemiche per il cambio del gruppo
di lavoro: la nuova squadra è ormai rodata e ha saputo mantenere le
caratteristiche del festival, anche in rapporto a un mercato che
diventa sempre più esigente nelle aspettative e avido nelle risorse.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Come sempre grande
attenzione anche alla sezione di ricerca di Onde, che apre con il
nuovo film di Eugene Green, già protagonista, nel 2011, di un
indimenticabile omaggio. E poi i vari spazi retrospettivi, a
cominciare dalla seconda parte del “viaggio” nella New Hollywood,
dopo l'entusiasmante appuntamento dell'annata 2013. Difficile anche
solo scegliere un singolo titolo fra i tanti realizzati in
quell'irripetibile stagione, ma per chi scrive si prospetta
finalmente la realizzazione di un sogno, con la proposta dei primi
film di Steven Spielberg, <i>Duel</i> e il leggendario <i>Lo squalo</i>,
saggiamente proposti insieme per mostrare la continuità di un
talento indipendente che, senza colpo ferire, è poi transitato
direttamente nei gangli degli Studios rivoltandoli dall'interno!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Lo sguardo al passato,
dopotutto, serve proprio per offrire una maggiore consapevolezza
verso quegli scenari futuri che la manifestazione piemontese ha da
sempre così a cuore. Anche per questo, la proposta di classici non
ci si esaurisce nella retrospettiva “ufficiale”. A molti
cinefili, l'edizione 2014, offrirà infatti l'occasione di rivedere
(o, in molti casi, vedere per la prima volta) sul grande schermo
alcuni capolavori assoluti in edizione restaurata, come <i>Il
gabinetto del dottor Caligari</i>, <i>Via col vento</i>, <i>Allegro
non troppo</i> e <i>Profondo rosso</i>. Basta un simile poker d'assi
per farci desiderare di essere già a Torino. Ci si vede in sala!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.torinofilmfest.org/" target="_blank">Il sito del Torino Film Festival</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.youtube.com/channel/UCP9A9ykWbk3Ih1C0teo4OOA" target="_blank">Canale YouTube del TFF</a>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Collegati:</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2008/11/torino-2008.html">Torino 2008</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2008/12/torino-film-festival-day-after.html">Torino 2008: The Day After</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2009/11/torino-2009.html">Torino 2009</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2009/11/torino-27-il-ritorno.html">Torino 2009: Il ritorno</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.com/2010/11/torino-2010.html">Torino 2010</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2011/11/torino-2011.html">Torino 2011</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/search/label/Diario%20Torino%20Film%20Festival">Diario del Torino Film Festival 2011</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2012/05/il-destino-del-torino-film-festival.html">Il destino del Torino Film Festival</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2012/11/torino-2012.html">Torino 2012</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2013/11/torino-2013.html">Torino 2013</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-12617785935681547922014-10-29T15:22:00.000+01:002014-10-29T15:22:05.898+01:00Lucca 2014<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Lucca 2014</span></div>
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<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-F7E72V3RL7Q/VFD36JjDEOI/AAAAAAAAC1w/rpYOMKL9knc/s1600/luccacomics2014.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/-F7E72V3RL7Q/VFD36JjDEOI/AAAAAAAAC1w/rpYOMKL9knc/s1600/luccacomics2014.jpg" height="320" width="224" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dopo tre anni si torna
alla fiera di Lucca Comics & Games e la sensazione non è tanto
quella di un ritrovarsi, di un riprendere una “routine” quanto di
un dover reimparare: perché in questi anni la fiera si è
ingrandita, lo spazio Movies ha assunto una dimensione più “piena”
e gli eventi si sono moltiplicati, nel tentativo (sempre meno velleitario) di rendere merito all'importanza di un evento ormai classificato fra i principali del mondo, anche più del celeberrimo Comic-Con di San Diego. Immaginate poi quanto la cosa
assuma proporzioni grosse se già dal manifesto di Gabriele Dell'Otto
si sottolinea la “Revolution” organizzativa, con una città
impiegata in modo più estensivo, molteplici proiezioni e tanti
eventi.</div>
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<br />
</div>
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Ci sarà sicuramente di
che divertirsi, nell'impossibilità di cogliere la pienezza di un
evento che sarà comunque bello vivere nel suo spirito di cartina di
tornasole della moderna industria dell'immaginario, tra fumetti,
cinema, cultura giapponese, giochi di ruolo e videogame. Una tappa
ormai obbligata per chi intende correlarsi allo spirito dei tempi e
dei meccanismi che foraggiano la cultura popolare.</div>
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<br />
</div>
<br />
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Per il programma si
rimanda al sito ufficiale. Ci si vede a Lucca!</div>
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<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.luccacomicsandgames.com/it/2014/home/" target="_blank">Sito di Lucca Comics and Games</a></div>
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<br /></div>
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Collegati:</div>
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<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2011/10/lucca-2011.html">Lucca 2011</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2009/10/lucca-2009.html">Lucca 2009</a></div>
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<a href="http://nidodirodan.blogspot.it/2008/10/lucca-2008-laltro-grande-appuntamento.html">Lucca 2008</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8754439487261832712.post-38548683147226162742014-10-23T17:25:00.001+02:002014-10-23T17:29:09.507+02:00Harlequin<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-small;">Harlequin</span></div>
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<br /></div>
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<a href="http://2.bp.blogspot.com/-Zs-4OGWtTjA/VEkdEU1LfmI/AAAAAAAAC1U/iG0lI3_0AP0/s1600/harlequinposter.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/-Zs-4OGWtTjA/VEkdEU1LfmI/AAAAAAAAC1U/iG0lI3_0AP0/s1600/harlequinposter.jpg" height="320" width="154" /></a></div>
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<i>Il Senatore Nick Rast
è un uomo molto potente e ora ha di fronte a sé l'occasione di una
vita: la misteriosa morte in mare di un collega gli ha infatti aperto
le porte per un seggio nel governo, una nomina su cui puntano molti
potenti investitori, disposti a tutto pur di proteggere il loro
protetto. Ma, nel privato, la cagionevole salute del figlio Alex,
ammalato di leucemia, rischia di vanificare ogni felicità. Una sera,
però, il bambino guarisce grazie all'intervento di Gregory Wolfe, un
misterioso individuo apparentemente dotato di poteri magici. Da quel
momento Wolfe si stabilisce in casa del Senatore, esercitando un
grande fascino su sua moglie Sandy. Ma chi è realmente Wolfe? La sua
è davvero magia o un'abile truffa? E cosa vuole dalla famiglia Rast?</i></div>
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<br /></div>
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<br /></div>
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Per alcuni, il produttore
Antony I. Ginnane è il “Roger Corman australiano”, per la
spregiudicatezza con cui ha sempre tentato di riprodurre “in piccolo”
le dinamiche del cinema più grande, attraverso una formula ibrida,
ambiziosa nei risultati e nei nomi che di volta in volta riusciva a
coinvolgere, ma estremamente scaltra e “popolare” nell'uso delle
pratiche più “basse”, con sesso e violenza a far sempre
capolino. La sua fortuna inizia con il successo di <i>Patrick</i>,
che gli apre le porte dei mercati esteri e lo spinge a provare un
tipo di cinema australiano nei fatti, ma capace di apparire
appetibile anche al di fuori dei confini nazionali grazie al
coinvolgimento di attori americani e inglesi. E' in base a questa
dinamica che avviene il suo incontro con David Hemmings, celebre
interprete di <i>Blow Up</i> e <i>Profondo Rosso</i>, che alla fine
degli anni Settanta sta tentando il passaggio dietro la macchina da
presa: le sue prime regie, però, non hanno avuto il successo
sperato, e così l'attore inglese si lascia convincere a unire le
forze con quello spregiudicato produttore australiano, che sembra in
grado di assicurargli i mezzi per proseguire la carriera. Il primo
passo, comunque, lo vede soltanto attore, in questo <i>Harlequin</i>,
dove la sua presenza garantisce anche l'approdo di Robert Powell,
all'epoca sulla ribalta per l'interpretazione da protagonista nel
<i>Gesù di Nazareth</i> di Franco Zeffirelli. A dirigere c'è invece
Simon Wincer, futuro artefice di <i>D.A.R.Y.L.</i> e <i>Free Willy</i>,
che sotto l'ala di Ginnane ha già realizzato <i>Snapshot</i>.</div>
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<br /></div>
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La storia, scritta
dall'esperto Everett De Roche (lo stesso di <i>Patrick</i>), parte da
presupposti alquanto ambiziosi: l'intenzione è infatti quella di
attualizzare la vicenda del monaco Rasputin e della sua influenza
sulla famiglia dello Zar Nicola II di Russia (e in particolare sulla
zarina Aleksandra), ottenuta grazie alla guarigione del figlio
Aleksej dall'emofilia. A questo si unisce l'influenza storica pure
garantita da un incidente che, nel 1967, aveva visto il primo
Ministro australiano Harold Holt sparire nel nulla dopo essersi
tuffato in mare. Il titolo <i>Harlequin</i> (che in America diventa
<i>Dark Forces</i>) ammicca invece all'Arlecchino di Goldoni,
chiamato esplicitamente in causa nel travestimento finale di Wolfe.
L'influenza di Ginnane si vede in un paio di momenti shock e in
almeno una scena di nudo, ma per il resto Wincer impone un taglio elegante e decisamente lontano dagli standard tipici del cinema <i>exploitation</i>, più vicino perciò a
thriller ad alto budget come <i>Il presagio</i>. L'uso del
Cinemascope e le efficaci musiche di Brian May (soltanto omonimo del
celebre chitarrista dei Queen) contribuiscono a creare l'atmosfera giusta.</div>
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<br /></div>
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La natura ibrida viene
così sfruttata a livello narrativo, sfruttando l'ambiguità che
circonda il personaggio di Wolfe, sostanzialmente positivo e capace
di aprire orizzonti interessanti e vivificatori, ma sempre ammantato
da un'aura di mistero circa le sue reali capacità. Le barriere che
il mago abbatte sono quelle del deperimento fisico (la malattia del
piccolo Alex), ma anche quelle dell'ipocrisia che domina nel contesto
familiare alto borghese, attraverso un disvelamento degli interessi
che gravitano attorno alla figura del Senatore Nick Rast, per il
quale ogni azione si inserisce in una rete di necessità, doveri e
privilegi imposti a se stesso e a chi gravita nella sua orbita.</div>
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<br /></div>
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<a href="http://1.bp.blogspot.com/-wPChf9kh-nA/VEkdEWh01vI/AAAAAAAAC1g/fHzpxR85NgY/s1600/harlequincast.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/-wPChf9kh-nA/VEkdEWh01vI/AAAAAAAAC1g/fHzpxR85NgY/s1600/harlequincast.jpg" height="90" width="200" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ne consegue un
interessante tentativo di articolare la dicotomia magia/realtà nel
senso di uno scontro fra l'apparenza e la sostanza: in tal modo Wolfe
si offre come presenza proteiforme, un po' mago, un po' messia, un
po' maschera da commedia dell'arte, trasformista e satirico per come
mette in crisi i ruoli dei protagonisti, spingendoli a liberarsi dai
doveri imposti da una vita finalizzata soltanto agli interessi
particolari. La natura insufficiente di alcuni effetti speciali viene
riscattata da un Robert Powell perfetto nel ruolo, gigionesco e
dunque consapevole nello “staccare” il personaggio dalla realtà
circostante per aprire il racconto a una prospettiva <i>altra</i>,
che sia punto di vista privilegiato sulla politica e la società
dell'epoca. In tal modo i personaggi diventano protagonisti di una
continua oscillazione, dove il potente Senatore Rast si rivela
adultero, debole e manovrato dai suoi investitori, mentre sua moglie
abbandona i panni della devota consorte per lasciarsi conquistare dal
nuovo arrivato, cui confida tutte le sue celate frustrazioni. Il
piccolo Alex (su cui non a caso si chiuderà la storia) diventa così
il terreno di coltura su cui forze contrapposte agiscono per forgiare
una realtà divisa fra spregiudicato bisogno e un afflato più libero
e panico, ben sintetizzato dalle continue inquadrature su gabbiani,
mari e elementi naturali.</div>
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<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ma è ancora più
interessante il fatto che questa crisi del rapporto verità/finzione
si sposi alla particolare anima di un film che fonde uno sguardo
realistico e un approccio fantastico, unendo analisi politica e uso
dell'elemento magico; la struttura è a cerchi concentrici, e ogni
possibile livello di fruizione alza ulteriormente la sfida delle
sensazioni che si tenta di far provare allo spettatore e delle
tipologie di racconto che si possono inserire nell'insieme. Per certi
versi è il punto d'approdo assoluto dell'idea di <i>cinema composito</i>
di Ginnane, ambientata in un “non luogo”, con interpreti
britannici, artigianale e quasi psichedelico nella sua bizzarria
eppure capace di prendersi sul serio con un tono da cinema adulto:
una strana formula che, peraltro, si situa anche bene fra una certa
sensibilità più rarefatta tipicamente anni Settanta e una voglia di
alzare la posta in gioco, più vicina agli Ottanta.</div>
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<br /></div>
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Il rischio, naturalmente,
è quello di creare disorientamento e apparire perciò come un
progetto confuso, che gioca con l'accumulo di spunti senza riuscire a
dare compattezza all'insieme: resta, comunque, un esempio
interessante e particolare di cinema di genere capace di osare
soluzioni inattese.</div>
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<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il film è inedito in
Italia, e il resoconto si basa sulla visione dal DVD australiano
della Umbrella Entertainment.</div>
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<br /></div>
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<br /></div>
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<b>Harlequin</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Regia: Simon Wincer</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Sceneggiatura: Everett
De Roche</b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b>Origine: Australia,
1980</b></div>
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<b>Durata: 92'</b></div>
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<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.imdb.com/title/tt0080842/" target="_blank">Scheda di IMDB</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Harlequin_(film)" target="_blank">Pagina di Wikipedia inglese</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.ozmovies.com.au/movie/harlequin" target="_blank">Il film su Oz Movies</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Grigorij_Efimovi%C4%8D_Rasputin" target="_blank">Rasputin su Wikipedia</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Harold_Holt" target="_blank">Harold Holt su Wikipedia</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Il_servitore_di_due_padroni" target="_blank">L'Arlecchino di Goldoni</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Maschera_(commedia_dell'arte)" target="_blank">Maschera da commedia dell'arte</a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=exwHRFtJt9M" target="_blank">Trailer originale</a></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/03121577662592705239noreply@blogger.com0