Torino 2011: Day 5
Da sempre nel Torino Film
Festival il momento della riscoperta è pari in importanza (se non
addirittura superiore) a quello della scoperta tout-court,
prova ne sia il ruolo sempre essenziale delle retrospettive. Nella
quinta giornata questo doppio registro novità/memoria è diventato
suo malgrado la traccia delle opere visionate. L'inizio è per
Bereavement, opera quasi “autarchica” per come il regista
Steven Meka si è arrogato quasi tutti i compiti (è sceneggiatore,
produttore, montatore, autore delle musiche e degli effetti sonori
nonché regista della seconda unità!). Si tratta di un horror
ambientato negli anni Ottanta e che risponde a certe regole del non
dimenticato survivalism, quel filone “cattivo” tipico dei
decenni passati con assassini con un debole per la macellazione e
donne in pericolo. Qui la dicotomia è complicata da un bambino che
viene rapito dal killer di turno e “iniziato” alla violenza, in
un percorso di formazione che alla fine non lascerà superstiti sul
campo. L'incedere un po' disordinato e la regia che indulge nel
manierismo sono i punti deboli di un'opera che però stupisce dal
versante della durezza dei toni. Bello il cast, con i redividi
Michael Biehn e John Savage, affiancati dalla bellissima Alexandra
Daddario. Gli anni Ottanta si ritrovano anche nel bel Jess + Moss,
evento congiunto di “Festa mobile” e “Onde”, che racconta
l'estate di due giovani cugini (lei 18 anni, lui 12): i due esplorano
l'ormai fatiscente casa dove era vissuta la famiglia di lei, e tale
esperienza diventa un'avventura che dalle palpitazioni del presente
giunge a un rapporto di confronto (e anche fascinazione) con il
passato. Il regista Clay Jeter è molto bravo nell'elaborare
visivamente i vari spunti, offrendoci un'opera affascinante e capace
di rendere gli stati d'animo dei personaggi e i loro sentimenti
contrastati attraverso gli splendidi scenari del Kentucky. Si va
infine nel classico vero e proprio con due riproposte come Il
mattatore di Dino Risi (nell'ambito dell'omaggio a Dorian Gray,
scomparsa qualche mese fa) e il bellissimo Radio America,
ultimo capolavoro di Robert Altman. Risi ci ricorda che in fondo
l'italietta truffaldina del passato era già molto simile a quella
che (con molta meno simpatia di quanto non susciti il grugno
mascalzone di Vittorio Gassman) domina oggi le cronache; Altman
invece compone il suo personale canto del cigno su una trasmissione
radiofonica, ammantando la vicenda di un latente senso di morte che
però proprio nella sua ora più oscura diventa specchio di una
trascinante vitalità, e di un'ironia che corre sottotraccia
regalandoci un film divertito e commovente. Nostalgia senza
passatismi, insomma, come dovrebbe essere sempre nel cinema che vale
la pena scoprire e riscoprire.
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