Torino 2011: Day 1
Una delle tappe
obbligate, quando si giunge a Torino, è il Museo del Cinema, che
quest'anno vede la Mole Antonelliana addobbata nel segno di Robert
Altman, protagonista della retrospettiva principale del TFF. Ma, al
di fuori del ventaglio di proposte festivaliere, la Mole ospita anche
la mostra “Amos Gitai: Architettura della memoria”, una
installazione dedicata al regista israeliano (e curata direttamente
dall'interessato) nell'inedita cornice dei sotterranei, aperti
eccezionalmente al pubblico. Un'occasione da non perdere, specie
quando si ha a disposizione l'intera mattinata, essendo le proiezioni
del Day 1 concentrate interamente nel pomeriggio. E sono visioni
decisamente forti e poco concilianti, se il primo spettacolo vede
protagonista il Suicide Club che nel 2002 rivelò al mondo il
talento di Sion Sono, protagonista assoluto della sezione “Rapporto
Confidenziale”. Sfuggono i motivi per i quali un film così celebre
sia mostrato soltanto oggi, peraltro con introduzione del regista che
si toglie elegantemente il cappello davanti al pubblico e lascia che
a parlare siano soprattutto le immagini forti dei suicidi giovanili
veicolate da una mano misteriosa che determina il meccanismo
thriller. Al di là della componente gore che si auto stempera in un
tono abbastanza grottesco, il film è sentito e lacerante nel
dipingere una società disgregata e che cerca valvole di sfogo in
sottoculture pop (gruppi musicali in particolare): la visione diventa così un intrigante andirivieni tra i meccanismi tipici della società dello
spettacolo e ambizioni autoriali che rendono il film molto più
complesso di quanto non appaia inizialmente. Il Giappone ne emerge
come una terra infelice, e a confermarlo arriva anche il bellissimo
Hanezu no Tsuki, della grande Naomi Kawase, che apre le “Onde”
della sezione sperimentale: il racconto di un triangolo amoroso
diventa il pretesto per una riflessione malinconica sullo
stratificarsi di tempi e memorie con i quali raccontare una terra
osservata in inediti scorci di folgorante bellezza, dove una natura
incontaminata e un rapporto anche fecondo che gli uomini
intrattengono con essa non riesce a cancellare un malessere interiore
che porta la possibile storia d'amore a naufragare. Laddove comunque
il sentimento pone le sue basi, la Kawase offre scene di struggente
dolcezza, regalandoci alla fin fine un anomalo melodramma. La
proiezione è anticipata dal bel corto svedese Sent Pa Jorden/Late
on Earth: accostamento riuscitissimo per lo sguardo anche qui
immerso nei colori e, soprattutto, nei suoni di una natura dove scene
proposte senza particolare soluzione di continuità offrono una
sinfonia poetica e aggraziata. Torna – per contrasto – alla mente
la cacofonia di suoni della mostra di Gitai, per ricordarci che fra
le visioni di questa prima giornata è il sonoro (e la musica) ad averla
fatta da padrone.
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