"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 16 marzo 2012

4 anni nel Nido

4 anni nel Nido

Scandire gli anni di vita del blog è qualcosa che faccio sempre con piacere, principalmente perché segna il legame duraturo con questo spazio e mi permette di ricordare il già fatto: quello di quest'anno poi è un appuntamento particolare perché da qualche mese i blog sono diventati due (c'è infatti anche La luna di Cybertron), ma direi che un po' tutta la formula del Nido si è “moltiplicata”, ci sono i Quadri del cinema, gli On Location, la collaborazione con gli amicii di Anime Asteroid... significa che l'intuizione era giusta e che ci sono tanti modi di esplorare le proprie passioni e offrire spunti per visioni e analisi. Ci tengo poi a rimarcare il lavoro fatto con i report quotidiani dal Torino Film Festival 2011, che spero diventerà una costante di tutti i festival in cui mi recherò (attività peraltro sempre più difficoltosa, per i costi e le ingerenze politiche che stanno strozzando molte manifestazioni) e che segna un tentativo di rendere più dinamica la formula del blog, di pensarlo come uno spazio in continua evoluzione.

Per l'anno a venire c'è un primo obiettivo che mira ad aumentare il numero di recensioni riguardanti i film non ancora usciti in Italia, per cui si dovrà magari pensare a una formula un po' diversa, che unisca la consueta analisi a una parte informativa che incuriosisca e spinga al recupero... si vedrà. Di certo quello che non leggerete mai da queste parti sono le classifiche, i voti o peggio ancora le noiosissime disquisizioni sugli incassi, figli di una concezione “economicista” che ha letteralmente inquinato il nostro modo di pensare legando tutto al risultato monetario. Al contrario si continuerà a tentare un'analisi approfondita ma che metta in luce l'emozione della visione. Speriamo di riuscirci, e che nessun problema pratico o tecnico intervenga a mettere i bastoni fra le ruote (in questi giorni blogger fa un po' i capricci...). Intanto grazie a chi continua a seguire questo spazio!

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mercoledì 14 marzo 2012

John Carter

John Carter

Il giovane Edgar Rice Burroughs viene convocato a casa dello zio John Carter, scomparso di recente. L'uomo gli ha lasciato in eredità il suo patrimonio e gli ha affidato un diario nel quale gli racconta storie incredibili di un suo viaggio su Marte, dove si era innamorato della principessa Deja Thoris, promessa al tiranno del regno rivale degli uomini rossi. La diversa gravità del pianeta permetteva a Carter di sfoggiare capacità superumane, che ben presto lo rendono una pedina importante nel gioco fra le parti.


C'è un momento in John Carter, in cui si intravede una tempesta di sabbia sul paesaggio riarso del pianeta Marte: una scena breve, fuggevole, che non ha particolari conseguenze sulla trama e che si rischia quasi di tralasciare e dimenticare, al punto che persino il ricordo è blando, sovrastato dalle tanti visioni che il film veicola. E' dunque piacevole pensare che quell'inserto rappresenti una sorta di strizzatina d'occhio, di colpo di gomito che Stanton scambia in maniera complice con il collega Brad Bird, che in Mission Impossible: Protocollo fantasma mette pure in scena – e in modo decisamente più rilevante rispetto alla trama – una tempesta dello stesso tipo.

Al di là delle fantasticherie o delle speranze cinefile, resta comunque il fatto che gli ultimi due mesi hanno visto due grandi nomi della Pixar debuttare nel Live Action, confermando come la factory disneyana sia di per sé una perfetta incubatrice di talenti narrativi di cui il cinema “dal vero” sempre più abbisogna, ma anche di come fortunatamente gli steccati siano caduti, complice il fatto che il moderno cinema digitale è sempre più un qualcosa che utilizza l'animazione anche quando la sua parvenza è di volgere al realistico (la differenza è tutta concettuale, prima ancora che pratica).

Nel caso di John Carter, poi, entra in scena una dinamica tutta interna al film, un delizioso pastiche che mescola gli stilemi più classici dell'avventura ai moderni ritrovati tecnologici, fra grandeur e ingenuità: il riferimento non è tanto alla filiazione dagli antichi testi di Burroughs, quanto il fatto che lo stesso autore sia chiamato in causa esattamente come avveniva con il Kipling di L'uomo che volle farsi re, così magistralmente trasposto da John Huston. Il risultato generale non si limita dunque a trasporre semplicemente un testo altrui, ma a fare dello stesso una cartina di tornasole di una concezione cinefila basata sulla scomposizione e ricomposizione di un sistema di riferimenti trasversale a diverse forme espressive. Pura lezione Pixar, insomma, la stessa che rende i loro cartoon espressioni così straordinarie di un cinema “pieno” e capace di andare al di là dell'emozione veicolata nella singola storia, perché emblema di un cinema che conosce perfettamente i moduli narrativi del passato e del presente, e sa dunque ricombinarli e reinventarli.

Così, Stanton e Bird davvero dividono un'idea di spettacolo profondamente addentro alle dinamiche del presente, con quelle creature digitali curate e quei totali che inquadrano realtà ciclopiche che devono sovrastare la fantasia dello spettatore imponendosi con la loro forza; ma, allo stesso tempo, si tratta di uno spettacolo profondamente retrò, avventura d'antan mascherata di nuovo, dove è possibile scatenare la risata all'interno di una situazione più seria, dove la leggerezza di tono si fa strada fra l'ossessione perfezionista dell'effetto e dove i generi di riferimento (la spy story di Mission: Impossible e l'avventura o il fantasy di John Carter) si rivelano nella loro essenza più intima: grandi contenitori di idee del passato, format dinamici, liquidi, capaci di assorbire i maggiori scossoni e di apparire sempre diversi pur essendo sempre uguali.

Certo, non va negato che in questo caso il gioco funziona bene ma non perfettamente, a causa di una storia che fatica a rientrare nella pur lunga durata e che perciò costringe a compressioni e esemplificazioni in alcuni punti, ma in ogni caso resta forte l'idea di un processo creativo che è pura assimilazione della tradizione. Pertanto, il film deve trovare il suo baricentro all'interno del complesso sistema di riferimenti codificato dai generi a cui guarda, esattamente come Carter deve reimparare letteralmente a vivere: il suo arrivo su Marte diventa così un'autentica dichiarazione d'intenti per Stanton, che mette il suo eroe nella condizione di dover ricalibrare il modo in cui cammina, lo spinge a assimilare una nuova lingua e ben presto affonderà nel suo passato spingendolo a abbandonare il sogno tutto materiale di una miniera d'oro (pretesto cardine dell'avventura d'annata) per comprendere e combattere i demoni interiori legati alla morte dei congiunti.

Una volta compiuta questa rinascita, il film può finalmente permettersi di mettere in scena cliché e rimandi con l'entusiasmo della prima volta: una frontiera da conquistare in puro stile western, un passato e un presente di guerre come in un film bellico, l'incipt “vittoriano” alla Sherlock Holmes, mondi degni di Star Wars, una principessa in pericolo come nelle fiabe, una tribù che guarda ai Na'vi di Avatar e un simpatico cucciolone alieno che è pura filiazione degli irresistibili comprimari di matrice disneyana. Tutto crea assonanze e risonanze con l'immaginario da cui John Carter è generato e che a sua volta (come antico testo letterario) ha finito inevitabilmente per produrre e che ora richiama a sé.

L'unico elemento davvero anomalo sembra rappresentato dalla casta para-sacerdotale dei manipolatori, che riverberano un disegno più cosmico e finiscono per incarnare tutto sommato lo spirito di sintesi di queste avventure, grazie alla natura proteiforme e cangiante che permette di giocare con le aspettative dei personaggi e persino dello spettatore. L'intera storia, in fondo, non è che il frutto delle loro azioni, sono loro a determinare l'arrivo di Carter su Marte, sono sempre loro a veicolare le azioni belliche dei popoli in guerra e non a caso sono ancora loro a non patire un'autentica sconfitta finale, perché l'utilizzo e il rovesciamento dei cliché deve sempre avvenire all'interno di coordinate narrative che guardino al genere nella sua integralità e purezza.


John Carter
(id.)
Regia: Andrew Stanton
Sceneggiatura: Andrew Stanton, Mark Andrews, Michael Chabon (basato sui romanzi di Edgar Rice Burroughs)
Origine: Usa, 2012
Durata: 132'

giovedì 1 marzo 2012

Gundam: la trilogia cinematografica

Gundam: la trilogia cinematografica

Considerate le traversie cui è andata incontro la serie tv nel nostro paese - dove si è dovuto attendere il 2004 perché fosse interamente sdoganata - ancor più infelice appare il destino delle versioni cinematografiche, guardate con scarso interesse perché apparentate superficialmente alla media delle cosiddette pellicole “riassuntive”. Al contrario, l'approdo di Mobile Suit Gundam al grande schermo non deve apparire estemporaneo o frutto soltanto di vili strategie commerciali, ma come l'ulteriore evoluzione di una storia ormai consapevole del proprio valore e per questo pronta a sfruttare appieno il suo potenziale. Già nel formato televisivo, infatti, Yoshiyuki Tomino pensava secondo modalità cinematografiche, per la forza epica che tracimava dalle storie e per la sua capacità autoriale di scardinare le regole del genere di riferimento (quello dei robot giganti), cercando di aprire sempre nuovi orizzonti. E anche se l'autore oggi denuncia i limiti tecnici dell'operazione (la serie tv fu infatti realizzata su pellicola 16mm che quindi non assicurava un'adeguata qualità per la proiezione in sala), in realtà il grande schermo era esattamente il luogo ideale per concludere il percorso dell'epopea.

La trilogia nacque per celebrare il crescente consenso che all'epoca stava circondando la serie, dopo che le prime e più fredde accoglienze ne avevano addirittura ridotto il numero di puntate previste. La lotta fra la Federazione Terrestre e il Principato di Zeon è condensata in lungometraggi da due ore l'uno e rinnova il viaggio dell'astronave White Base, con il suo carico di militari e civili. Un ensemble a carte sparigliate, dove già si sottolinea la portata globale di una visione che coinvolge il mondo al di là delle classificazioni codificate e “apre” la portata dei combattimenti, non localizzandoli più nel solo Giappone, ma in una guerra su scala spaziale. Il montaggio si occupa di armonizzare gli eventi originariamente distribuiti secondo la tipica formula seriale, in modo da rendere la narrazione fluida, omogenea e senza pause: alcuni aspetti anche molto interessanti della storia restano naturalmente fuori, ma Tomino fa comunque compiere all'epopea fantascientifica un autentico balzo di qualità, perché ne porta all'estremo la portata rivoluzionaria, abbandonando del tutto i cascami delle vecchie serie robotiche che ancora persistevano nel formato originario.

Sebbene all'epoca si tendesse – giustamente – a evidenziare quanto la serie tv aggiungesse e cambiasse rispetto al passato, in realtà essa può apparire acerba a una visione contemporanea, a causa delle persistenza di alcune dinamiche del format robotico classico: impiego del Mobile Suit in combattimenti ripetuti, esaltazione della sua forza guerriera, necessità di ulteriori (e anche fantasiosi) upgrade. I film fanno piazza pulita di questi elementi, rendendo il robot un elemento accessorio di una narrazione che può ora puntare interamente sullo scenario globale a lei caro e sul ruolo dell'umanità in un contesto ormai cambiato. Tomino è evidentemente ormai conscio dell'apertura degli orizzonti tipica dell'avventura spaziale anni Settanta, dove l'umanità sognava un futuro al di là dei propri confini, e si interroga perciò sulle conseguenze.

Al pari dei Newtype che sintetizzano l'idea di un ulteriore gradino nella scala dell'evoluzione umana conseguente l'approdo alla nuova frontiera spaziale, così la storia cambia insomma pelle, affinandosi e maturando, elaborando i suoi spunti con un impatto visivo nuovo che porta a ridisegnare gran parte delle scene in modo da rendere più realistiche le animazioni. In questo modo risulta chiaro come quello compiuto da Tomino sia stato un autentico atto di lungimiranza, perché il suo scardinare le tradizioni narrative codificate è un chiaro riflesso di quella tensione che, nel racconto, porta lo spettatore dalla materialità della battaglia fra robot giganti ai dilemmi etici e visionari sul destino dell'uomo nel nuovo universo.

L'immersione nello spazio, dunque, non è soltanto un mero espediente narrativo per garantire maggiore varietà all'azione, ma rappresenta al contrario l'enunciazione di una possibilità infinita che attende gli uomini se liberati dai legami di parte: ne consegue che questa è una storia di persone che vivono la tensione straordinaria all'infinito da una prospettiva ordinaria che è quella tipica di entità “finite” e che perciò devono imparare a perdersi negli scenari che si offrono loro, ma anche a ritrovarsi, cercando un obiettivo personale e unico che permetta a ciascuno di essere parte attiva in un contesto ormai articolato su dinamiche di massa.

Questo dualismo riflette sia il potenziale enorme e inespresso che attende la nuova umanità, sia il dramma dei personaggi, che, ormai nel pieno del progresso materiale, iniziano a fare i conti con le possibilità filosofiche a esso connesse e ne sono soverchiati, ritrovandosi in molti casi impreparati. Per questo il loro ancorarsi a prospettive di parte, a rancori e particolarismi è anche un modo per affermare il proprio status di esseri umani. La storia è dunque riassumibile in un continuo ondeggiamento fra gli opposti sentimenti generati da una tensione sovra-umana e da dinamiche tipiche dell'irredimibile condizione umana: dolore, amore, rivalità, fanatismi, legami familiari e di amicizia. Tomino lancia dunque un grido di dolore per un'umanità nei cui confronti si dimostra alquanto pessimista, ma anche un messaggio di speranza che guardi all'evoluzione e a un futuro completamente nuovo, dove la colonizzazione del cosmo sia anche una metafora di un modo differente di intendere la vita in uno scenario cambiato.

Accanto alla serie, dunque, si consiglia di non trascurare o sottovalutare questa riedizione cinematografica “definitiva” approntata dall'autore, che enuncia con maggiore compiutezza il proprio fine tematico e conferisce maggiore forza espressiva al racconto grazie a modifiche e innovazioni: l'edizione italiana peraltro è fra le più curate che si siano viste da tempo, grazie a un eccellente lavoro di traduzione, che permette di cogliere ogni sfumatura dell'opera.


Mobile Suit Gundam – The Movie I
(Kido Senshi Gundam I)
Mobile Suit Gundam – The Movie II: Soldati del dolore
(Kido Senshi Gundam II: Ai Senshi)
Mobile Suit Gundam – The Movie III: Incontro nello spazio
(Kido Senshi Gundam III: Meguriai Sora)
Regia e sceneggiatura: Yoshiyuki Tomino
Origine: Giappone, 1981-1982
Durate: 133' – 140' – 140'


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