"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 1 aprile 2008

[REC]

Angela, giornalista televisiva del programma “Mentre voi dormite” sta registrando un servizio presso il corpo dei Vigili del Fuoco di Madrid: una chiamata improvvisa precipita una squadra (con la giornalista e il cameraman al seguito) in un palazzo che diventa ben presto ricettacolo di un contagio. Chiunque venga morso si trasforma in un infetto rabbioso e le autorità, per arginare il fenomeno, sigillano tutte le uscite. Per Angela e gli inquilini inizia una notte di terrore, che noi spettatori seguiamo in tempo reale attraverso l’obiettivo della telecamera.

E’ ancora possibile assaporare nel buio della sala l’emozione della paura, quella che attanaglia allo stomaco e quasi impedisce di respirare? [REC] è la risposta (affermativa): un concentrato purissimo di angosce, un film viscerale e capace di non perdere un colpo, che riesce, come pochi titoli, a visualizzare il panico su schermo. L’uscita italiana che avviene in quasi contemporanea a quella di Cloverfield, con cui il film condivide il medesimo stile in soggettiva, non deve scoraggiare, né tantomeno devono fare i nomi dei due registi, Jaume Balaguerò e Paco Plaza che non avevano particolarmente convinto con i loro lavori precedenti. [REC] infatti si dimostra perfettamente efficace e capace di agire su più livelli contemporaneamente: è un puro film di genere, che si adagia su cliché codificati, ma anche un meccanismo complesso, un tour de force stilistico che immerge lo spettatore nell’esperienza. L’approccio è meno radicale e teorico di Cloverfield, ma il risultato è anche più energico nel trasmettere le sue emozioni.

Gli ultimi dieci anni di cinema horror verranno forse storicizzati come quelli che hanno tentato in maniera più precisa di rinnovare l’iconografia del morto vivente, definito da George A. Romero nel 1968 con La notte dei morti viventi: il passaggio più scontato è stato quello di sovrapporre questa classica icona, dall’incedere quasi ipnotico nella sua lentezza, a quella dei contaminati (peraltro “inventati” sempre da Romero in La città verrà distrutta all’alba del 1973), scattanti e aggressivi. [REC] si situa senz’altro in questo nuovo filone “a metà”, ma ha la saggezza di comprendere che il rinnovamento maggiore non sta tanto nella foga più o meno esasperata del mostro, ma nel senso di impotenza che si prova di fronte all’orrore cosmico provocato dal propagarsi della piaga (interessante notare come lo stesso Romero si sia recentemente accostato a questa metodologia di racconto, con l’atteso Diary of the Dead). Il raccontare in soggettiva la condizione di vittima rispetto al contagio rappresenta quindi l’idea perfetta per fare avanzare il genere di un livello e immergerlo nelle paranoie sociali e nell’ossessione per l’immagine care al terzo millennio. Che sono, cioè, le paure di un pericolo improvviso che si palesa nel cuore della metropoli, ma anche quelle del voler a tutti i costi riprendere un evento.

L’intraprendenza di Angela, che ordina al suo cameraman di riprendere i fatti, è dunque leggibile come un possibile speculare alla diffidenza che i vari inquilini dello stabile dimostrano gli uni verso gli altri, e questo nodo di relazioni interpersonali finisce per costituire a sua volta una metafora della furia disgregatrice portata avanti dai contaminati. Quello cui assistiamo, in fondo, è una nuova rappresentazione della fine di un mondo già in atto, auspicata e temuta allo stesso tempo da un’umanità in bilico.

Per questo motivo [REC] unisce passato e presente riutilizzando gli espedienti più o meno classici del genere senza farli risultare logori o derivativi: innanzitutto gioca con gli improvvisi sbalzi del sonoro in modo da creare un’atmosfera avvolgente, dove i rumori intervengono in ogni momento di possibile calo della tensione rinforzando il timor panico. Contemporaneamente la fotografia “sporca” del digitale agevola una resa desautorata nei colori che diventa quasi bicromatica (complice l’uso intelligente della “visione notturna” della telecamera), dove risalta soprattutto il rosso intenso del sangue. I protagonisti, inoltre, si rivelano degli inetti incapaci di coordinarsi e mostrano il fianco ai mostri che non hanno altro da fare che attendere l’occasione giusta per potersi scatenare. L’uso degli spazi, chiusi e oppressivi, rende la vicenda claustrofobica, mentre la recitazione isterica dei protagonisti (sui quali svetta una strepitosa Manuela Velasco) risulta credibile perché correlata a un evento che nel suo limitato raggio d’azione (il condominio) ha portata globale, è inarrestabile e riproduce in vitro una follia collettiva. La struttura narrativa, dal canto suo, segue in maniera molto precisa quelli che sono i canoni finora dettati dal “Real Movie”: un inizio apparentemente avulso da tutto il resto, la virata che precipita nell’orrore, la situazione di panico, fino alla rivelazione finale sulle cause che hanno determinato l’orribile vicenda.

All’interno di questa struttura, il lavoro degli autori è quindi apparentemente quello di regolare il flusso di energia che la situazione, agevolata da un impianto di chiaro stampo teatrale, pone naturalmente in essere, e per questo motivo il film appare per molta parte del suo svolgimento totalmente distaccato rispetto ai temi cari ai due registi: l’eleganza stilistica spesso fredda e formalista che ha sempre contraddistinto soprattutto i precedenti lavori di Balaguerò è sostituita dall’incedere caotico di una camera a spalla che necessariamente cattura le immagini nel loro farsi, cerca di mantenere sempre una certa stabilità del quadro ma è compromessa dall’imprevedibilità degli eventi. E per questo il film, nonostante gli accorgimenti tecnici enunciati in precedenza, risulta visivamente "poco elegante”, nervoso, ma anche febbricitante.

Dove però Balaguerò e Plaza rivendicano con forza il loro diritto a porre un suggello autoriale è nel finale, quando la spiegazione del mistero (che ovviamente non va rivelata) si ricollega in maniera particolarmente netta ai temi delle rispettive filmografie (in particolare il settarismo religioso di Plza e la dissoluzione familiare di Balaguerò). Apparentemente forzato, questo elemento non fa altro che ribadire come il film sia in grado di mantenere il doppio registro fra esigenze commerciali e finalità espressive. L’equilibrio di [REC] in questo senso è davvero esemplare e la discesa agli inferi dei protagonisti è condotta con intelligenza e rigore. E in grado di risultare assolutamente coinvolgente: un film semplicemente imperdibile.

[REC]
(id.)
Regia: Jaume Balaguerò e Paco Plaza
Sceneggiatura: Jaume Balaguerò, Luis Berdejo, Paco Plaza
Origine: Spagna, 2007
Durata: 85’

Intervista a Jaume Balaguerò e Paco Plaza
Altra intervista ai registi
Intervista al direttore di doppiaggio
Sito ufficiale spagnolo
Sito ufficiale italiano
Canale YouTube italiano sul film

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bellissima recensione Davide, come tutte le altre d'altronde... non ho ancora visto Rec, ma attendo con ansia di darci un'occhiata, mi intriga e non poco. A dir la verità non amo affatto il cinema di Balaguero, ma pare che questa volta abbia (finalmente) azzeccato il film giusto. Appena riesco a vederlo ti dirò.
Ale