"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 7 aprile 2008

Un bacio romantico

New York. Lizzie è sola in una pasticceria aperta tutta la notte, la storia con il suo ragazzo è finita perché lui la tradiva: Jeremy, il proprietario, è un tipo brillante che la spinge ad assaggiare una torta di mirtilli. E’ la particolare complicità di un momento, ma Lizzie sembra ritrovare in questo modo la voglia di affrontare il mondo, trova nuovi lavori per comprarsi un’auto, conosce il disperato poliziotto Arnie, schiavo dell’alcool dopo che la moglie lo ha lasciato, e finisce a viaggiare per l’America con Leslie, accanita giocatrice che ha un pessimo rapporto con il padre. Tutte queste storie finiranno per arricchirla finché il viaggio non la riporterà al punto di partenza, nella pasticceria di Jeremy e della torta di mirtilli.

Non sorprende affatto constatare come Wong Kar-Wai riesca a compiere quell’operazione di innesto delle proprie coordinate artistiche nel cinema occidentale che a molti colleghi invece non è riuscita: perché in fondo il suo cinema ha sempre tradito una tensione universale e cosmopolita in grado di attecchire tanto nelle metropoli dell’Est quanto in quelle dell’Ovest. Un bacio appassionato, suo nuovo film (non brutta, sebbene esemplificatrice, la traduzione del titolo italiano), accantonato eccessivamente come un’operazione incolore, arriva invece al momento giusto, quando l’immaginario dell’autore cinese rischiava di ricadere in una certa autoreferenzialità, e gli permette anzi di rinnovarsi, in un confronto proficuo con le strategie narrative e con le forze attoriali del cinema occidentale (americano in particolare, sebbene la produzione sia sino-francese). Si avverte infatti, durante la narrazione, una spinta propulsiva che è quella tipica del cinema indipendente statunitense, basato su una forte centralità dell’attore, dove la recitazione ha uno stampo quasi teatrale, fatta di gesti molto calibrati, a tratti enfatici, dove il corpo riesce a sembrare libero eppure nello stesso tempo perfettamente sotto controllo, e i suoi movimenti sono il frutto di una tecnica radicata, che riesce a coniugare lo studio con l’improvvisazione. E già qui si svelano le prime sorprese, se accanto a professionisti consolidati (spesso usati in ruoli originali) come Natalie Portman, Rachel Weisz, Jude Law e David Strathairn, il ruolo di protagonista vede esordire la cantante Norah Jones. In fondo Un bacio appassionato è un film di forze divergenti, così aderente all’iconografia americana da sembrare poco personale, ma invece capace di veicolare sottotraccia le ossessioni tipiche del Wong Kar-Wai migliore, quello che più di dieci anni fa ci stupiva con lo splendido e malinconico dittico formato da Hong Kong Express e Angeli perduti.

La solitudine in primo luogo, che non è però un sentimento estroflesso, ma una sorta di sentire comune che immalinconisce naturalmente ogni personaggio, rende ognuno di loro una icona danzante e quasi fantasmatica in una città-proscenio che diventa allo stresso tempo testimone e prolungamento del malessere: uno spazio alieno, ripreso non casualmente con una fotografia psichedelica (frutto del grande Darius Khondji, che sostituisce egregiamente Christopher Doyle), in realtà abilmente rielaborato dallo stesso Wong: parte del girato metropolitano è infatti quello hongkonghese, mescolato con sagacia agli scenari di New York senza soluzione di continuità, a formare un tutto amalgamato come i sapori evocati dalle inquadrature ravvicinate iniziali del rosso sciroppo di mirtilli che invade il bianco del gelato. Ed è una solitudine che, appunto, preclude a un lavoro sull’aspetto visivo del film: ogni personaggio è quasi sempre “rinchiuso” in una singola inquadratura, e tutti i duetti sono come “divisi” e mantenuti “a distanza” da questo espediente registico.

La misura di questa vicinanza/lontananza è data ancora una volta dagli oggetti: la torta di Jeremy, le chiavi di Lizzie, il gettone di Arnie, l’auto di Leslie sono anch’essi personaggi della storia, sono il territorio che misura il progressivo sfiorarsi di queste anime sole in cerca del proprio posto nel mondo. Oggetti accarezzati dalla macchina da presa, indagati, iconicizzati e elevati dal semplice status di “cose” a quello di “elementi”, cascami di una realtà sovrastrutturata dove si gioca in ogni caso l’eterna partita dei sentimenti. E se nei suoi precedenti lavori Wong Kar-Wai lasciava il racconto slabbrato, preferiva imbastire delle situazioni senza cercare una struttura narrativa in grado di garantire la quadratura del cerchio, stavolta i meccanismi del cinema occidentale lo spingono a osare una narrazione più compatta, ma senza snaturamenti, in un divertente gioco di mimesi che lo porta di volta in volta a contraddire o ossequiare le aspettative dello spettatore occidentale.

E poi la musica: altra protagonista assoluta, in un magnifico score che assembla brani del passato e del presente in grado di assecondare il ritmo del film. Un ritmo dolente, ma anche ironico, gustoso, ancora una volta come le componenti del dolce mangiate da Lizzie, quello rifiutato dagli altri clienti ma che si rivela inaspettatamente particolare e piacevole al palato. Probabilmente Wong Kar-Wai è, insieme, a Quentin Tarantino, il regista più capace di utilizzare una colonna sonora non originale in senso espressivo e pertinente alle immagini narrate. Anche le canzoni, come lo scenario, diventano quindi un prolungamento dei personaggi, ne definiscono le azioni e l’umore, colorando il film in un amalgama perfettamente compatto.

Alla luce di tutto questo potremmo azzardare che Wong Kar-Wai costituisca il vero trait-d’union fra Godard e Tarantino, fra la sperimentazione narrativa cara al regista francese e la passione dal vago sapore metacritico sulle opere (musicali) del passato tipica del collega americano, che recupera e ricontestualizza le melodie e gli elementi del cinema amato, secondo il puro gusto della passione. La ricerca e la passione, insomma, per unire il cervello e il cuore.

E perciò ogni film è sempre destinato a lasciarci nel cuore almeno una canzone: era “Wang Ji Ta/Forget Him” di Shirley Kwan in Angeli perduti, era “Happy Together” di Danny Chung nel film omonimo, stavolta è “The Greatest” di Cat Power, che chiude la storia sul bacio che finalmente vede uniti Jeremy e Lizzie. Il momento più dolce di un film tutto da gustare.

Un bacio romantico
(My Blueberry Nights)

Regia: Wong Kar-Wai
Sceneggiatura:
Origine: Francia/Hong Kong, 2007
Durata: 111’

Intervista a Wong Kar-Wai
Sito ufficiale italiano
Sito ufficiale francese

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