La provincia americana è da sempre un ricettacolo formidabile per storie in grado di scavare nelle contraddizioni dell’animo umano e per affrontare argomenti che, partendo da situazioni particolari, siano in grado di elevarsi a un livello universale. The Replacement Child, girato in Massachussets dal ventisettenne Justin Lerner come saggio di fine corso dopo un master in regia alla UCLA, è proprio questo: un cortometraggio che, nella semplicità dell’assunto, dimostra una gamma notevole di sfumature in grado di parlare al cuore dello spettatore e di far riflettere sulla sottile linea che divide il pregiudizio dalla colpa. A un livello primario, infatti, siamo di fronte a un duro atto d’accusa contro il fanatismo religioso che porta a uno scollamento dalla realtà, tale da calpestare la dignità stessa delle persone: uno spunto già di per sé interessante nella nostra contraddittoria epoca dove spesso i fondamentalismi poggiano su interpretazioni sbagliate della fede.
Ma, inquadrando la storia da una differente prospettiva, è agevole rendersi conto di come Lerner imbastisca un più generale discorso sui limiti del pregiudizio e sulle ipocrisie dell’animo umano: il ritorno a casa di Todd, con la sua conseguente voglia di reinserirsi nella società, sottopone infatti il ragazzo a una serie di ingiustizie figlie del pregiudizio nei suoi confronti (dopo gli errori commessi), che lo costringono a comportarsi come ci si aspetterebbe da lui. L’adesione di Todd ai dettami religiosi cari alla comunità, insomma, seppur cercata convintamente dal ragazzo (come dimostra l'inquadratura iniziale che lo vede osservare una croce che svetta nel cielo, per lui irraggiungibile e lontana), diventa soprattutto una necessaria aderenza all’ipocrisia e alla menzogna che regnano nel luogo, piuttosto che a una forma educativa in grado di elevarlo spiritualmente. La regia di Lerner in questo senso è brava a giostrare il delicato equilibrio di sentimenti che la vicenda pone in essere, e adotta uno sguardo capace di ritrarre in senso espressivo gli spazi dell’azione, con interni claustrofobici dove i personaggi sembrano immobili, letteralmente “ritagliati” nelle porte o negli angoli delle stanze. A questi si accompagnano esterni spogli, con relitti di auto abbandonate e un senso di desolazione che pare suggerire più l’idea di singoli insediamenti umani che di una vera e propria cittadina: non vediamo che singole case, nessuna chiesa (nonostante il sottotesto religioso) o ufficio, ma ci sono i rappresentanti del potere (un consulente spirituale per i Murphy e il patrigno di Todd, poliziotto e violento), come a suggerire la presenza unicamente di uomini simbolo, che riflettono un’interpretazione superficiale e iconica della fede (non a caso ad abbondare sono invece le immagini sacre, i libri e le croci).
In questo contesto Todd è l’alieno, ha trasgredito e questa natura di outsider lo pone in discontinuità con il resto degli abitanti conferendogli però la possibilità di vedere davvero ciò che sta accadendo. Di più: gli permette di comprendere appieno i dettami di una fede superiore che si estrinseca nella sua nobiltà d’animo e nel suo essere radicato ai valori tradizionali dell’America, intesi in un’accezione del tutto positiva: la sua passione per il blues e per il canto (che svettano in uno dei momenti più intensi), il senso dell’amicizia e degli affetti. Non pare casuale, a questo proposito, la scelta di una fotografia dai colori caldi, che riverberano il valore fisico della terra, della materialità e della concretezza, di un certo sapore pragmatico che si oppone a uno spiritualismo astratto e avulso dalla verità dell’uomo di carne. E anche una certa solennità narrativa che si estrinseca in inquadrature molto ragionate, con movimenti della macchina da presa mai eccessivi, utilizzati anzi per conferire alle figure una statura epica, chiaro retaggio del genere western (evidente anche nei close-up sugli occhi dei personaggi e nell’attenzione generale ai dettagli). Oltre a una accurata scelta di casting, che trova la sua più felice scelta nel protagonista Travis Quentin Young, volto espressivo e in grado di esprimere al contempo durezza e malinconia: una perfetta “faccia da cinema” che sembra un tardo erede dei Ragazzi della 56a strada di Francis Ford Coppola.
Ma in tutto questo Lerner inserisce anche dei tocchi ironici, perché il paradosso e il senso dell’assurdo possono essere molto più incisivi rispetto a una critica a muso duro del fanatismo: ecco dunque che Todd si ritrova a lavorare in una gelateria, costretto nel ruolo di subalterno rispetto a un ragazzo affetto da sindrome di down, che peraltro lo tratta con la stessa superbia tipica dei datori di lavoro, intimandogli di sorridere forzatamente ai clienti: una situazione dall’effetto divertente ma spiazzante, che riassume efficacemente il senso di impotenza di fronte a una società che agisce secondo comportamenti predefiniti e ha già deciso le sue gerarchie, chi è ammesso fra i “buoni” e chi fra i “cattivi”.
La scelta di Todd assume dunque il valore di una tappa formativa, di un percorso morale tipico dell’adolescente che deve imparare da sé a comprendere le regole della convivenza sociale e del rispetto umano: infatti, al di là di qualsiasi credo religioso, il finale dimostra chiaramente come il padre di Michael sia ben cosciente che il non aiutare il figlio malato sia qualcosa che potrebbe procurargli dei guai con la polizia. E perciò la soluzione è tenere tutto nascosto, in case-fortino dove la presenza di estranei non è ammessa quando gli stessi genitori non sono presenti e dove Todd deve agire di nascosto per cercare di far trionfare la verità. Quella verità, che una volta ristabilita, vede Todd sdraiarsi sul terreno, immerso nella sua musica, quasi a suggerire il suo ritorno a quella dimensione concreta e materica negata dai fatti precedenti. Fra la croce che svettava nel cielo all'inizio e la terra, insomma, il ragazzo fa la sua precisa scelta.
Il risultato sono 25 minuti che ossequiano la tradizione del miglior cinema americano classico, potente eppure immediato, in un risultato globale che si è attirato, fra gli altri, i complimenti di un esperto scrutatore delle “zone oscure” dell’animo umano come Bret Easton Ellis. Purtroppo inedito in Italia, il corto è stato comunque proiettato al Torino Film Festival 2007 nella sezione “La Zona” e sta riscuotendo molto interesse nei festival internazionali.
Regia e sceneggiatura: Justin Lerner
Origine: Usa, 2007
Durata: 25’
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