"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

sabato 10 luglio 2010

Toy Story 3: La grande fuga

Toy Story 3: La grande fuga

Andy è ormai cresciuto e si appresta a trasferirsi al college. Per Woody, Buzz e gli altri giocattoli è quindi arrivato il momento di fare i conti con il futuro, con la possibilità cioè che Andy li dia in beneficenza oppure li consegni al comodo silenzio della soffitta di casa. In effetti il volere del ragazzo sarebbe proprio questo, ma un equivoco fa sì che la madre porti l’intero carico all’asilo di Sunny Side. Inizialmente il posto sembra un piccolo paradiso, ma ben presto Buzz e compagni scopriranno i metodi spietati con cui l’orsacchiotto Lotso domina i giocattoli. Woody è l’unica speranza per salvare il gruppo!

 
Ricorre una inevitabile idea di circolarità nell’undicesimo capolavoro Pixar, che marca nel modo migliore i 15 anni di attività di questo strepitoso marchio: è un’idea insita tanto nel ritorno a quella mitologia pop su cui era iniziata l’avventura, quanto nell’approccio che tenta di ripercorrere i temi topici della saga pur portando la stessa verso nuove derive. D’altronde già l’incredibile cortometraggio che introduce alla proiezione è programmatico di come si lavora in casa Pixar: l’innovazione sperimentale delle invenzioni di Chuck Jones (fra le ispirazioni il leggendario corto Duck Amuck del 1953) e l’essenzialità propria dell’immortale Linea di Osvaldo Cavandoli si ritrovano mescolate in un lavoro capace di esaltare e dare senso alla tridimensionalità offerta dalla visione stereoscopica. La sovrapposizione/fusione dei due piani narrativi (primo piano e sfondo) crea infatti la sinergia utile a dare carattere alle due figure protagoniste, che “vivono” attraverso le scene ritratte negli spazi delimitati dai loro corpi, ma vengono a loro volta esaltate e “guidate” dagli stessi. Come dire, la possibilità di unire passato e presente in una forma perfettamente adeguata all’oggi e totalmente autosufficiente rispetto ai modelli che pure evoca: Quando il giorno incontra la notte, per l’appunto (rigorosamente da appuntare il nome del regista: Teddy Newton).
 
D’altronde anche i giocattoli di Toy Story vivono su questo doppio registro di creature “senzienti” che però trovano la loro ragione d’essere soprattutto nella sinergia con un umano che crei per loro avventure spericolate, immaginando ruoli e commistioni di generi sui quali l’intero film si fonda. E questo vale tanto per l’avventura principale (quella che vede Woody e compagni intenti a salvarsi dalle grinfie dell’orso Lotso) quanto per la divertentissima parentesi introduttiva in cui ciascuno di essi recita il proprio ruolo all’interno di quello che si rivela null’altro che la trasfigurazione dell’universo fantastico di Andy.
 
Ecco dunque che, nel settare questo scenario, Toy Story 3 si preoccupa poi di superarlo. Non si tratta più soltanto di trovare il punto di equilibrio fra il passatismo del cowboy di pezza e la modernità incarnata dal bambolotto meccanico dell’astronauta, quanto di lottare contro un tempo che ridefinisce i ruoli e costringe a un abbandono che è evoluzione. La separazione da Andy, l’idea di essere rimpiazzati o abbandonati (già presente nei primi due capitoli) è qui rielaborata come momento di riflessione attraverso il quale i nostri giocattoli devono ritrovare se stessi. Qui il film pone in essere una interessante dicotomia fra la regressione quasi uterina nell’alveo rassicurante della soffitta e una ricollocazione in uno spazio che presuppone nuovi padroni, diversi da quello “storico” che ha tracciato il suo nome su ogni giocattolo. Coerentemente Woody finisce ancora una volta per incarnare lo stoicismo di chi crede in un non-tempo dove il legame giocattolo/padrone non sarà mai interrotto e si scontra con una realtà decisamente più dura.
 
Il punto di vista di Woody, infatti, non è corretto poiché, pur rimarcando un progetto palingenetico che trova la sua ragione d’essere in un rapporto non episodico con i bambini (terribili) dell’asilo, non tiene conto dell’inevitabile necessità di doversi ricollocare in un nuovo luogo e in un nuovo tempo. L’avventura diventa quindi un percorso iniziatico che, seppur scritto sulla pelle di tutti i giocattoli, coinvolge in prima persona proprio Woody, non a caso “scentrato” rispetto al gruppo, “salvato” sia dalla soffitta che dall’asilo e subito accolto da una nuova padroncina. Woody è l’unico del gruppo a non accettare fin dall’inizio l’idea di doversi separare da Andy e perciò deve trovare ancora una volta il punto di equilibrio fra due esigenze opposte, esattamente come accadeva 15 anni prima nel Toy Story originale.
 
La maturità insita nel progetto riflette una ideale morte e rinascita di ogni giocattolo che deve passare per un’autentica distruzione/rifondazione di sé prima di poter ottenere l’agognata ricollocazione: qui il film gioca le sue carte più stupefacenti, attraverso toni cupissimi e derive quasi horror che lasciano capire come il progetto sia pensato non soltanto per quel pubblico di giovanissimi che ha imparato a conoscere i personaggi in questi anni, ma anche e soprattutto per chi è cresciuto insieme a loro e ora è più conscio delle amarezze della vita e della necessità di superarle preservando gli affetti. Si raggiunge così una incredibile ricchezza dell’insieme, che rende questo film un’autentica sorpresa ad ogni snodo narrativo!
 
Il percorso dei giocattoli diventa quindi un tentativo di reimparare a vedere il mondo sotto una prospettiva diversa, inquadrata anche mediate un umorismo “scorretto” (qualcuno non a caso ha chiamato in causa l’irriverente Joe Dante di Small Soldiers) che rovescia l’iconografia amena dell’asilo in una sorta di prigione e i più teneri orsetti e bambolotti in aguzzini spietati figli però di traumi radicati nel tempo.
Capolavoro assoluto e, insieme ad Avatar, il film dell’anno!

 
Toy Story 3 – La grande fuga
(Toy Story 3)
Regia: Lee Unkrich
Sceneggiatura: Michael Arndt (soggetto di John Lasseter, Andrew Stanton e Lee Unkrich)
Origine: Usa, 2010
Durata: 102’

Cortometraggio allegato:
Quando il giorno incontra la notte
(Night & Day)
Regia e sceneggiatura: Teddy Newton
Origine: Usa, 2010
Durata: 6’


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1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo su tutto davvero!! Straordinarie le citazioni cinefile, emozionantissimo il percorso di crescita sia del bambino che dei giocattoli, e bellissimo il cortometraggio iniziale!

Ale55andra