"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 15 luglio 2010

Poliziotti fuori: Due sbirri a piede libero

Poliziotti fuori: Due sbirri a piede libero

Il detective Jimmy Monroe non se la passa bene: sospeso dal servizio insieme al collega e amico Paul Hodges per aver fatto scappare uno spacciatore, deve trovare i soldi per pagare il matrimonio dell’amatissima figlia Ava. Non si tratta soltanto di non deludere lei, ma anche di evitare che la festa sia pagata dall’odioso Roy, il nuovo marito della sua ex moglie! Così Jimmy decide di vendere la sua rarissima figurina di Andy Pafko del 1952 per racimolare il denaro necessario, ma questa gli viene sfortunatamente rubata. Il ritrovamento della preziosa figurina porta i due sbirri a intrecciare le loro strade con quella del pericoloso criminale Poh Boy e dello sfacciato rapinatore Dave. Inoltre, come se non bastasse, Paul è anche ossessionato dall’idea che sua moglie lo tradisca…

Rivelatosi all’inizio degli anni Novanta, Kevin Smith è ancora oggi una figura anomala nel panorama cinematografico, poiché capace di fare propria quella cifra indipendente che esula dal contesto economico/produttivo nel quale i suoi lavori germinano. Al punto che anche il suo tanto chiacchierato esordio nel cinema mainstream appare invece coerente con le istanze tematiche e stilistiche che hanno sempre contraddistinto le sue pellicole. Smith è infatti un autentico prodotto di una temperie di influenze difformi che nella cinefilia trova una valvola di sfogo non esaustiva della complessità della sua arte. In questo senso il parallelo che viene spesso mosso è con Quentin Tarantino, principalmente a base dell’autentica natura cinefaga di una concezione del film come ricettacolo di elementi della cultura popolare assimilati, reinventati ed esibiti con piglio metanarrativo: il film, insomma, esiste come riflesso delle citazioni che lo producono e che innesca per questo un meccanismo di riconoscibilità con il suo pubblico.
 
Nel caso di Smith questa dinamica è portata però alle estreme conseguenze e rifugge la matrice comunque classica di Tarantino che, pur nella sua forte cifra cinefila, guarda a un impianto strutturale più tradizionale (non scevro da influenze letterarie, si veda la divisione in “capitoli” delle sue opere più recenti): al contrario il regista di Clerks mette lo spettatore di fronte alla complessità di un intreccio che esiste unicamente in quanto riflesso di un linguaggio transmediale, che assimila e tritura cinema, fumetto, musica e cartoon. Diversamente da Tarantino, che è dunque capace di affrancarsi dai modelli dai quali pure attinge, e di essere goduto in maniera anche assolutamente “superficiale”, non si può assistere a un film di Kevin Smith senza conoscere e condividere quel sistema di riferimenti di volta in volta messo in piedi.
 
Ecco dunque che Poliziotti fuori, prima ancora di essere una divertente commedia basata sul classico meccanismo del buddy-buddy movie, è soprattutto una riflessione intelligente sui mutamenti interni al genere del poliziesco, secondo quella direttiva che, partendo da 48 ore di Walter Hill, passando poi per i vari Arma letale di Richard Donner e il Beverly Hills Cop con/di Eddie Murphy, ha portato il genere ad assimilare le dinamiche narrative della commedia e anche della soap opera (e, in misura più ampia, del racconto seriale).
 
Si tratta dunque di riconsiderare, recuperare e ricontestualizzare quel tipo di storie che unisce al gusto della detection una attenzione non comune alle dinamiche interpersonali, secondo una formula capace di rendere i legami vicini al modello familiare, quasi come sorta di ironico contrappasso al machismo di un genere che, prima degli Ottanta, aveva puntato tutto su una iconografia stolida e basata su una divisione estremamente netta dei personaggi (il duro, la bella, il gangster).
 
Per questo i protagonisti di Poliziotti fuori sono innanzitutto dei corpi filmici, in grado di riverberare un passato che è cinematografico e che è addentro al genere: l’esempio diventa scoperto considerando la figura iconica del grande Bruce Willis (eroe dei vari Die-Hard), meno nella figura di Tracy Morgan, attore del Saturday Night Live, che riverbera l’importanza della matrice cabarettistica degli ormai proverbiali battibecchi della “strana coppia” di turno. Un eroe e un comico dunque, come anche un bianco e un nero, lungo una storia che porterà i due a divertire il pubblico con progressivi sovvertimenti dei ruoli predefiniti: il bambino-ladro, Dave il ladro/parkour che attira le simpatie del pubblico (lo Sean William Scott di American Pie), fino al criminale di turno che appare come il vero padrone della città, e conduce i suoi affari in una chiesa cattolica, ben lontana dall’iconografia black denunciata dal suo aspetto fisico.
 
Il gioco è dunque più mimetico del solito, e investe la narrazione su un piano secondario, dove ogni personaggio esiste in quanto sintesi e sovrapposizione di elementi tra loro differenti: non a caso accade spesso che i ruoli vengano a identificarsi e in questo senso la figura più “teorica” è proprio quella di Dave, che riesce a “impadronirsi” dei dialoghi dell’interlocutore con la stessa naturalezza con cui scivola fra gli elementi architettonici della case in cui ruba - la spassosissima scena in cui lo vediamo entrare in una casa per fare i suoi bisogni sembra quasi una irriverente risposta al Ferro 3 di Kim Ki-duk!
 
Pur nella sua progressione scanzonata, insomma, Poliziotti fuori denuncia quindi la problematicità di un sottogenere riflesso di una realtà complessa, dove d’altra parte matrice di tutto è la salvaguardia dell’affettività padre-figlia e marito-moglie: come dire che in fondo, anche se parliamo di cinema, l’obiettivo comunque è sempre la vita.

Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero
(Cop Out)
Regia: Kevin Smith
Sceneggiatura: Robb & Mark Cullen
Origine: Usa, 2010
Durata: 105’

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