L’umanità è ormai in minoranza rispetto ai morti viventi che hanno letteralmente conquistato il pianeta. Alcuni superstiti, militari e scienziati, sopravvivono in Florida, in un rifugio sotterraneo presso una miniera, ma i rapporti tra loro sono molto tesi. La scienziata Sarah tenta una mediazione fra le ambizioni del dottor Logan, che sta tentando di portare avanti un programma di “rieducazione” dei morti per inibire in loro l’istinto cannibalico, e i militari comandati dal folle Capitano Rhodes, ossessionato dal comando e dalla voglia di risolvere i suoi problemi con la forza. Le cose sembrano arrivare a una svolta quando Logan riesce a rieducare uno zombie, cui dà il nome di “Bub”, ma la calma sarà di breve durata.
Nonostante l’iconografia del film trovi nello stesso 1985 un corrispettivo nelle resurrezioni “scientifiche” di Re-animator, il terzo capitolo della “Dead Saga” romeriana è in assoluto quello che meno paga pegno a un immaginario di genere e riesce per questo ad astrarre il filone rispetto alle derive di quel cinema pop cui pure narrativamente si rifà (si vedano i rimandi a Frankenstein nel rapporto fra Logan e Bub). La differenza la marca un tono serio e non ammiccante, attraverso il quale Romero rivendica una autonomia autoriale che, di fatto, rende Il giorno degli zombi un magnifico dramma incentrato sulla forza dei dialoghi, delle relazioni interpersonali e dei sentimenti che i protagonisti mettono in campo, ed eleva il risultato finale al di sopra delle facili coordinate spettacolari richieste dal target (che, non a caso, produrrà una tiepida risposta, non paragonabile a quella dei primi due capitoli).
Il montaggio si fa quindi meno serrato e l’estetica appare non più collegata alla visualità dei fumetti, ma ha una caratura cinematografica più classica, con movimenti di macchina più morbidi e una fisicità che rende le figure meno bidimensionali, mentre gli inserti onirici rimandano alle sperimentazioni di Martin. Siamo quindi al di là del facile splatter anni Ottanta: il film, come pochi esempi coevi (pensiamo al magnifico La cosa di John Carpenter) si immerge in una cupa rabbia che però non diviene facilmente distruttiva, ma sicuramente rende Il giorno degli zombi meno ironico di quanto non fosse il predecessore, e recupera una cifra più vicina a quella del primo capitolo.
L’uso “estensivo” del sangue, concentrato soprattutto nell’ultima parte nonostante il costante aleggiare del tema della carne martoriata e della devastazione fisica, diventa quindi non già un pretesto per lasciare mano libera ai pur straordinari effetti creati da Tom Savini, quanto un consapevole strumento di riflessione sullo stato delle cose che si ponga, filosoficamente, più vicino a Taxi Driver che a Venerdì 13. La natura scorsesiana del film, in cui il sangue assume la caratura di indice di dolore che il regista versa per le colpe dell’umanità, è richiamata anche dai continui rimandi alla religione cattolica, con i protagonisti che spesso si segnano e un personaggio, quello di Miguel, dall’evidente caratura cristologica, il cui sacrificio produce tanto la “resurrezione” finale dei protagonisti (che finalmente abbandonano il sottosuolo e passano dallo stato di “sepolti vivi” a quello di esseri umani raggiungendo l’esterno), quanto la punizione biblica dei malvagi.
In mezzo c’è tutto un universo tematico che sovrasta facilmente la dicotomia troppo facilmente evidenziata tra militari e scienziati. Non che il ritratto degli uomini in divisa non sia effettivamente spietato, ma la reale prospettiva offerta dal film è un’altra. Dopo quanto accennato in Zombi, infatti, Romero abbraccia finalmente (e per l’unica volta nella saga) una prospettiva totalmente femminile, facendo di Sarah il tramite verso il pubblico, che inquadra la vicenda attraverso i suoi sogni, le sue visioni e le sue frustrazioni. La donna è l’unica a mostrare apparentemente lucidità, è dichiaratamente “più forte” del resto degli uomini e del compagno Miguel, ma in realtà commette l’errore di non orientare la sua ricerca di concordia verso un obiettivo a lunga distanza. Sarah, in questo, è potenzialmente un personaggio fragile e l’avventura le offrirà l’occasione per confrontarsi con prospettive differenti dalla sua prendendo atto di cosa realmente deve essere fatto.
A fronte della sua ostinata ricerca di una ragione che spieghi il contagio, Sarah si trova infatti di fronte innanzitutto alla foga distruttiva incarnata dal Capitano Rhodes, che in più di una occasione arriva a minacciare (verbalmente o con gesti violenti) la sua integrità fisica; accanto ai militari va poi inquadrata la lucida follia di Logan, che apparentemente sembra fornire le risposte ideali alla risoluzione del problema, attraverso l’escamotage della rieducazione. Logan è anzi l’unica persona che riesce a tenere testa alla prepotenza di Rhodes e che illustra a Sarah la necessità di non interrogarsi sulle cause, ma sulle dinamiche comportamentali degli zombi da “correggere”.
L’intento lodevole di Logan si scontrerà però con l’evidenza di un carattere folle che vede nei morti esclusivamente delle cavie (gli esemplari, gli “specimen”) con cui instaurare un rapporto di potere simile alle dinamiche padrone/animale domestico, esattamente parallelo e altrettanto disumano di quello sognato da Rhodes. La ricompensa come risarcimento agli zombi per non aver ceduto agli istinti cannibalici diventa così una feroce satira delle dinamiche economiche basate sull’indirizzo del consumatore che reggono l’America degli anni Ottanta (e non solo…) e testimonia anche la complessità politica del film.
La terza via è quella invece fornita dal pilota di elicotteri John e dal suo socio Billy, gli unici consapevoli dell’assurdità della situazione, causata dall’umana follia e che intendono per questo fuggire altrove per ricominciare daccapo, su un’isola (quasi un link al futuro Survival of the Dead). Diverte in questo caso pensare che il loro obiettivo altro non sia che quello già perseguito da Stephen e Fran in Zombi (che intendevano fuggire in Canada) e poi abbandonato in favore della decisione di seppellirsi vivi nel falso eden dell’ipermercato. La necessità di ricominciare daccapo per stabilire un nuovo equilibrio in luogo di quello ormai corrottosi con la realtà tracimata nella piaga biblica dei morti viventi diventa perciò l’approdo filosofico di un film che si pone realmente come terminale di un ciclo (nella sceneggiatura originale, il finale mostrava i primi segnali della fine del contagio con un uomo che non si rianimava dopo il trapasso). E questo percorso viene compiuto su Sarah, che in una delle scene più belle del film vediamo scoppiare in lacrime cercando il conforto di un abbraccio, quasi che finalmente abbia compreso la necessità di stabilire un legame affettivo reale e non ideale con i compagni che dividono la sua disavventura. Il rapporto con Miguel, assestato su dinamiche non eccessivamente dissimili da quelle che Logan ha instaurato con Bub, vedrà dunque il suo epilogo, sostituito da un nuovo edenico inizio che nella composizione del gruppo ricorda, non casualmente, quella della micro-comunità di Zombi (una donna, un bianco, un nero) ma senza le false illusioni della prigione dorata.
In tutto questo Romero non dimentica di continuare a esplorare la fenomenologia del morto vivente, attraverso la figura dello zombie “rieducato” Bub, che riesce a manifestare anch’egli una rinnovata consapevolezza, superando l’istintività dei ricordi inconsci e gettando il seme destinato a germogliare nel successivo La terra dei morti viventi.
Il giorno degli zombi
(Day of the Dead)
Regia e sceneggiatura: George A. Romero
Origine: Usa, 1985
Durata: 101’
Il giorno degli zombi su Wikipedia
Intervista al musicista John Harrison (in inglese)
Intervista all’FX maker Howard Berger sulla sua carriera
La sceneggiatura del progetto originale (in inglese)
Tema musicale di Il giorno degli zombi
Trailer di Il giorno degli zombi
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