"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 20 gennaio 2009

Martin

Martin

Il giovane Martin si crede un vampiro e assale donne sole per poi anestetizzarle e succhiare loro il sangue. Ora si è trasferito a Pittsburgh, in casa del cugino Cuda che, fervente religioso, ne teme la natura demoniaca. A controbilanciare l’atmosfera opprimente è la nipote di Cuda, Christina, che invece non crede alla superstizione e ritiene Martin soltanto una persona malata. Nella nuova città, il ragazzo vive un’esistenza travagliata, diviso fra gli appetiti di sangue, le visioni di un lontano passato, le disavventure per procurarsi il cibo e la storia d’amore con una donna più grande, che forse potrà cambiare il suo destino.

La filmografia di George Romero è spesso associata unicamente al prospero filone dei morti viventi e ha impedito ad oggi una riflessione serena e consapevole dei suoi film slegati da quel concept e che offrono invece molteplici spunti di analisi, attraverso storie originali dove emerge la grande sensibilità dell’autore. E’ abbastanza noto il fatto che Martin sia la pellicola che il regista americano predilige maggiormente fra quelle da lui realizzate e ora che è finalmente disponibile sul mercato DVD la versione originale (ben diversa da quella italiana circolata per anni e pesantemente tagliata e rimontata) è possibile capire i motivi di questa affezione. Chiaramente Romero è un autore per il quale la definizione di cineasta di genere risulta quantomai limitativa, non perché non siano presenti nel suo cinema elementi più squisitamente pop, quanto per il modo con cui le dinamiche si articolano all’interno di un sistema di riferimenti che si riferisce soprattutto alla realtà e ai sentimenti umani.

Martin in questo senso è addirittura paradigmatico di una concezione artistica che nell’eviscerazione e nella dissacrazione dei temi fondanti la mitologia classica del vampiro, trova la chiave di volta per un’analisi appassionata per una decadenza metropolitana sintetizzata dal familiare paesaggio di Pittsburgh (città dove il regista vive da anni e dove ha realizzato quasi tutte le sue pellicole). Lo scenario è infatti protagonista della vicenda al pari dello stesso Martin, le cui imprese sono valorizzate pienamente proprio dallo svolgersi all’interno di una realtà rappresentata dagli sfondi post-industriali di Pittsburgh, ritratti con stile documentaristico e un uso della macchina a mano evidente sebbene non plateale, che si contrappone alla regia da comic-book delle parti più strettamente narrative: Romero infatti adotta inquadrature fisse per poi trasmettere il senso del ritmo attraverso un elaborato lavoro di montaggio, che rende la vicenda molto incalzante. Più correttamente, il montaggio lavora soprattutto sui piani, laddove è nei campi che si evidenzia il movimento incerto e urgente della macchina a mano, che cerca di “catturare” la veridicità dei luoghi e delle emozioni che gli stessi trasmettono.

In fondo il film è completamente articolato lungo la dicotomia che contrappone superstizione e verità (e dunque linguaggi di genere e parti documentaristiche), che Romero mira a confondere anche attraverso gli inserti in bianconero nei quali Martin immagina una vita da vampiro (o forse ricorda una sua vita precedente) e che costituiscono il più evidente omaggio alla tradizione dell’icona. Il tono, sebbene a tratti divertito (ad esempio quando vediamo il giovane spaventare Cuda con un trucco da carnevale), è quasi sempre serio e partecipe dell’alienazione di un giovane chiaramente a disagio rispetto alla propria realtà e alla componente sessuale, vissuta con evidente repressione e goffaggine.

Il film, dunque, non diviene tanto una radicale presa di distanza dalla figura classica del vampiro, ormai caduta in disuso (sono in fondo gli anni in cui le gothic-stories della Hammer Films subiscono un vertiginoso declino), ma piuttosto una analisi dei temi sottesi l’iconografia di genere e ascrivibili alla sfera intima e personale dei protagonisti umani. La storia in fondo è leggibile perfettamente anche come una analisi dei meccanismi interni a una realtà familiare, e completa un discorso iniziato dallo stesso Romero con l’inedito (in Italia) There’s Always Vanilla e poi proseguito con maggiore cognizione ne La stagione della strega, arricchendolo di poesia.

In tutto questo il regista trova una forte complicità con l’attore John Amplas, straordinario interprete di un Martin che riesce a passare da momenti di estrema confusione a una lucida malinconia in grado di esaltare la pietà tipica del cinema romeriano, trasmettendo allo spettatore un senso del vuoto interiore davvero emozionante. La sua sete di sangue in questo modo non appare mai furente, ma sempre caricata di un dolore che il regista trasmette allo spettatore con grande delicatezza. La decisione di optare per una progressione antinarrativa, che preferisce singoli episodi a una storia classicamente strutturata, finisce naturalmente per esaltare la recitazione del protagonista e la sua fisicità sbilenca, tipica di un’anima smarrita. Il che, naturalmente, permette anche al film di sperimentare soluzioni visive che a momenti di calma alternano esplosioni di violenza anche grafica, con effetti speciali più cartooneschi, complice il cremoso e innaturale sangue utilizzato da Tom Savini per gli effetti.

Tutto da riscoprire nella versione originale è invece il bellissimo tema musicale di Donald Rubinstein (fratello del produttore Richard), con le sue sonorità delicate che accompagnano in modo non invasivo le imprese di Martin, sottolineando la componente emotiva e malinconica del film.

Sottotraccia, infine, viene esplorato anche il rapporto fra la realtà e i media: Martin infatti confessa i suoi disagi e i suoi appetiti di sangue a una trasmissione radiofonica, diventando icona pop (con lo pseudonimo de “il conte”), ed evidenziando la natura fenomenologia dei mass-media, interessati più al racconto della diversità, alla sua diffusione in senso commerciale, che alla reale comprensione dei problemi. Tema, quest’ultimo, che costituirà l’incipit del film successivo del regista, l’indimenticabile Zombi.

Martin
(id.)
[versione italiana rimontata: Wampyr]
Regia e sceneggiatura: George A. Romero
Origine: Usa, 1977

Intervista del 2001 a George Romero
Biografia di George Romero

Nessun commento: