Il sergente di polizia Terence McDonagh salva un detenuto dall’inondazione provocata dall’uragano Katrina e per questo viene promosso a tenente, ma ricava anche un brutto mal di schiena che lo rende dipendente dai farmaci e dalle droghe. La sua disordinata vita privata subisce quindi una accelerazione verso il degrado: il rapporto con la fidanzata prostituta Frankie è solido ma attraversato da problemi, i debiti di gioco fanno sentire il loro peso e la possibilità di trattenere la droga sequestrata ai piccoli spacciatori è sempre meno possibile. Il lavoro in compenso vede Terence impegnato nel difficile caso di alcuni immigrati africani che sono stati sterminati da una mano ignota. Gli indizi convergono verso il gangster Big Fate, ma le prove sono poche e l’unico testimone decide di fuggire in Inghilterra. Ma, nonostante tutto faccia pensare a una caduta nell’abisso, gli eventi prenderanno una piega inaspettata.
Quello compiuto da Werner Herzog è un autentico miracolo: sulla carta non poteva infatti esserci idea più nefasta che realizzare un remake de Il cattivo tenente di Abel Ferrara, opera cupissima e seminale nella definizione della poetica d’autore di uno dei più originali campioni del degrado umano e metropolitano dell’era moderna. Al corpo roccioso ma fragile di Harvey Keitel sembrava altrimenti assurdo sostituire la legnosità di Nicolas Cage, ma Herzog tira le fila con una incredibile capacità di aggiornare il prototipo riflettendo a un tempo sulle sue caratteristiche di base, che vengono praticamente ribaltate di segno. Quello che ne viene fuori è un film vitalissimo, leggero, ironico, in continuo scivolamento fra emozioni tra loro differenti, e che in più punti sembra quasi compiere un’operazione di demolizione della pratica del remake, in modo opposto ma complementare a quella compiuta da Gus Van Sant con Psycho.
Nonostante il grandissimo regista tedesco abbia infatti affermato di non avere mai visto l’opera originale, tali e tanti sono gli echi di quel capolavoro da suscitare più di un dubbio: l’immagine paradigmatica in questo senso è sicuramente il riflettersi di un’immagine sacra (la statua di Giovanni Paolo II) in uno specchio. Immagine fuggevole, di una scena che pure si innesca su un mancato rapporto sessuale (il “peccato” in corrispondenza del sacro è un’altra forte evocazione di Ferrara). E ancora: l’estorsione di un favore sessuale da una donna fermata avvalendosi del proprio potere di poliziotto, il voodoo come risposta all’iconografia cattolica, gli esterni solari di New Orleans come contraltare alla cupezza di una New York altrettanto degradata.
Accanto a questi elementi di analisi del testo originario spicca però una vena jazz che risponde al noir di Ferrara e che apre la porta a possibili deviazioni nel fantastico: il contesto del Sud Americano non diventa quindi soltanto uno sfondo la cui potenza iconica risponda allo scenario altrettanto forte dell’originale, ma assume la caratura di autentica linea guida del progetto. Quello cui assistiamo è perciò un film che respira della mutevolezza di tono della musica black e della magia arcaica di un angolo di mondo dove la modernità cede al passo del soprannaturale. Le visioni di Terence in questo senso sono paradigmatiche della regressione che il reale compie di fronte a impossibili innesti di fantastico, e caricano il film di uno slancio lirico che Herzog rilancia con autentiche (e magnifiche) derapate stilistiche. La linearità narrativa quindi viene rotta in favore di un panismo che si interessa della forza dirompente della natura e ne segue i segni: un serpente che solca l’acqua, un alligatore che si muove ai lati di una strada, due iguane (due visioni?) che stazionano su un tavolo. Herzog non scioglie mai del tutto l’ambiguità sulla natura di queste realtà alternative che si innestano su quella ufficiale, le accarezza anzi e le condivide, in modo da renderle omogenee a una storia cui pure non appartengono, in quanto parti di una realtà composita.
D’altronde, e qui sta l’altra grandezza del film, se cambia il tono non cambia la necessità del testo di restare correlato al suo presente. In questo senso il nuovo Cattivo tenente è un aggiornamento puro dell’originale. Ferrara si manteneva infatti in sintonia con la degradazione seminata dagli anni Ottanta e poteva allo stesso tempo permettersi ancora di urlare la sua rabbia per le contraddizioni del suo presente; Herzog anche evidenzia la completa disgregazione dei classici concetti di Bene e Male ma per questo eleva a eroe un uomo corrotto, ma capace di fare il suo mestiere, che si attira quindi tanto lo sdegno del pubblico quanto la sua simpatia. Il finale salvifico non assume pertanto il compito di redimere il protagonista (questo aspetto è anzi lasciato a discrezione dello spettatore) e non ha nemmeno quell’animo beffardo del Woody Allen di Match Point. Herzog, infatti, è al di là di un possibile giudizio sul suo tenente, che considera propaggine del suo tempo e della assurda realtà che lo ha reso quello che è: l’uragano Katrina in fondo lo forgia nella sua immagine legnosa e lo spinge nei recessi della tossicodipendenza. Il regista in questo caso è anche bravissimo nello sfruttare un attore poco dotato come Nicolas Cage in maniera perfetta per il ruolo, e gli permette una performance straordinaria che non ha nulla da invidiare – nelle sue differenze – a quella di Keitel. Si torna dunque ancora una volta alla consapevolezza che il progetto rivendica pur nell’assoluta libertà del suo incedere e che gli permette di riverberare la sua natura di autentico miracolo: perfettamente in bilico fra opposti eppure assolutamente autosufficiente in sé. Cinema con la maiuscola.
Il cattivo tenente: Ultima chiamata New Orleans
(Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans)
Regia: Werner Herzog
Sceneggiatura: William Finkelstein (ispirata al film omonimo di Abel Ferrara)
Origine: Usa, 2009
Durata: 121’
Conferenza stampa dalla Mostra di Venezia
La conferenza stampa in video (estratto)
Sito italiano
La recensione di Cinedrome
Intervista a Werner Herzog sulla sua carriera
Sito ufficiale di Werner Herzog
3 commenti:
Sto preparando una recensione a "Giallo" di Dario Argento da me. Poi te la segnalo :)
interessante e profonda analisi, di un film insolito, anacronistico e filosofico.
Herzog ha veramente fatto centro; ovviamente la sua è una scelta semplice ma perfetta; discostarsi totalmente dall'opera di ferrara, mantenendo solo un'iconografia spenta di un personaggio allo sbando. Ultima fermata New Orleans è un film che vive di vita propria, dalla prima all'ultima ripresa; difficile davvero parlare di remake su un film di questa portata.
Menzione speciale la do a Nicolas Cage, attore camaleontico e sottovalutato da troppo tempo, perfetto in un ruolo che pare scritto apposta per lui, giusto ieri lo guardavo in Via da Las Vegas e oggi ho ributtato l'occhio su questo; veramente un attore forte e unico nella sua "espressività", da riscoprire.
chris
film originale e surreale, Herzog piu che un remake, realizza un film tutto suo sulla figura di un eroe disilluo e spento.
Nonostante tutto, tentare di paragonarlo all'opera di Ferrara significherebbe demolirlo, è vero che Herzog ha fatto un film bello e nuovo, ma è anche vero che l'originale Cattivo tenente resta ancora avanti e intatto nella sua cruda e brutale riflessione antisociale, insomma se proprio serve vedersi un Cattivo tenente che sia quello di ferrara.
Davide
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