La danza dei morti
In un mondo devastato dalla Terza Guerra Mondiale, la giovane Peggy vive insieme alla madre, una donna afflitta da terribili incubi sul passato e le dolorose scelte compiute, e che tiene la figlia chiusa fra casa e bottega per impedirle la contaminazione con un mondo di fuori ormai preda di violenze e sopraffazioni. Ma un giorno Peggy conosce Jak, un ragazzo che vive conducendo loschi affari, ma che è affascinato dalla sua dolcezza, e vuole farle conoscere il mondo, dichiarandosi pronto a proteggerla. Così Peggy lo segue e viene portata alla “Fossa dell'Inferno”, il locale per cui Jak lavora come procacciatore di sangue umano. Il plasma serve infatti a nutrire le creature impiegate nel numero più sensazionale del locale: la danza della morte, con cui i cadaveri rianimati da un gas usato durante la guerra vengono costretti a “danzare” con l'ausilio di scosse elettriche. Ma ciò che Peggy non si aspetta è una rivelazione sui segreti nascosti da sua madre in tanti anni. Un segreto che ha a che fare con le sorti della sorella scomparsa anni addietro.
Sembra che Tobe Hooper sia a tal punto un ammiratore del cinema di George Romero, da aver rifiutato in passato la regia de Il ritorno dei morti viventi, da lui giudicato troppo dissacrante rispetto alla filosofia che anima i capolavori dell'illustre collega. Vera o meno che sia questa voce, è interessante notare come il suo aderire al tema dello zombie avvenga proprio in una prospettiva non immediatamente romeriana: il cannibalismo è pressoché bandito e, sebbene il ritratto sociale sia ugualmente devastante, a tenere banco è ancora una volta quella contraddizione profondamente umana che trova nelle dinamiche familiari la sua sintesi e la sua condanna. Siamo, quindi, ancora una volta più che altro dalle parti di Non aprite quella porta, di cui questo splendido episodio di Masters of Horror (il terzo della prima stagione) può considerarsi quasi una variante postatomica.
Hooper però abbandona le caratterizzazioni grottesche in seno al nucleo familiare, per esaltare il valore tragico di una microcomunità (formata da una madre e una figlia) che rifletta nel suo disequilibrio lo sfacelo del mondo “di fuori”. Quel mondo che viene visto sempre come un “altrove” in grado di corrompere la purezza del proprio spazio e che perciò va volutamente tenuto a distanza, con la “casa” che si connota come rifugio da chiudere a chiave dalle intrusioni dell'esterno, fossero anche legittime richieste di soccorso. Qui Hooper riverbera quel sapore western ravvisabile in modo più immediato nel suo citato capolavoro del 1974, chiamando in causa il senso della proprietà e del possesso come elementi fondanti della società americana: non a caso gli unici rapporti che il film sembra legittimare sono quelli economici, che portano anche a sopravanzare il senso stesso di umanità, riducendo i corpi a merce in balìa delle masse affamate di spettacolo.
Il tutto va naturalmente contestualizzato all'interno di un momento storico che nel 2005 vedeva l'America costretta a confrontarsi con la crisi della guerra irachena (nel film vengono citati i terroristi) e le sue implicazioni morali. In tal senso La danza dei morti non offre alcuna catarsi, e lascia anzi che i conflitti esplodano attraverso l'esplicitazione dei segreti e delle scelte compiute in nome della stabilità familiare: non a caso il processo di “liberazione” di Peggy (spesso indicata con l'appellativo di “angelo” e interpretata dalla bellissima Jessica Lowndes) passa per un suo afffrancamento dal giogo materno che si concretizza in una vendetta verso la genitrice, quasi una sorta di ideale passaggio di consegne nel segno della disumanità. E anche per questo la figura che le permetterà di raggiungere la consapevolezza è ben lontana dallo stereotipo dell'eroe, trattandosi anzi di un tossicodipendente che ruba il sangue agli anziani per vivere.
E' interessante notare come ancora una volta la dinamica universale si rifletta nel personale, con la storia d'amore fra due singoli personaggi che diviene punto di svolta di un'esistenza altrimenti condannata all'immobilismo, e anche come la famiglia sia in sé causa ed effetto di una disgregazione sociale che passa sempre e comunque per la sopraffazione reciproca, quale può essere quella della madre che impone alla figlia un ruolo e la “costringe” a restare fedele ad esso, pena la radiazione dall'alveo di (apparente) sicurezza fornito dalle mura domestiche, a tutto appannaggio di quella società del commercio ufficialmente aborrita.
In questo senso la durezza delle situazioni che il film pone in essere, dallo spettacolo di decadenza fisica prodotto dalla nube tossica e dalla riduzione dei morti a feticcio per spettacoli o a oggetto erotico/necrofilo, fino all'uso abbondante e disinvolto di sostanze stupefacenti, diventa a un tempo l'indice di uno smarrimento morale e anche di una confusione percettiva che l'impianto visivo cerca di restituire “soggettivizzando” quella dimensione dello “sballo” agognata dai giovani protagonisti e dagli avventori del night club. Il riferimento va naturalmente al montaggio frenetico con continue sovrapposizioni fra le inquadrature, che conferiscono al film una caratura psichedelica, che fa il pari con i colori e le luci abbaglianti della fotografia. Qualcuno ha fatto il nome di Rob Zombie, come possibile riferimento, ma Hooper è regista intelligente quel tanto che basta da non avere bisogno di modelli, pur restando permeabile alle possibilità offerte dalle nuove tendenze del genere.
In questo senso La danza dei morti è un film che innesta su modelli classici (il postatomico, lo zombie-movie, la stessa presenza iconica di Robert Englund e la filiazione da un racconto di Richard Matheson) elementi di novità e contemporaneità (la sceneggiatura è del talentuoso Richard Christian Matheson, degno erede del padre). Un racconto potente eppure doloroso, da parte di un maestro che per troppo tempo sembrava aver nascosto le sue energie, e che qui appare come un giovane finalmente ritrovato, al pari dei suoi protagonisti.
La danza dei morti
(Dance of the Dead)
Regia: Tobe Hooper
Sceneggiatura: Richard Christian Matheson, da un racconto di Richard Matheson
Origine: Usa, 2005
Durata: 57'
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3 commenti:
Bella analisi, che condivido. Come sai a me Dance of the Dead, nonostante le critiche piovute da più parti, era piaciuto molto. Estremo e doloroso, allucinato e ossessivo, stordente e bellissimo. La dimostrazione che Hooper, ogni tanto, quando vuole, sa ancora fare ottime cose, a differenza di altri ex maestri in totale e deprimente caduta libera (Craven e Argento).
Mi spiace Alessio G ma tra Hooper è Craven non c'è paragone.
Hooper sono SECOLI che sforna solo porcate, fatta eccezione per quest'ottimo Dance of Dead, ma Wes, ok avrò anche inciampato qualche volta, ma la sua filmografia è 1000 volte meglio di quella di Hooper, ed è Wes ad aver ancora molto da dire, basti pensare al recente e ottimo Scream 4
Anonimo sei Fabio, giusto? Gentilmente evitiamo anche qui il battibecco fra utenti e lasciamo che ognuno esprima la sua opinione: ti ricordo che questo è un blog e non un forum. Se vuoi interloquire direttamente con Alessio vai pure su Cinemystic (è sufficiente che clicci sul suo nome). Grazie.
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