Drive Angry
Un uomo in fuga. Il suo nome è John Milton, e la sua missione è recuperare la nipote neonata, prigioniera della setta di Jonah King e destinata a essere sacrificata al prossimo plenilunio. La corsa sfrenata di Milton verso i suoi nemici non è però isolata. C'è un altro uomo, il Contabile, che intende ritrovare proprio il protagonista per riportarlo nel luogo da cui proviene. A far la parte della malcapitata è la bellissima Piper, che dopo aver abbandonato il fidanzato traditore resta coinvolta nell'avventura di Milton e scopre che in gioco c'è molto più dell'amore di un uomo per la nipote, le forze in campo infatti valicano i confini del reale e sfociano nel soprannaturale...
In attesa che anche Machete arrivi nelle sale dopo i continui rinvii, Drive Angry fornisce abbastanza materiale per riflettere sulla tendenza attuale del cinema hollywoodiano di guardare all'exploitation dei decenni passati come a un modello, dotato di immaginari e codici propri. Non dunque come a un cinema povero (soprattutto di mezzi), ma come a uno straordinario e libero ricettacolo di idee, che nella sua logica dell'accumulo e della quantità al posto della qualità diventa paradigma di ogni possibile libertà espressiva e rimescolamento di categorie (cinema alto e basso).
Di questa tendenza naturalmente Quentin Tarantino e il già citato Rodriguez sono gli alfieri e, con il progetto Grindhouse, possono considerarsi i sostanziali teorizzatori, ma per saggiare la consistenza di questo filone neo-exploitation occorre guardare a esempi meno autoriali come quello qui in oggetto. Perché l'idea di utilizzare un divo decaduto come Kurt Russell o un grande nome del cinema “che conta” come Robert De Niro può avere il suo fascino, ma non è paragonabile al mettere in scena un casting che respiri dell'essenza stessa del film. Si tratta, insomma, di non giocare in una logica dell'ossimoro, ma al contrario dell'identità.
In questo senso Drive Angry è il film perfetto: riverbera la spregiudicatezza dei modelli, li rimette in scena con un budget dignitoso, ma sa soprattutto sfruttare i corpi degli attori come segni di cinema che rifulgono di una profondità mitica propria, che amplia il gioco di rimandi già invocato dal plot. Così, ecco una storia che mescola road-movie alla Punto Zero, sette sataniche alla In corsa con il diavolo e protagonisti in bilico fra questo mondo e l'aldilà che sembrano usciti da un cinefumetto: il riferimento immediato è naturalmente al Ghost Rider che vedeva lo stesso Nicolas Cage come protagonista, ma la figura più straordinariamente borderline è piuttosto quella del Contabile, interpretata con piglio seriamente ironico da un incredibile William Fichtner.
Proprio gli scivolamenti di senso che la commistione di opposti genera sulle figure è l'aspetto più interessante del film. Chiaramente ci si diverte ed esalta davanti alle trovate più strampalate messe in scena dalla sceneggiatura, ma queste appaiono comunque prevedibili in un simile contesto (senza contare la cartoonizzazione imperante in modo abbastanza generalizzato nel cinema d'azione dell'ultimo decennio). Più interessante è l'abilità inaspettatamente dimostrata dall'altrove mediocre Patrick Lussier di creare personaggi credibili nonostante la loro palese assurdità. Merito innanzitutto della capacità di ossequiare il ridicolo senza però sfociare nel becero: una sapienza che quindi permette al tono del film di diventare ironico e demistificatorio, e di giocare perciò d'anticipo rispetto alle aspettative e critiche dello spettatore, pur mantenendo intatta la spettacolarità. In questo senso Lussier dimostra di aver imparato bene la lezione portata avanti dal suo mentore Wes Craven nei suoi più celebri horror.
E poi c'è soprattutto il già citato lavoro di casting. E' infatti estremamente appetibile notare le risonanze che quasi ogni corpo attoriale pone in essere con la sua sola presenza sulla scena. Se Nicolas Cage (consapevolmente definito “con l'aria fuori posto”) è ancora una volta un corpo rigido incastrato in un ruolo estremamente incorporeo (e va dato atto a Brad Silberling di aver creduto per primo nella “trasparenza” dell'attore con il dimenticato City of Angels), è ancora più interessante l'innesto di interpreti come David Morse, che rimanda alla tensione all'altrove di Contact, o la nostra amata Amber Heard, che incarna in sé molte delle contraddizioni della trama. Corpo desiderabile come nel remake de Il patrigno o nell'ancora colpevolmente inedito All the Boys Love Mandy Lane, l'attrice si ritrova nuovamente a incarnare il punto di fuga in una realtà credibile ma irreale, come nel carpenteriano The Ward e non a caso appare come uno dei pochi personaggi non facilmente identificabili del film: un po' pupa di turno, un po' formidabile e ribelle amazzone guerriera, un po' coscienza critica dello spettatore che dubita di ciò che vede, un po' anima candida che si lascia coinvolgere troppo facilmente e, anzi, legittima le assurdità del plot (è lei infatti a stabilire che Jonah King non è un ciarlatano, ma un vero pericolo per il nostro mondo).
Viene così contingentata abbastanza la più facile (e legittima) delle obiezioni che si possono imputare al filone, ovvero quella di essere autoreferenziale e sostanzialmente slegato dalla contemporaneità, in termini di immaginario e di sguardo critico sulla realtà. Non va infatti dimenticato che pellicole come quelle che Drive Angry prende a modello nascevano in un contesto preciso che, seppur mirato al facile sfruttamento di gusti e temi, pescava da inquietudini ben determinate: il road-movie e il filone satanico dei Settanta guardavano infatti ai timori per il sorgere di figure come Charles Manson e alle possibilità aperte dagli scenari tracciati da autori come Jack Kerouac. Non è un caso che il film al botteghino abbia rimediato un risultato deludente, come tutti quelli cui è apparentabile e nonostante il furbo uso del 3D (davvero superfluo in questo caso): le contraddizioni sono dunque in campo, le riflessioni possibili anche, resta da stabilire quale sarà il futuro di questa deriva. Nel frattempo i fans del genere hanno di sicuro pane per i loro denti e comunque il tutto risulta dannatamente divertente.
Drive Angry
(id.)
Regia: Patrick Lussier
Sceneggiatura: Todd Farmer e Patrick Lussier
Origine: Usa, 2011
Durata: 104'
1 commento:
Grande davide, ottima rece ;-)
Vado questa sera a vederlo e non vedo l'ora, adoro questo tipo di cinema.
Non concordo solo su due punti della tua recensione:
Il primo su Cage, a mio avviso un attore immenso, e troppo spesso criticato assai ingiustamente.
Io sono dell'idea che ci sappia fare ovunque lo metti, in film seri o cmq con ruoli impegnativi (il genio della truffa, lord of war, weather man, via da las vegas, ladro di orchidee) che in quelli più d'intrattenimento come appunto questo Drive angry, dove gia dal trailer mi pare perfetto per il ruolo di vendicatore rozzo e solitario.
Il secondo punto è sul regista, Lussier il quale ha diretto anche film osceni (La profezia 3 e dracula 2 e 3) ma questi eran produzioncine da home video, mentre ha dimostrato di saperci fare col geniale e sottovalutato primo film sul succhiasangue ovvero Dracula's Legacy e anche col divertentissimo San valentino di sangue.
Poi non scordiamoci che con quest ultimo e con Drive Angry ha lavorato assieme a Todd Farmer, sceneggiatore che gode della mia stima per lo script del magnifico Jason X ;-)
Ad ogni modo, sta sera vado, poi posterò il mio giudizio :-)
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