Angelique, una ragazza in fuga, incontra due medici che la conducono alla loro clinica: è incinta e determinata ad abortire, ma suo padre Dwayne Burcell, fervente cristiano e uomo violento, non ci sta. Insieme ai figli l’uomo si lancia così in un assalto alla clinica, guidato da una voce che crede essere di Dio. Ma la natura del vero padre del nascituro si rivelerà imprevedibile.
Il ribaltamento di prospettiva attuato dal titolo italiano, che oggettivizza la natura maligna del nascituro intorno al quale ruota la storia, finisce per privare del suo aspetto principale Pro-Life, quinto episodio della seconda stagione di Masters of Horror: la sintesi e la confusione fra bene e male, tema peraltro perfettamente riconducibile alla poetica di un Maestro come John Carpenter. In virtù di questa caratteristica, padroneggiata con la consueta sicurezza dal regista, viene quindi a cadere con una certa fretta l’ipotesi di un racconto in chiave banalmente abortista, favorita dalla caratterizzazione di Dwight (il grande Ron Perlman), tipico esempio di quel fanatismo religioso che in America spesso porta all’uccisione dei medici che praticano l’interruzione di gravidanza da parte di chi si professa “a favore della vita”.
Carpenter infatti ammanta il racconto di un’ambiguità che come sempre si fa cinema ed esibizione dello stesso, tanto da rendere l’episodio molto più stratificato di quanto apparentemente non sembri e capace di mescolare l’ottima tensione favorita dal montaggio e dalle incalzanti musiche di Cody Carpenter (figlio del Maestro) a un’ironia grottesca abbastanza evidente nel tripudio di scene splatter e nell’esibizione piena di un mostro finale che rimanda dichiaratamente a La notte del demonio di Jacques Tourneur. Una creatura che risulta peraltro fra i demoni più convincenti mai visti su schermo.
Ecco dunque che, se è facile identificare immediatamente Dwight, è anche vero che le apparenze spesso ingannano: l’aborto dopotutto è una procedura invasiva ben lontana dal clima ameno che pare respirarsi in clinica, le ragioni di Dwight si traducono in atti violenti destinati a rispecchiarsi nella mostruosità del demone, ma vengono sconfessate da uno dei suoi figli che non ha il coraggio di uccidere, e che nel corso della storia subirà il fascino della violenza. Il dottor Kiefer, primario della clinica, appare inoltre efficacemente speculare ai “nemici”, poiché si presenta anch’egli armato fino ai denti e custode di quella tradizione del possesso dell’arma come status dell’essere americano: una caratteristica che risale ai tempi del Far West e che, nel ricondurre ancora una volta il cinema carpenteriano al genere fondativo del cinema statunitense, sintetizza l’attacco alla clinica come l’ennesima variazione del canonico assalto al forte. Cosa è cambiato però dai tempi del seminale Distretto 13 – Le brigate della morte? Sicuramente l’aspetto visivo che opta per una fotografia solare e un’ambientazione diurna, che “normalizza” la virulenza e l’anormalità di un assalto che pare avvenire nell’indifferenza del mondo circostante. In questo senso trova piena contestualizzazione anche l’atmosfera iniziale che sembra rimandare al cinema di Dario Argento, con la giovane Angelique che corre al ralenti nei boschi evocando sensazioni quasi fiabesche, subito destinate a essere contraddette una volta che i termini del racconto vengono messi in campo. Al contrario degli esterni, dove la situazione è più definita (Dwight non deve avvicinarsi al cancello per 500 metri per un’ordinanza giudiziaria), all’interno domina chiaramente uno status più complesso, dove il colore sgargiante delle pareti e la sensazione di sostanziale asetticità sembra fare scherzosamente il verso ai vari esponenti filmici del genere “ospedaliero”, che tendono a ripulire eccessivamente la degenza in una clinica dalle componenti più austere e dolorifiche: la fotografia si fa successivamente più ombreggiata e rimanda agli interni de Il seme della follia, altro straordinario capolavoro di Carpenter, qui evocato anche dal già citato titolo italiano.
Il regista, quindi, confonde i punti di vista sintetizzando il tutto nell’enunciazione dell’empatia come caratteristica che distingue l’uomo dagli altri esseri viventi e tenta pertanto di far comprendere le ragioni dell’altra parte. La creatura, pertanto, viene dipinta come una classica bestia mossa da un istinto “a favore della vita,” ovvero proteggere quella progenie che infine sarà rinnegata e uccisa dalla sua stessa madre (in un icastico ribaltamento del finale polanskiano di Rosemary’s Baby, ibridato per l’occasione con suggestioni da La cosa): nel momento, in cui raccoglie il corpo esanime del suo erede, il mostro finisce così per suscitare quasi la pietà dello spettatore. In tutto questo, a chiudere il cerchio, ci pensa la caratterizzazione di Angelique, che non viene dipinta come vittima, ma come seguace anch’ella del fanatismo religioso, poiché il suo desiderio d’abortire è collegato esclusivamente alla consapevolezza di portare in grembo il “seme del male”, che renderebbe il suo parto un atto contrario alla fede. Non a caso lei chiede che il figlio sia ucciso per compiere la “volontà di Dio”. Il pensiero di Dwight e quello di sua figlia sono dunque coincidenti, sebbene articolati su fronti opposti a causa del malinteso che muove il padre (fatto che genera la reciproca contrapposizione).
Alla fine, dunque, l’unico legame possibile, secondo una logica irriverente e del tutto carpenteriana, è quello collegato unicamente al piacere dell’incontro sessuale fra Alex e Kim, i due medici protagonisti, enunciato in apertura durante il loro viaggio in auto: un incontro che in sé simbolizza il desiderio di poter rivendicare una vita sessuale serena e distante dagli estremismi della religione, in piena e reciproca condivisione d’intenti. Lo speculare, d’altronde, è la violenza che Angelique subisce ad opera del demone, figlia di una concezione della donna come semplice corpo da ingravidare.
Masters of Horror: Pro-Life – Il seme del Male
(Masters of Horror: Pro-Life)
Regia: John Carpenter
Sceneggiatura: Drew McWeeny, Scott Swan
Durata: 55’
Origine: Usa, 2006
Collegato:
Masters of Horror
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