"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 26 aprile 2011

Habemus Papam

Habemus Papam

Il Papa è morto, e in Vaticano si è aperto il conclave che decreterà il suo successore. La scelta cade sul cardinale francese Melville, che accetta l'incarico, ma subito dopo cade in preda al panico per il compito che avverte come eccessivamente gravoso. Il nuovo Pontefice non si presenta dunque al mondo e si rintana invece nei suoi appartamenti, lasciando sgomenta l'opinione pubblica. Per aiutarlo a superare questo momento di incertezza viene convocato il professor Brezzi, il miglior psicologo della capitale, che viene costretto a restare in Vaticano sino a quando il nuovo Papa non sarà stato presentato al pubblico. Il Pontefice però fugge e si immerge nella vita della città, mentre il portavoce del Vaticano cerca di tenere nascosta la cosa al mondo e agli altri cardinali, formalmente ancora in conclave.


C'è bisogno di registi come Nanni Moretti, per la loro capacità di spiazzare. Possiamo avanzare dei dubbi sull'uomo e la personalità cinematografica (lo abbiamo anche fatto in passato), ma l'artista resta qualcos'altro, che ci sfida e riesce a condurci con sapienza verso direzioni differenti rispetto a quelle attese. Come nel precedente Il Caimano, Moretti racconta una storia altra: quello non era un film incentrato sulla figura di Berlusconi, questo non è un film sul Vaticano o ancor più contro di esso. La vicenda particolare diventa infatti pretesto per riflessioni più importanti sull'Uomo e sul suo confronto con la vita.

In effetti, a ben guardare, sussiste una specularità nei due film, che non si concreta unicamente nel fatto che entrambi pongano come riferimento una figura del Potere (politico l'una, religioso l'altra), quanto nel peso che tali figure hanno rispetto all'umanità e alla Storia. E in entrambi i casi il punto di vista privilegiato è quello offerto da una vicenda personale (fatto che crea un ponte anche con il precedente La stanza del figlio), una rottura individuale che produce una scossa avvertibile da un'utenza più ampia, secondo una struttura che potremmo definire a cerchi concentrici. L'indecisione del singolo cardinale, quindi, diventa la crisi di un'umanità che abbisogna di simboli e che crea in tal modo una sovrastruttura rituale capace di schiacciare il precipitato umano.

Proprio quel precipitato interessa a un Moretti che si diverte a esplorare il tema lungo il doppio registro del dramma ammantato però di commedia. Le gag che vedono protagonisti i cardinali sono indubbiamente molto divertenti, ma è interessante notare soprattutto come le due componenti, che in un primo momento sembrano avvicendarsi in modo particolarmente ispirato, lentamente inizino a confliggere, come a rivendicare uno spazio assoluto che diventa di progressiva esclusione dell'altro. Pertanto il dramma umano di Melville inizia a risuonare dei toni più forti e coinvolgenti, laddove la figura di Brezzi/Moretti appare sempre più un corpo estraneo all'interno della vicenda, uno stanco cascame di “morettismo” ormai disallineato rispetto alla tragedia in atto.

E' una metafora abbastanza lampante di un cinema che intimamente rifiuta la reclusione negli spazi angusti del Vaticano (quelli che vengono reinventati fino a diventare un campo da pallavolo) e che cerca invece lo sfogo nella complessità della vita, dove pure si reitera la componente rituale dei gesti ripetuti e dell'imprevedibilità ingabbiata negli schemi predefiniti della rappresentazione. Il dramma di Melville è dunque sintetizzato e racchiuso fra i suoi desideri passati di fare l'attore, la finzione di un circo mediatico che invoca la normalizzazione spettacolare di un'elezione che sia tale, la pantomima di un figurante che occupi l'ufficio papale per dare l'impressione al mondo che il Pontefice sia ancora in Vaticano, e il teatro (vero) dove il Papa si rifugia prima di tornare al suo ruolo. Né va dimenticato il tentativo dello stesso Melville di fingersi attore per celare la sua identità di Pontefice, e la sua proposta di sostituire un attore scomparso.

Questa sovrastruttura finzionale viene rotta dal film in modo esplicito soltanto nel finale, che arriva dopo un percorso umano anche in questo caso racchiuso e sintetizzato unicamente da particolari come lo sguardo perso e innocente dello stesso Melville: merito di una monumentale performance del ritrovato Michel Piccoli, capace di racchiudere in sé l'iconografia papale più tipica (che rimanda a Giovanni XXIII e, in parte, anche a Giovanni Paolo II, soprattutto per gli accenni al mondo del teatro), e al contempo di spogliarla grazie a una recitazione soave e di rado sopra le righe, capace di esprimere il disagio della propria condizione attraverso una inadeguatezza che è prima di tutto fisica. In questo modo Moretti codifica un linguaggio che non è spirituale, ma profondamente umano, sta nel reale e nella concretezza del corpo e crea una dinamica feconda rispetto agli elementi di finzione che circondano l'icona papale.

Il finale di per sé non fa altro che rompere il clima ovattato di lunga attesa rendendo collettivo il dramma fino a quel momento relegato nella sfera del personale, attraverso un autentico colpo di teatro che però è anche il momento più veritiero di una vicenda che rompe definitivamente con la ritualità. E la magnifica sospensione cui tutto si abbandona con l'arrivo dei titoli di coda, diventa un momento foriero di dramma (per la solitudine cui viene condannato il mondo) ma anche di possibilità (quella evocata dalle parole del Papa nel suo discorso al mondo), rinnovando quella dinamica del doppio che serpeggia in tutto il film.


Habemus Papam
Regia: Nanni Moretti
Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli
Origine: Italia, 2001
Durata: 104'


Nessun commento: