Mentre attraversa una superstrada di montagna, Ellen sbanda per evitare una vettura ferma sulla carreggiata. Subito dopo la ragazza viene aggredita dal mostruoso criminale Moonface, che riesce a rapirla e a portarla nella sua baracca, dove strappa gli occhi alle vittime per farne delle macabre composizioni. In flashback vediamo poi il passato di Ellen, alle prese con Bruce, un marito fanatico che tenta di insegnarle con la forza le tecniche di sopravvivenza in condizioni estreme, tanto da portare il matrimonio alla fine. Ma ora, di fronte al pericolo rappresentato da Moonface, quegli insegnamenti si rivelano provvidenziali.
Una delle caratteristiche più interessanti di Masters of Horror è la struttura composita della serie, che permette a ogni film non solo di riverberare temi e situazioni già codificate, creando un fitto reticolo di rimandi e citazioni, ma anche di creare o rinnovare interessanti sinergie fra universi autoriali differenti. Nel caso specifico Don Coscarelli torna infatti a lavorare su un testo del grande scrittore texano Joe R. Lansdale (nel caso specifico un racconto pubblicato nell’antologia Maneggiare con cura) dopo i fasti del capolavoro Bubba Ho-Tep, e ottiene l’onere di inaugurare la serie (il film è infatti il pilota della prima stagione).
Questione di sinergie, dunque, ma anche e prima di tutto di identità, quella che manca alla protagonista Ellen che, nell’arco della storia, si ritrova ad attraversare una lunga serie di ruoli che la vedono dapprima mogliettina innamorata del suo uomo, poi vittima del suo fanatismo, quindi fuggiasca dal crudele Moonface e infine rinata come prototipo di donna guerriera, ideale incarnazione del modello sognato proprio dal marito. Coscarelli e Lansdale lavorano proprio sul concetto di stereotipizzazione che nell’horror è sempre stato modulato con intelligenza, riflettendo sulla figura della donna-guerriero, codificata da molta fantascienza anni Ottanta e Novanta (per certi aspetti possiamo pensare ad Aliens) come approdo di un’umanità prigioniera della propria ossessività. Trovare la propria identità coincide quindi paradossalmente con la perdita del proprio sistema di valori e di umanità, in uno spericolato rivolgimento delle parti che il finale sintetizza a meraviglia e che concretizza la preferenza di Lansdale per storie dagli esiti inaspettati.
In questo senso Panico sulla montagna è un film che per un versante sfrutta dinamiche alquanto tipiche, con la lotta fra Ellen e Moonface che può essere tranquillamente vista come una parafrasi del rapporto fra la donna e il marito. Affrontare il mostro significa per Ellen comprendere fino in fondo i limiti della relazione che si è lasciata alle spalle, e l’eredità che l’uomo ha impresso nelle sue azioni. La struttura narrativa quindi si concretizza in una dialettica serrata fra passato e presente, con i flashback che non hanno soltanto il ruolo di fornire un mero contrappunto ritmico alle scene di fuga e lotta con Moonface, ma che invece rappresentano una sorta di percorso guida che modula criticamente l’evoluzione compiuta dalla protagonista.
Ma c’è di più: c’è lo sguardo attento di Coscarelli, che ha sempre prediletto punti di vista trasversali e innovativi per illustrare la follia su cui si regge il mondo. Sebbene per arrivare a comprendere l’intero disegno sia necessario giungere fino alla conclusione della storia, il regista dissemina una serie di indizi, nascosti soprattutto nei dialoghi, per far comprendere la prospettiva a lui cara.
L’universo di Moonface, dunque, è una traslazione della follia di Bruce poiché estrinseca quella volontà misantropica che aveva portato l’uomo a isolarsi dal resto del mondo coltivando in modo ossessivo il culto della lotta e delle tecniche di difesa (e per certi versi avvera la sua profezia di un “peggio” che attende il nostro mondo). L’adesione finale di Ellen a questo sistema di disvalori inevitabilmente la riconduce non alla salvezza, ma alla semplice preservazione della propria integrità fisica, che però non coincide con quella interiore. In un tale quadro di disgregazione sociale l’unico personaggio che quindi finisce davvero per risaltare come positivo è il folle Buddy, l’uomo che condivide la prigionia di Ellen e che non a caso ha le fattezze iconiche dell’attore più rappresentativo del cinema di Coscarelli, Angus Scrimm, il “Tall Man” della saga di Phantasm.
Creato espressamente per questa versione e assente nel racconto cartaceo, Buddy, fra le pieghe di un agire che appare dissennato e che sembra ossequiare i caratteri borderline del sottogenere survivalism (pensiamo ad esempio al Cuoco di Non aprite quella porta), è invece il personaggio più lucido della storia: è lui non a caso a spiegare a Ellen chi sia il maniaco che la perseguita; è ancora lui a estrinsecare il sottotesto simbolico insito nell’enucleazione degli occhi; ed è sempre lui a fornire alla ragazza i consigli giusti per liberarsi dalle manette che la tengono prigioniera, permettendole quindi di mettere in atto la propria rappresaglia contro Moonface. In un mondo in cui la follia ha vinto, dunque, il folle finisce per essere l’unico normale, riverberando quella poetica già alla base dei precedenti lavori del regista, da Bubba Ho-Tep dove due pazienti di un ospizio salvano il mondo dal mostro, fino allo stesso Phantasm, dove l’eroe è un bambino affetto da un ossessivo terrore per il guardiano del cimitero. Un film da confrontare idealmente con certi spunti presenti nel cinema di Wes Craven, altro cantore di eroine forti (le trappole di Ellen possono far venire in mente quelle della Nancy di Nightmare), ma anche di storie con prospettive inedite, dove a volte è il matto (il “Fool” de La casa nera ad esempio) a preservare in sé la parte migliore del mondo.
Panico sulla montagna
(Incident On and Off a Mountain Road)
Regia: Don Coscarelli
Sceneggiatura: Don Coscarelli e Stephen Romano (da un racconto di Joe R. Lansdale)
Origine: Usa, 2005
Durata: 51’
Trailer di Panico sulla montagna
Collegati:
Masters of Horror
Pro-Life: Il seme del Male
Deer Woman: Leggenda assassina
Imprint: Sulle tracce del terrore
Valerie on the Stair: La bestia
1 commento:
Gran bell'analisi del primo "capitolo" dei Masters of horror. Sicuramente non è tra i miei preferiti, però è molto interessante.
Ale55andra
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