Haeundae (Tidal Wave)
Busan, Corea del Sud. Il distretto balneare di Haeundae è il teatro di numerose storie di personaggi differenti: Man-sik è innamorato della giovane Yeon-hee, ma è allo stesso tempo affranto dai sensi di colpa per non essere riuscito a impedire la morte del di lei padre durante una tempesta; il suo vicino Dong-choon è un tipo irascibile che peraltro condivide l’interesse per Yeon-hee; Hee-mi è invece una studentessa che, dopo essere caduta in mare, si innamora di Hyeong-sik, il guardacoste che l’ha salvata; Kim Hwi è infine uno scienziato che deve far fronte alle accuse della moglie che lo accusa di essere stato un marito e un padre assente, al punto da non voler rivelare la sua identità alla giovanissima figlia. Kim Hwi è però alle prese anche con un problema più grosso: alcune scosse di terremoto lasciano presagire l’arrivo di una gigantesca onda anomala, che rischia di scagliarsi con devastate potenza su Haeundae. Un simile evento non è però calcolabile con precisione assoluta e così le autorità prendono tempo rifiutando di dare seguito all’evacuazione dei civili.
Lo slittamento fra il nome della località (Haeundae) e l’evento catastrofico (Tidal Wave, ovvero “Onda anomala”) ravvisabile nei differenti titoli (quello originale e quello scelto per la distribuzione internazionale) marca la differenza di significato fra due diverse concezioni di cinema catastrofico. Se, infatti, l’Occidente preferisce concentrarsi sulla forza spettacolare del disastro provocato dallo tsunami, il regista e sceneggiatore Yoon Je-kyoon preferisce focalizzare la propria attenzione sul microcosmo di variegata umanità e sulle traiettorie amorose che uniscono fra loro i personaggi che si agitano sullo sfondo della (autentica) località balneare.
In ragione di questa differente prospettiva, non stupisce notare come Haeundae attui un autentico rovesciamento rispetto alla concezione di film catastrofico codificata da decenni, e renda le vicende personali non strumentali rispetto all’impatto provocato dall’evento disastroso, ma anzi le elevi a inedito territorio di sperimentazione linguistica: il disastro viene in questo modo a iscriversi in un più ampio panorama di sentimenti rendendo la struttura del film, pur tipica nella sua progressione, straordinariamente fresca e sorprendente.
E’ per questo motivo che le storie dei protagonisti non soltanto assorbono la maggior parte della durata (con il disastro concentrato soltanto nell’ultima parte), ma non contribuiscono a creare alcuna suspance, e accompagnano invece lo spettatore in un viaggio fra esperienze diverse dove l’ironia arriva a toccare punte di umorismo slapstick e i tormenti amorosi si accompagnano a problematiche personali che affondano tanto nei drammi del passato quanto nei problemi di un presente interessato unicamente al profitto.
Man-sik, che possiamo identificare come il protagonista di questo racconto corale, è infatti in bilico fra il senso di colpa per non essere riuscito a impedire la morte del padre di Yeon-hee, e i tentativi dello zio imprenditore di mandarlo via dal suo negozio per edificare nella zona un nuovo edificio. La dinamica, perfettamente ascrivibile alla dicotomia fra uomo e progresso che è matrice stessa del catastrofico (pensiamo alla tecnofobia e all’antimodernismo dei disaster-movie americani anni Settanta) rinnova in chiave moderna la tensione fra diverse concezioni del futuro che finisce per iscrivere l’umanità in una situazione di perenne incertezza. In questa situazione “di mezzo”, quindi, la realtà sembra attendere un evento più grande che porterà alla risoluzione di molte storie che si trascinano inerzialmente: non a caso tutti i personaggi coinvolti attraversano una fase di transizione, con situazioni personali (e spesso sentimentali) in sospeso, che possono costituire la chiave di volta per il completamento della propria vita e personalità. E’ il caso ad esempio di Hyeong-sik, tanto eroico sul posto di lavoro quanto goffo e indeciso quando è alle prese con le divertenti avances di Hee-mi.
La leggerezza ironica della prima parte viene naturalmente capovolta dall’evento disastroso, in un modo che serve a marcare sia l’appena citata necessità di un punto di svolta, sia la caducità della vita come momento che tende a sfuggire nella perenne stasi (il film fa riferimento in modo esplicito ai fatti del Sud-est asiatico del 2005): Yoon marca in maniera molto precisa lo stacco fra un “prima” e un “dopo”, attraverso la bella sequenza dei fuochi d’artificio, che vede tutti i protagonisti spettatori e che ritaglia un autentico momento di calma e meraviglia fra gli eventi solari ma concitati della prima parte e quelli travolgenti della seconda. Diventa in questo modo palese l’intento empatico che il regista tenta di stabilire con lo spettatore, ormai coinvolto negli eventi e pronto a ricevere l’impatto delle sequenze spettacolari in tutte le loro dirompenti implicazioni.
La seconda parte, quindi, lascia ampio spazio agli effetti speciali che, sebbene non all’altezza delle produzioni occidentali, risultano in ogni caso funzionali alla resa spettacolare e al completamento delle vicende umane che hanno intessuto il racconto. Anche in questo caso Yoon non rinuncia alla sperimentazione, giocando con le aspettative e posticipando o marcando all’improvviso la scomparsa di alcuni personaggi più o meno iconici, dimostrando anche in questo caso di avere ben chiare le direttive principali del catastrofico. D’altronde, per sovvertire le regole occorre conoscerle e Haeundae in questo senso si dimostra un progetto estremamente lucido. Il cambio netto di direzione impresso al racconto favorisce l’affondo pieno nel melodramma, che capovolge totalmente la levità della prima parte per lasciare lo spettatore attonito di fronte all’improvvisa piega degli eventi. La meraviglia e l’orrore per la forza dell’evento spettacolare si mescola così alla tensione drammatica, che contribuisce a rendere anche il finale del film un momento qualificante di un’opera che non si adagia sulla tradizione, ma sa invece porsi con essa in prospettiva critica, regalandoci un bell’esempio di kolossal intelligente e in grado di resistere allo scorrere dei titoli di coda.
Haundae/Tidal Wave
Regia e sceneggiatura: Yoon Je-kyoon
Origine: Corea del Sud, 2009
Durata: 103’
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