Basilicata Coast to Coast
Nicola Palmieri è un professore di matematica di Maratea che decide di partecipare insieme ad alcuni amici al festival musicale di Scanzano Jonico. Per rendere il senso dell’impresa, il gruppo decide di percorrere a piedi la distanza che li separa dal luogo della manifestazione, regalandosi in tal modo una dieci giorni fra il Mar Tirreno e il Mar Jonio. Durante il viaggio affiorano problemi personali, nascono e si disfano nuovi amori e si risolvono vecchie questioni rimaste in sospeso. Il tutto sullo scenario caratteristico fornito dalle cittadine della Basilicata.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una sorta di filone cinematografico “meridionalista”, volto ad esplorare le contraddizioni e i meriti del Mezzogiorno d’Italia, attraverso storie eterogenee, spesso purtroppo in odore di pietismo, che nei casi più virtuosi (pensiamo a certe opere di Sergio Rubini) riuscivano a far esplodere quel coacervo di sentimenti contrapposti fra una realtà che appare immobilizzata in un eterno passato e le nuove spinte che provengono dai sogni di chi ha deciso di non andarsene e vivere appieno il rapporto con la propria terra. E’ interessante notare come in effetti proprio la Basilicata fosse rimasta fuori da questo fermento, schiacciata com’è fra le realtà della Puglia, della Campania e, perché no, anche della Sicilia.
Ci ha dunque pensato Rocco Papaleo, realizzando questo bel film che si pone a metà strada fra la formula, cara al recente cinema italiano, del road-movie e certe svirgolature ironico-surreali tipiche del miglior circuito indipendente. Già il casting viene a dichiarare gli intenti se, fra l’allure statuario/divistico di Alessandro Gassman e la vena timido/malinconica di Paolo Briguglia, trovano posto anche le presenze altere dello stesso Papaleo, dallo sguardo perennemente spiritato, e del lieve Max Gazzé privato della parola e che si inventa una sorta di figura fra Chaplin e Harpo Marx. Si tratta quindi di stare fra la terra e il cielo, lungo un percorso che ha chiaramente finalità esplorative dello spazio lucano (ritratto con affetto, sincera devozione e una punta di malizia propagandistica) ma che diventa, più in generale, una riflessione sullo stato dell’essere sospesi in un non-tempo e non-luogo. In effetti, il merito di una storia che chiaramente affronta molti passaggi sul filo dell’improvvisazione e della “semplice” complicità che esiste fra i personaggi (gli attori sono tutti amici di vecchia data), sta tutto nel riuscire ad armonizzare le storie personali nel contesto dei luoghi.
La contrapposizione dunque fra la modernità incarnata dal “divo” Rocco Santamaria (Gassman) e i sogni mai avveratisi dei vari Nicola (Papaleo), Salvatore (Briguglia), fino all’estremo del trauma che ha colpito Franco (Gazzé) si ritrova tutto nei sentimenti che evoca lo scenario lucano. Papaleo gioca infatti le sue carte giustapponendo passaggi in cui la modernità trascolora bruscamente, ma in modo anche affascinante nella tradizione e così le pale eoliche, la diga, il pannello solare che accompagna come presenza surreale il viaggio dei quattro, finiscono per unirsi alla processione cattolica, alle feste di paese, fino alla bella rievocazione storica dell’esilio di Carlo Levi. La meraviglia evocata da questi contrasti si sposa quindi alla contrapposizione di essere figli di una armonizzazione non pienamente riuscita di tempi diversi. D’altronde, come giustamente ricorda Santamaria, “ormai tutto è contaminato” e il film fa sua questa direttrice unendo finzione scenica (i numeri musicali in cui a tratti i protagonisti si rivolgono direttamente allo spettatore) e excursus “turistici”, dove l’arma del film-cartolina viene abilmente aggirata attraverso l’espediente del backstage portato avanti dalla giornalista Tropea, interpretata da Giovanna Mezzogiorno.
“Se ci credi è vero”: è proprio Tropea a pronunciare queste parole, in uno dei passaggi più significativi del film e il suo racconto va collegato alla voce fuoricampo dello stesso Papaleo, che nell’incipit, si erge al ruolo divino per riportare al centro della scena quella Basilicata assente dalla carta geografica, perché luogo dimenticato, in perenne fuoricampo. Il fuoricampo, o meglio l’incapacità di essere al centro della propria vita è in effetti la figura retorica che meglio sintetizza il percorso dei quattro amici, che sembrano trovare la propria dimensione unicamente nei momenti in cui imbracciano i loro strumenti musicali e intonano le loro canzoni usandole come dichiarazioni d’amore, esaltazione dei piaceri (il sesso, il cibo) o come dichiarazione d’intenti rispetto alla vita che vorrebbero.
Perché in effetti i quattro “perdenti” riescono a ribaltare il loro status, non di fronte al mondo né alla realtà che attraversano (eccezion fatta per la trionfale esibizione nella festa di paese), ma rispetto a se stessi e al proprio microcosmo, dove l’unico spettatore possibile è la moglie di Nicola, l’unica che non a caso conosce le debolezze umane del protagonista e la sua incapacità di portare a termine qualcosa.
Il finale è dunque dolceamaro perché, sebbene apra nuove speranze a chi decide di riprendere gli studi o di terminare l’effimera ricerca del successo, non implica necessariamente un approdo sicuro, ma soltanto il riallineamento a una realtà sospesa come è quella di una Basilicata in cui ancora resiste la forza arcaica del passato. Non a caso la conclusione è affidata a una storia d’amore che sembra sul punto di rompersi e non è dato sapere se sarà realmente portata a termine.
Cosa resta dunque del divertente viaggio dei quattro perdenti? La consapevolezza dell’essere parte di una zona di mezzo, quella in cui il sogno si avvera solo parzialmente, come una notte d’amore rubata in tenda fra sconosciuti prima del matrimonio, o come, più semplicemente, quel Sud che aspetta le sue occasioni e vede intanto la vita scivolare via.
Basilicata Coast to Coast
Regia: Rocco Papaleo
Sceneggiatura: Rocco Papaleo, Walter Lupo
Origine: Italia, 2010
Durata: 107’
1 commento:
Gran bella recensione per un film che effettivamente mi ha sorpreso. Certo non mancano certi passaggi un pò "telefonati" e qualche stereotipo da "cinema italiano" di troppo, però tutto sommato l'ho trovato un bel film che esprime alla perfezione il rapporto uomo-terra e anche la dicotomia tra passato e futuro così come scrivi benissimo nella tua analisi.
Ale55andra
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