"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 31 marzo 2008

Come l’ombra

Claudia vive a Milano un’esistenza come tante: nel tempo libero frequenta un corso di russo dove conosce Boris, supplente ucraino dai modi gentili e affascinanti, di cui si innamora. Un giorno l’uomo le chiede di ospitare per un breve periodo sua cugina Olga, appena arrivata dall’Ucraina e che non ha un posto dove dormire. Fra le due donne in breve si stabilisce un rapporto di complicità, ma un giorno Olga esce e non torna più a casa. Claudia quindi cerca di ritrovarla.


Marina Spada vive a Milano, dove insegna alla Scuola di Cinema: alle spalle ha una militanza sul set di Non ci resta che piangere e una laurea in Storia della Musica. E ha realizzato due film, Forza Cani nel 2002 e questo Come l’ombra nel 2006, presentato alle Settimane degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia. Un film piccolo, intimo, ma prezioso e folgorante, una di quelle opere che restano impresse nel cuore e nella memoria nonostante raccontino una storia quotidiana e lontana dai clamori. Come lontana dai clamori è la stessa Marina Spada, che non ha nessuna intenzione di trasferirsi a Roma per entrare nel “giro grosso” della cinematografia e sceglie come set del suo film una Milano inedita, lontana dalle facili iconografie: una città che non è un luogo iconico, ma un teatro di vita, come tanti, dove vivono persone come tante.

Una di queste è la protagonista del suo film, la cui vita è indagata con discrezione, nei suoi dolori e nei suoi piccoli momenti di felicità. Claudia è una donna sola, forse inappagata, quasi un’ombra che scivola fra le pareti del suo appartamento e le vie della città. La macchina da presa la segue a distanza, spesso ne anticipa i movimenti, descrive percorsi nella città e negli ambienti in modo affascinante, con piani sequenza molto ragionati in spazi ben definiti, stando attenta a non cadere nel facile virtuosismo. E’ partecipe delle sue emozioni, ma le lascia la possibilità di viverle nella propria intimità, ancora una volta senza clamori. La vediamo nascondersi sotto il lenzuolo, discutere con la madre e amare un uomo.

L’arrivo di Olga è allo stesso tempo una conseguenza di questa vita e una sorpresa: la ragazza infatti viene quasi forzatamente ospitata in casa da Claudia, “costretta” a darle asilo e a rinunciare per questo a una vacanza all’estero con gli amici. Il rapporto con Boris sembra così colorarsi di opportunismo, lui è sfuggente, lontano, si nega al telefono e sparisce, è un’ombra anche lui, riverbera l’illusione di un momento. Con Olga invece le cose sembrano andare bene: la ragazza è vivace e amichevole, ma anche lei discreta, è giunta da lontano per affrancarsi da una vita infelice e sogna l’Italia delle opportunità, ma non è arrivista. Claudia si trova a suo agio con lei, è contagiata dalla sua allegria, ci esce insieme, si ubriaca pur sapendo che le farà male e si diverte.

Ma un giorno Olga sparisce, come nel più classico dei luoghi comuni, affida a noi la sua immagine con uno sguardo in macchina molto vibrante e ridiventa un’ombra. Anche lei.

E’ in questo momento che Claudia cambia, decide di cercarla, di non essere più un’ombra e il viaggio alla ricerca della ragazza scomparsa è per lei anche una presa di coscienza, la spinge a non essere più in balia degli eventi, e ad affrontare quel mondo rimasto sempre un po’ fuori dalla finestra.

Il ritratto di solitudine portato avanti dal film è semplice ma mai banale e riesce a giocare con gli stereotipi dribblando le trappole del patetismo: Olga e Claudia cantano insieme “La solitudine” di Laura Pausini ma la scena ha un sapore di complicità, quasi di liberazione, nulla di artificioso. La fotografia poco contrastata, ad opera di Gabriele Basilico, è attenta a valorizzare le singole inquadrature, ed è sorretta da una musica minimale ma in grado di colpire le corde emotive. E’ la magia di un piccolo film che assomiglia a un piccolo haiku: poche parole ma in grado di sprigionare significato, come pochi sono gli elementi del film, ma in grado di illuminarlo e renderlo speciale. In questo senso non stupisce apprendere che fra le passioni di Marina Spada ci sia anche la poesia, e il titolo del film in fondo si ispira a un verso di “A molti”, scritta dalla poetessa russa Anna Achmatova nel 1922: “Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo / Come vuole la carne separarsi dall’anima / Così adesso io voglio essere scordata"

Il segreto è in fondo svelato dallo stesso Boris durante la lezione di russo, quando spiega l’origine delle parole, dimostrando la semplicità dei concetti che ci sono dietro i termini e l’agire dell’uomo: il processo compiuto dal film è lo stesso. Un tentativo di arrivare all’origine (o meglio all’essenza) dei comportamenti, secondo un’ottica non antropologica, ma empatica.

Quasi una teorizzazione di come si possano raccontare storie comuni, quelle classiche da cinema italiano radicalmente minimalista, ma in un modo sano, capace di unire testa e cuore ricordandoci che la magia del cinema è anche nelle pieghe del quotidiano.

Come l’ombra
Regia: Marina Spada
Sceneggiatura: Daniele Maggioni
Origine: Italia, 2006
Durata: 87’

Intervista a Marina Spada

1 commento:

Anonimo ha detto...

mi hai fatto venire voglia di vedere questo film. Anche a me piacciono molto le storie intimiste e minimaliste. Devo recuperarlo assolutamente e poi tornerò a dirti cosa ne penso (mettendo come postulato la mia ignoranza in materia).
Stefania