Marjane Satrapi nasce in Iran ai tempi dello Scià, è una ragazza vivace e dal carattere ribelle, amata dai familiari di mentalità progressista che si ritrovano a dover far fronte alle difficoltà portate dalla guerra con l’Iraq e dall’instaurazione della Repubblica Islamica. Mandata in Europa per poter studiare e fuggire dal clima difficile e repressivo del suo paese natale, Marjane si dimostra inquieta e incapace di accettare le proprie origini, finendo per sentirsi straniera in terra straniera. Le cose non migliorano con il ritorno a casa…
L’Iran è lontano e la visione che ne abbiamo è quella filtrata dalle consuete notizie che lo collegano inevitabilmente allo “scontro di civiltà” post-11 settembre. Ma per fortuna il cinema (anticipato, in questo caso, dal fumetto) ci offre una prospettiva nuova e particolarmente preziosa. Una prospettiva “interna” poiché Marjane Satrapi (autrice e protagonista della storia) è nata e vissuta in Iran a cavallo tra il regno dello Scià e il regime della Repubblica Islamica, e la necessità di formare un proprio punto di vista rispetto al mondo è andato di pari passo con l’obbligo di barcamenarsi in una realtà difficile, che ha visto nel tempo modificare le proprie regole. Cosa non facile se hai un carattere ribelle e attratto da modelli come Bruce Lee o gli Iron Maiden, molto distanti dalla dottrina imposta per legge.
Persepolis, in questo senso è un film sull’identità. Quella di chi finisce per sentirsi straniero in patria e non riesce nemmeno a trovare consolazione all’estero poiché non è in pace con se stesso. Ma soprattutto è un film sull’umanità. In primo luogo, infatti, è una storia che pur raccontando una realtà specifica ha caratteristiche universali. Le tappe nella vita di Marjane (la scuola, l’amore, la relazione con amici e familiari) sono raccontate con quella semplicità e empatia che ciascuno di noi può percepire: gli scherzi, anche crudeli, fatti agli amici, le delusioni del cuore, sono le stesse in ogni angolo del mondo e servono a rendere più vicina a noi una realtà sempre percepita come “altra”, ma che invece è fatta di persone che soffrono, provano emozioni, in una parola: vivono.
E poi è un film dal quale traspare una grande umanità: Marjane (narratrice) infatti non giudica la Marjane protagonista, così come antepone al giudizio storico (o politico) sul suo paese una attenta rievocazione degli stati d’animo che hanno contribuito a formare la sua personalità. Il viaggio nella Storia diventa quindi un viaggio nella memoria, volto a focalizzare le varie impressioni vissute nei vari momenti che hanno portato la ragazzina ribelle a diventare un’adolescente inquieta che rifiuta di rivelare le sue origini agli occidentali, e poi una donna alle prese con un ritorno a casa difficile, dove la repressione del regime spinge a tentare di sopravvivere dimenticando la difficoltà della situazione. Una rimozione del presente che avviene partecipando a feste clandestine, allontanandosi dalla realtà. Impagabili a questo proposito i duetti fra Marjane e Dio (e Marx) o con la nonna, certamente uno dei personaggi più incisivi.
Ma l’aspetto più interessante di Persepolis ovviamente si collega poi al concetto di messincena. Di uso espressivo del disegno, che è apparentemente semplice e perfettamente allineato a quello della graphic novel originale, riproposta fedelmente, ma con una serie di piccole variazioni volte a non appiattirsi sul già fatto per sfruttare al meglio le possibilità offerte dall’animazione. In questo senso è facile accorgersi come, pur rendendo l’invenzione visiva sempre funzionale alla storia, tanto da delegare apparentemente al dialogo ogni forza, in realtà Persepolis sia soprattutto una splendida lezione di come raccontare semplicemente con la forza delle immagini. La natura espressionista evidente nel gioco di luci e di ombre della splendida fotografia in bianco e nero è paradigmatica. Ma allo stesso tempo è notevole l’incastro di ironia e dramma, per cui ogni scena che suscita il riso conduce in maniera repentina a momenti drammatici, che strozzano la risata in gola. E lo stesso dicasi per l’intelligente uso delle musiche, pronte a regalare momenti gustosamente ironici (la scena in cui Marjane canta (stonando) “Eye of the Tiger” è già un cult) oppure a sottolineare con garbo gli stati d’animo del momento. Fino alla comparsa del colore in un presente contestualizzato nella sola cornice che apre e chiude il film, ma che vede almeno Marjane conscia dei suoi errori e pronta ad affrontare la realtà con la consapevolezza delle proprie origini e l’orgoglio del suo vissuto che l’ha resa più matura.
Premiato al festival di Cannes 2007 con il Gran Premio della Giuria, vincitore del Premio César in Francia e distribuito in Italia con lungimiranza dalla BIM, Persepolis è un capolavoro che merita assolutamente la considerazione che si è guadagnato fino ad ora. Che si sia o meno fan del fumetto originale (distribuito da Lizard Edizioni e di cui comunque si consiglia la lettura) questo è uno dei migliori film della stagione attuale.
Persepolis(id.)
Regia e sceneggiatura: Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud
Origine: Francia, 2007
Durata: 95'
Intervista a Marjane Satrapi
Sito ufficiale italiano del film
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