Akira
2019, trent'anni dopo
la Terza Guerra Mondiale. Neo Tokyo è una metropoli caotica e preda
di bande di giovani motociclisti in perenne competizione tra loro.
Durante una delle gare di strada, il giovane Tetsuo Shima si imbatte
in un bambino dal volto precocemente invecchiato. Tramortito dallo
scontro, il ragazzo viene portato via dall'esercito, agli ordini del
Colonnello Shikishima, e sottoposto a una serie di esperimenti che
risvegliano in lui dei poteri psicocinetici. Nel frattempo Kaneda, il
migliore amico di Tetsuo, si imbatte nella rivoluzionaria Kay, che
indaga sul Progetto Akira, cui sembra collegato il risveglio dei
poteri di Tetsuo. La figura di Akira, peraltro, è seguita nelle
strade da una folla che lo acclama come un Messia e attende il suo
ritorno.
Rilanciato nelle sale
grazie alla bella iniziativa di Nexo Digital, Akira ha trovato
ad attenderlo il pubblico delle grandi occasioni, composto da
spettatori di differenti età, pronti a tributare il giusto omaggio a
un titolo diventato ormai leggenda. Per molti ragazzi l'occasione è
stata quella di confrontarsi con il titolo spartiacque nella
diffusione degli anime in Occidente: alla fine degli anni Ottanta,
fra l'abbuffata di serie tv e le polemiche generate da educatori e
benpensanti, la potenza figurativa dell'opera di Otomo arrivò
infatti a zittire le voci di troppo, dimostrando come l'animazione
asiatica offrisse una forma d'arte capace di dare sfogo a
un'immaginazione potente e a un universo compatto e affascinante.
In effetti, per lo
spettatore che invece torna dopo 25 anni a confrontarsi con l'anime
culto di Katsuhiro Otomo, l'occasione è quella ideale per guardare
in faccia un percorso artistico (e personale) che ha visto l'autore
giapponese forzare continuamente i limiti dei codici precostituiti:
così come è lecito affermare che Akira non è soltanto un
grande film d'animazione, ma anche un grande film di fantascienza
tout court, allo stesso tempo siamo infatti messi di fronte
alle possibilità di un titolo che spinge la propria ricerca sempre
più in là, cercando nuovi traguardi per superarli continuamente.
Dalle filiazioni cinefile americane (Blade Runner, 1997:
Fuga da New York e i vari cascami del post-atomico), agli inserti
derivati direttamente dai traumi sepolti nel tessuto sociale del
Giappone (la Bomba atomica) si passa infatti per una tensione che
spinge al metafisico, senza dimenticare anche le possibili
implicazioni religiose.
Anche il rapporto con la
tecnologia è complesso e finemente intrecciato ai traumi e alle
emozioni dei personaggi: uno strumento affascinante, in grado di
esaltare la forza dell'individuo, ma anche un mezzo che genera dolore
e distruzione, in un mondo che non è ancora pronto all'inevitabile
salto evolutivo. L'intreccio è talmente raffinato che alla fine sono
proprio gli oggetti meccanici a riassumere meglio gli stati d'animo
dei personaggi (alquanto basilari e poco delineati): dal juke-box che
irradia direttamente la magnifica colonna sonora dai ritmi tribali di
Shoji Yamashiro, alla motocicletta potenziata che diventa l'ago della
bilancia del difficile rapporto di amicizia e rivalità tra Tetsuo e
Kaneda. Un mezzo iconico, che descrive scie luminose nell'aria, quasi
ad anticipare quella tensione lisergica destinata poi ad esplodere
negli incubi di Tetsuo e nella visione di un finale che guarda
direttamente all'irraggiungibile modello di 2001: Odissea nello
spazio.
In questo senso, Akira
è l'emblema di un cinema che tenta di spingere al massimo se stesso,
forte di una possibilità speculativa figlia di un'epoca dove la
fantascienza si faceva davvero carico di immaginare il futuro e altri
mondi. Ma è anche qualcosa di più: un'opera che guarda a ossessioni
molto personali, un monstre onnivoro (come la forma di ameba
gigante in cui si tramuta Tetsuo nel finale) che non a caso oggi non
appare datato perché la sua lezione è ancora incredibilmente
avanti, nonostante (e forse anche grazie a) una struttura narrativa
ermetica e in grado di seminare dubbi più che diffondere certezze.
Soprattutto, però, Akira
è il racconto di un'evoluzione, che si snoda nel segno di una
circolarità dove il massimo grado di elevazione dell'individuo
coincide con il suo ritorno alle origini. E' lo stesso percorso che
il film compie nella sua forma narrativa, quando, da esibizione
estatica di un mondo oppresso e tecnologicamente molto avanzato,
arriva infine alla concretezza del corpo di carne, maciullato e
deformato secondo i più puri dettami del body-horror anni
Ottanta o di quello che allora era chiamato cyberpunk, i cui
riflessi si vedono anche in opere come Tetsuo di Tsukamoto,
uscito l'anno dopo. Nel frattempo, il potere sconfinato di Tetsuo e
dei bambini/anziani (altra sintesi fra l'origine e la fine) si
accompagna a visioni ludiche, con mostri che riproducono enormi
orsacchiotti di pezza, mentre il centro di detenzione dove i
personaggi vengono studiati riflette gli scenari di un enorme parco
giochi.
Non è per questo casuale
che alla fine, una vicenda così colossale e in grado potenzialmente
di coinvolgere l'intero mondo abilmente creato, si riduca infine a un
confronto “intimo”, basato sulla rivalità di due antichi
compagni di gioco, dove la frustrazione di Tetsuo rispetto
all'amico/mentore Kaneda, riflette un rapporto capriccioso,
personale. Perché in fondo ciò che il film ci vuole dire è anche
che l'uomo possiede il potenziale per raggiungere e ricomprendere in
sé l'intero universo, ma è pur sempre la creatura debole che si
articola attraverso rapporti semplici con i propri simili, basati su
emozioni primarie: l'amore, l'amicizia, l'invidia, il rancore, il
potere.
Chi invece non vuole
scendere troppo nelle fitte trame della storia, può in ogni caso
trovare il suo comodo posto di fronte all'esperienza visiva di
un'opera visionaria e graziata da un'animazione di elevatissimo
livello tecnico: che poi è un'altra delle sublimi sintesi del film,
quella dove il massimo lavoro manuale e la ricerca di un realismo
esasperato nella coincidenza delle parole pronunciate dagli attori
con il labiale dei disegni, o con la “risposta” fisicamente
corretta dei corpi sulla Terra e nello spazio (dove non c'è suono),
si unisce a una narrazione che tende all'indefinito e prende atto
dell'impossibilità di descriverlo imbrigliandolo in una categoria
precostituita.
Akira
(id.)
Regia e sceneggiatura:
Katsuhiro Otomo
Origine: Giappone,
1988
Durata: 125'
8 commenti:
Lo vidi la prima volta diversi anni fa, alla fine non avevo ben capito se mi fosse piaciuto o no. Opera strana, definitiva eppure indefinita, spiazzante.
Mercoledi non potevo mancare, in sala è stato come la prima volta anzi, mi ha decisamente impressionato! Il lavoro sonoro-visivo è sensazionale, calcolando anche l'età del film capisci che hai di fronte un classico, perchè i Veri classici non invecchiano Mai.
Alla fine ne sono uscito scosso e ammaliato, penso di aver compreso il finale (Tetsuo arriva ad essere pura energia cosmica e quindi potenzialmente, Dio) eppure resta tutto molto ambiguo, la stessa colonna sonora esotica e mistica con i cori religiosi ad esaltare l'Avvento incute e seduce.
mi sto divulgando.. film Pazzesco, da vedere punto e basta.
bella review Davide ;)
Bel commento, che val bene il dilungarsi ;) Concordo con il turbinio di emozioni che la visione suscita!
Recensione ottima e film epocale. Anche io sono andato in sala a vederlo mercoledì scorso, e certamente sarà una delle esperienze cinematografiche più appaganti che mi porterò appresso :)
Peccato solo per il doppiaggio italiano che mostra un po' i segni del tempo... ma lamentarsene sarebbe da sciocchi! Anzi, spero vivamente che simili iniziative possano ripetersi in futuro!
Le occasioni non dovrebbero mancare: "Akira" è infatti il primo appuntamento di un ciclo di 4 proiezioni denominato "Nexo Anime". Le altre 3 saranno dedicate a produzioni più recenti ("Madoka Magica", "Evangelion" e il nuovo film di Gisaburo Sugii). E chissà che in futuro non arrivi ancora altro (io spero in "Ghost in the Shell" :-)
Il nuovo di Mamoru Hosoda, non di Sugii :)
Su Akira: rivisto poco tempo fa (non al cinema) e continuo a ritenerlo sopravvalutato tanto quanto il suo regista. Non posso non ammettere che come carisma tecnico e grafico è immenso sotto qualsiasi punto di vista, meritando di rappresentare fonte di influenza visiva per generazioni di registi e artisti di ogni media, ma continuo a reputarlo scritto dannatamente male, confusionario al massimo.
Sicuramente l'adattamento italiano dei dialoghi fa la sua parte nel renderlo tale (è davvero uno schifo, un grandissimo peccato che Dynit non abbia voluto ridoppiarlo in modo fedele come fatto ad esempio con Ghost in the Shell), ma non è tutta colpa sua. Akira è proprio una sintesi stringatissima e fin troppo densa di un fumetto discretamente complesso. In due ore di girato stanno i temi di 4 maxi volumoni da 300 pagine, una cosa assurda. Il risultato finale non poteva che essere così confusionario, e per questo Otomo ha voluto sopperire a questi problemi spingendo il pedale su ogni genere di sboroneria grafica, per farli dimenticare o passare in secondo piano. In questo realizza sicuramente un capolavoro degno di fare la Storia, ma questo per me rimane appunto un esercizio di stile e basta, per quanto milionario, epocale etc etc.
@Davide: Yeah! Prima del film infatti hanno proiettato una decina di minuti di Evangelion 3.0! Una primizia! A settembre mi ci fiondo subito!
@Jacopo: È anche vero che con le giuste chiavi di lettura il film diventa comprensibilissimo :) Mi piacerebbe tanto leggere il manga comunque...
Non servono chiavi di lettura per capire Akira, serve aver letto il manga e vedere poi il film con dialoghi fedeli (i sottotitoli dei dvd/BD Dynit). A quel punto fila tutto. Non è una storia ermetica che si apre a interpretazioni, ha un senso abbastanza chiaro solo che è stato mal reso da Otomo in fase di script. Io per primo mi rendo conto che in due ore di film non si potevano sintetizzare adeguatamente quei 4 volumoni, ma a quel punto a che pro averlo fatto? Fossi stato in Otomo li avrei semplificati molto di più per renderlo più lineare e compatto.
Rimangono le suggestioni visive che sono impressionanti, però ogni volta che lo vedo ho la sensazione di occasione un po' sprecata, di incompletezza espositiva. :(
Non metto in dubbio il suo aver fatto la Storia, bensì il fatto che sia amato ben oltre i suoi reali meriti.
Già è Hosoda... dal tratto mi ricordava Sugii, da cui l'errore.
"Akira" non è sopravvalutato.
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