"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 17 maggio 2013

Re della terra selvaggia

Re della terra selvaggia

La piccola Hushpuppy vive insieme al padre Wink nella “Grande Vasca”, una comunità bayou della Lousiana, separata dalla parte industrializzata da un muro di cinta. La gente vive una vita felice ancorché faticosa, a causa della difficile condizione in cui è costretta da un territorio ostile e spesso fustigato dalle intemperie. Proprio un uragano costringe Hushpuppy e Wink ad abbandonare la loro casa: l'uomo inoltre soffre di problemi cardiaci e cerca di insegnare alla sua piccola a essere forte e a non piangere mai. Nel frattempo, i ghiacci polari si sciolgono, liberando gli Aurochs, bestie preistoriche e antichi nemici dell'uomo.


Re della terra selvaggia è il film americano che non ti aspetti: un'opera di precari equilibri che riesce a trovare una sua dimensione con la stessa leggerezza e voglia di vivere dei suoi protagonisti rispetto al difficile territorio in cui vivono. A vederlo sembra infatti provenire da un non tempo e un non luogo, sebbene poi sia palesemente declinato al presente e riverberi la forza di un posto ben preciso. D'altra parte è la stessa particolare alchimia che gli permette di essere realistico, ma allo stesso tempo fantastico, raccontato attraverso un'estetica vérité che a tratti si trasfigura in un gioco di sfocature etereo e quasi onirico. Un film, insomma, dove i problemi realissimi legati alle intemperie, alle asperità della terra e alla caducità del corpo si stemperano nell'incedere mitico delle antiche creature che ci conducono lentamente nei territori della fiaba.

D'altra parte, la scelta di elevare Hushpuppy a protagonista del film è propedeutica a far sì che il film stesso adotti il suo punto di vista e si offra pertanto come visione del mondo ad altezza di bambino, in un misto di oggettività e desiderio, di attaccamento alla materialità della vita e, nello stesso tempo, a una perenne tensione verso l'immaginazione e il sogno. Il miracolo filmico del regista Benh Zeitlin è dato dalla capacità di organizzare in un percorso filmico coerente questa perenne incertezza attraverso cui naviga la sua giovane protagonista, il cui percorso di formazione, più che tracciare delle tappe, la porta a vivere ogni esperienza come una affascinante avventura.

In fondo, la precarietà degli equilibri su cui si regge la struttura narrativa riflette perfettamente la condizione “a metà” dei bayou, vivi eppure dimenticati da un mondo che ha eretto una barriera per tagliarli fuori dalla parte industrializzata; ma riflette anche il destino di Wink, vivo eppure morente per l'infarto che lo ha piegato (straordinaria, a tal proposito, la prova totalmente fisica dell'attore Dwight Henry), quasi una sorta di fantasma, di creatura – per l'appunto – a metà fra una morte ormai certa e una vita che non può permettersi di abbandonare per non lasciare sola la sua piccola. Non è casuale, peraltro, l'attitudine comportamentale spesso testarda, impulsiva e sopra le righe dell'uomo, che ne fa una sorta di versione “adulta” della stessa Hushpuppy: un bambino a suo modo cresciuto e che perciò riesce a stabilire con la figlia una connessione emotiva molto forte. Pertanto, Hushpuppy diventa pure una creatura quasi androgina (“Chi è l'uomo?” le chiede il padre. “Io sono l'uomo” risponde lei), sospesa appunto fra la dimensione infantile e la necessità di mostrare i muscoli, di far da sé, di diventare grande, di diventare come suo padre.

Dati questi presupposti, lo scopo di Hushpuppy non presuppone comunque la perdita della propria innocenza: la storia anzi solletica l'ipotesi che a un certo punto la comunità sia inglobata dal mondo industrializzato, salvo poi negarla con la fuga dei bayou dall'ospedale. Hushpuppy ne approfitta per cercare la madre di cui non ha quasi nessun ricordo (un altro fantasma fra i tanti che si agitano sulla scena), per ricostruire l'equilibrio con la propria storia, con il percorso iniziato prima di lei e destinato a continuare quando sarà lei a prendere in mano la situazione e a gestire gli ultimi attimi di vita del padre.

Il film compie esattamente lo stesso percorso: non ripudia l'immaginazione e il fantastico perché non lo mette in contrapposizione con il reale. I minacciosi e mitologici Aurochs sono infatti presenze la cui concretezza è affine a quella di tutte le creature che passano sullo schermo, in uno dei ritratti più materici che si ricordi da tempo: pesci, crostacei, capre, maiali, tutti parte di un'identica struttura simboleggiata dal gesto poetico della bambina che ascolta il loro cuore, che tenta di decifrare il codice del loro strano “linguaggio” cardiaco.

Un caso insomma particolarissimo, in cui è possibile sintetizzare e scindere i vari elementi che compongono la narrazione (la splendida fotografia di Ben Richardson e la poetica e potente colonna sonora di Dan Romer e Benh Zeitlin formano quasi dei personaggi a se stante), ma dove tutto si ritrova nell'insieme, in piccoli gesti e in piccoli elementi, come lo sguardo a un tempo sperduto e spavaldo di Hushpuppy (una meravigliosa Quvenzhané Wallis).

D'altra parte, non sarà un caso se, nonostante lo scenario che dipinge sia tutt'altro che roseo, Re della terra selvaggia è un film in cui viene voglia letteralmente di perdersi, per la forza meravigliosa che è in grado di trarre dai precari equilibri che lo compongono.


Re della terra selvaggia
(Beasts of the Southern Wild)
Regia: Benh Zeitlin
Sceneggiatura: Lucy Alibar e Benh Zeitlin
Origine: Usa, 2012
Durata: 93'

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