Re della terra selvaggia
La piccola Hushpuppy
vive insieme al padre Wink nella “Grande Vasca”, una comunità
bayou della Lousiana, separata dalla parte industrializzata da un
muro di cinta. La gente vive una vita felice ancorché faticosa, a
causa della difficile condizione in cui è costretta da un territorio
ostile e spesso fustigato dalle intemperie. Proprio un uragano
costringe Hushpuppy e Wink ad abbandonare la loro casa: l'uomo
inoltre soffre di problemi cardiaci e cerca di insegnare alla sua
piccola a essere forte e a non piangere mai. Nel frattempo, i ghiacci
polari si sciolgono, liberando gli Aurochs, bestie preistoriche e
antichi nemici dell'uomo.
Re della terra
selvaggia è il film americano che non ti aspetti: un'opera di
precari equilibri che riesce a trovare una sua dimensione con la
stessa leggerezza e voglia di vivere dei suoi protagonisti rispetto al difficile territorio in cui vivono. A vederlo
sembra infatti provenire da un non tempo e un non luogo, sebbene poi
sia palesemente declinato al presente e riverberi la forza di un
posto ben preciso. D'altra parte è la stessa particolare alchimia
che gli permette di essere realistico, ma allo stesso tempo
fantastico, raccontato attraverso un'estetica vérité che
a tratti si trasfigura in un gioco di sfocature etereo e quasi
onirico. Un film, insomma, dove i problemi realissimi legati
alle intemperie, alle asperità della terra e alla caducità del
corpo si stemperano nell'incedere mitico delle antiche creature che
ci conducono lentamente nei territori della fiaba.
D'altra parte, la scelta
di elevare Hushpuppy a protagonista del film è propedeutica a far sì
che il film stesso adotti il suo punto di vista e si offra pertanto
come visione del mondo ad altezza di bambino, in un misto di
oggettività e desiderio, di attaccamento alla materialità della
vita e, nello stesso tempo, a una perenne tensione verso
l'immaginazione e il sogno. Il miracolo filmico del regista Benh
Zeitlin è dato dalla capacità di organizzare in un percorso filmico
coerente questa perenne incertezza attraverso cui naviga la sua
giovane protagonista, il cui percorso di formazione, più che
tracciare delle tappe, la porta a vivere ogni esperienza come una
affascinante avventura.
In fondo, la precarietà
degli equilibri su cui si regge la struttura narrativa riflette
perfettamente la condizione “a metà” dei bayou, vivi eppure
dimenticati da un mondo che ha eretto una barriera per tagliarli
fuori dalla parte industrializzata; ma riflette anche il destino di
Wink, vivo eppure morente per l'infarto che lo ha piegato
(straordinaria, a tal proposito, la prova totalmente fisica
dell'attore Dwight Henry), quasi una sorta di fantasma, di creatura –
per l'appunto – a metà fra una morte ormai certa e una vita che
non può permettersi di abbandonare per non lasciare sola la sua
piccola. Non è casuale, peraltro, l'attitudine comportamentale
spesso testarda, impulsiva e sopra le righe dell'uomo, che ne fa una
sorta di versione “adulta” della stessa Hushpuppy: un bambino a
suo modo cresciuto e che perciò riesce a stabilire con la figlia una
connessione emotiva molto forte. Pertanto, Hushpuppy diventa pure una
creatura quasi androgina (“Chi è l'uomo?” le chiede il padre.
“Io sono l'uomo” risponde lei), sospesa appunto fra la dimensione
infantile e la necessità di mostrare i muscoli, di far da sé, di
diventare grande, di diventare come suo padre.
Dati questi presupposti,
lo scopo di Hushpuppy non presuppone comunque la perdita della propria innocenza: la storia anzi solletica l'ipotesi che a un certo punto la
comunità sia inglobata dal mondo industrializzato, salvo poi negarla
con la fuga dei bayou dall'ospedale. Hushpuppy ne approfitta per
cercare la madre di cui non ha quasi nessun ricordo (un altro
fantasma fra i tanti che si agitano sulla scena), per ricostruire
l'equilibrio con la propria storia, con il percorso iniziato prima di
lei e destinato a continuare quando sarà lei a prendere in mano la
situazione e a gestire gli ultimi attimi di vita del padre.
Il film compie
esattamente lo stesso percorso: non ripudia l'immaginazione e il
fantastico perché non lo mette in contrapposizione con il reale. I
minacciosi e mitologici Aurochs sono infatti presenze la cui
concretezza è affine a quella di tutte le creature che passano sullo
schermo, in uno dei ritratti più materici che si ricordi da tempo:
pesci, crostacei, capre, maiali, tutti parte di un'identica struttura
simboleggiata dal gesto poetico della bambina che ascolta il loro
cuore, che tenta di decifrare il codice del loro strano “linguaggio”
cardiaco.
Un caso insomma
particolarissimo, in cui è possibile sintetizzare e scindere i vari
elementi che compongono la narrazione (la splendida fotografia di Ben
Richardson e la poetica e potente colonna sonora di Dan Romer e Benh
Zeitlin formano quasi dei personaggi a se stante), ma dove tutto si
ritrova nell'insieme, in piccoli gesti e in piccoli elementi, come lo
sguardo a un tempo sperduto e spavaldo di Hushpuppy (una meravigliosa
Quvenzhané Wallis).
D'altra parte, non sarà
un caso se, nonostante lo scenario che dipinge sia tutt'altro che
roseo, Re della terra selvaggia è un film in cui viene voglia
letteralmente di perdersi, per la forza meravigliosa che è in grado
di trarre dai precari equilibri che lo compongono.
Re della terra
selvaggia
(Beasts of the
Southern Wild)
Regia: Benh Zeitlin
Sceneggiatura: Lucy
Alibar e Benh Zeitlin
Origine: Usa, 2012
Durata: 93'
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