Il labirinto delle
passioni
Patsy Brand lavora
come ballerina di rivista e si ritrova a fare da mecenate a Jill
Cheyne, giunta dalla campagna in cerca di successo e rimasta senza
denaro dopo aver subito un furto. Con scaltrezza e abilità, Jill
riesce in breve a ritagliarsi un ruolo di primo piano e ad accettare
anche le avances di un facoltoso principe: la sua vita cambia in
breve tempo e a farne le spese è il rapporto con l'eterno fidanzato
Hugh Fielding. Patsy intanto si sposa con Levett, collega di Hugh,
che però ha una relazione con un'altra donna nelle colonie inglesi
dove lavora. Quando scopre il doppiogioco del marito, Patsy decide di
lasciarlo: sul posto c'è anche Hugh, che ancora aspetta il ritorno
di Jill e che lotta contro una brutta febbre. Fra i due sboccerà
l'amore.
Le ballerine che scendono
da una scala a chiocciola, la soggettiva di uno spettatore che scruta
le ragazze con un binocolo e Patsy che respinge le attenzioni di un
ammiratore, che si complimenta per la sua chioma bionda, dimostrandogli
che si tratta soltanto di una parrucca: sebbene soltanto al primo
film, Alfred Hitchcock ha già le idee molto chiare su cosa gli
interessi, e nei pochi minuti iniziali già inanella una serie di temi
e figure retoriche che impareremo a conoscere molto bene nel suo
cinema, i motivi spiraliformi, il voyeurismo e la finzione. Con poche
inquadrature, il regista inglese descrive insomma uno spazio che è
tutto di finzione e di esteriorità esibita, ma ben diversa nella
propria sostanza. Perché solo conoscendo bene i meccanismi
dell'apparenza si può tentare di alzarne il velo e scoprire cosa c'è
sotto.
Il bello è notare come
il regista inglese già si impegni nel codificare la propria poetica
in una forma espressiva che sia forte soprattutto sul piano del
linguaggio: siamo ancora nell'epoca del muto, ma il film evita le
esasperazioni recitative tipiche del periodo, in favore di una mimica
più naturale e capace perciò di sottolineare con il giusto vigore
lo slittamento dei personaggi nelle rispettive zone oscure. Il tono
stesso della storia mira a confondere lo spettatore, la prima parte
vira soprattutto sui toni della commedia, complici le gag del
simpatico cane Cuddles (che sembra capire le psicologie altrui meglio
degli umani) e un gioco di corteggiamenti incrociati e ribaltamenti
sui concetti di ingenuità e seduzione che rendono l'insieme
variegato e incalzante, oltre che sorprendentemente leggero e
romantico. Jill in particolare si offre inizialmente in quanto
personaggio sprovveduto e idealista, giunta dalla campagna con una
lettera di presentazione e pronta a gettarsi senza rete nel mondo
dello spettacolo: quando però ne avrà l'occasione, sfoggerà una
scaltrezza e un cinismo capace di non guardare in faccia a nessuno.
Hithcock già si diverte,
insomma, a giocare con le opposizioni, sovrapponendo in più di un
caso elementi iconograficamente simili ma dai significati totalmente
opposti: ne è buon esempio la mano di Patsy che saluta il marito in
partenza dall'Inghilterra, che diventa quella dell'amante che lo
accoglie in Africa, o il salvataggio che si tramuta in annegamento. Allo
stesso tempo, la seconda parte del racconto sovverte completamente il
tono della prima, si fa più cupa e violenta, nonostante l'apertura
degli spazi dal chiuso del teatro o degli appartamenti alle lande
soleggiate delle colonie inglese in Africa. La deriva finisce per
assumere toni vagamente orrorifici o, comunque, fantastici, come
testimoniano le visioni che assalgono Levett nel finale, quando lo
spirito dell'amante morta torna a perseguitarlo e a spingerlo a
tentare di eliminare anche la moglie.
I legami sentimentali
vengono così messi alla berlina (“lei crede nell'amore?” è la
domanda che Levett rivolge a Patsy) e ogni sentimento che attraversa
la pellicola si annulla nell'opportunismo uguale e contrario che
guida le principali azioni dei personaggi. Emerge però uno spirito
di coesione che attraversa le persone più umili e che denota una
dicotomia abbastanza netta fra chi è meno abbiente e chi, invece, è
attratto dalle lusinghe del successo e del potere. Patsy viene così
aiutata dai proprietari della casa in cui vive a raggiungere l'Africa
e trova una naturale corrispondenza amorosa in Hugh, infine capace di
recidere il legame con Jill, ormai immeritevole della sua attenzione.
Siamo insomma a metà strada fra una mera ancorché efficace visione
“anticapitalista” e un percorso di formazione che Patsy deve
compiere passando attraverso il senso di colpa per non essere
riuscita a impedire la perdizione di Jill e la sofferenza per
l'inganno perpetrato da Levett ai suoi danni. Come avremo modo di
vedere anche nell'Hitchcock futuro, la salvezza è un qualcosa che va
guadagnato.
Uscito in Italia con il
titolo Il labirinto delle passioni e girato in parte proprio
nel nostro paese, il film circola oggi come Il giardino del
piacere, traduzione del titolo originale (che designa il teatro
in cui lavorano Patsy e Jill). Sebbene rappresenti l'esordio
registico di Hitchcock, la pellicola fu distribuita dopo il fortunato e successivo Il pensionante. Oggi è
tranquillamente visibile su YouTube (con didascalie in lingua
originale) essendo ormai libera dai diritti, ed è disponibile in
DVD.
All'epoca Hitchcock
veniva dalla gavetta come aiuto, e aveva alle spalle un progetto
abortito per mancanza di fondi (Number 13), oltre alla coregia
(non accreditata) di Always Tell Your Wife,
che lo aveva messo in buona luce.
Pertanto, il produttore Michael Balcon decise di puntare sul suo nome
per svecchiare un panorama in crisi e gli affido il film insieme al
successivo L'aquila della montagna, oggi purtroppo perduto.
Assistente alla regia era Alma Reville, che in seguito sarebbe
diventata la moglie e la compagna di vita dello stesso Hitchcock: a
dispetto dei legami travagliati descritti nella storia, insomma, il
lieto fine è arrivato ugualmente per tutti.
(qui sotto: la troupe de L'aquila della montagna al lavoro. Si riconoscono in basso un giovanissimo Alfred Hitchcock e, a destra, la moglie e assistente Alma Reville)
Il labirinto delle
passioni (aka Il giardino del piacere)
Regia: Alfred
Hitchcock
Sceneggiatura: Eliot
Stannard (dal romanzo di Oliver Sandys)
Origine: UK, 1925
(muto)
Durata: 60'
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