Noi siamo infinito
Charlie è al primo
anno della scuola superiore, angosciato dal doversi confrontare con
una nuova realtà e dal dover fare i conti con la sua innata
timidezza, che gli impedisce di trovare facilmente degli amici. Vuoi
per caso, vuoi per saper cogliere l'occasione giusta, riesce però a
conoscere Patrick, di certo non un "vincente", ma una persona che sa
coltivare la sua unicità e che, insieme alla sorellastra Sam e alle
amiche Mary Elizabeth e Candace forma un gruppo molto affiatato e
sognatore. Annesso alla comitiva, Charlie passa così le esperienze
tipiche dell'adolescenza, ma le forti emozioni che l'amicizia e
l'infatuazione per Sam metteranno in campo, lo costringeranno anche a
fare i conti con i traumi sepolti nel suo passato.
Seconda regia di Stephen
Chbosky (la prima era l'indipendente e inedito The Four Corners of
Nowhere), che qui adatta
il suo romanzo Ragazzo da parete,
pubblicato in Italia per Sperling & Kupfer. Il titolo
originale di film e libro è in realtà The Perks of Being a
Wallflower, ovvero “il vantaggio di essere una tappezzeria” -
inteso come un tipo timido che passa inosservato, naturalmente: una
formula che già da sola stabilisce i confini di una storia capace di
porsi immediatamente come la descrizione di una condizione
disagevole, ma anche come il racconto di una vita che sa capovolgere
le prospettive, rivelando come quella “tappezzeria” sia in realtà
un modo sghembo per inquadrare una realtà altrimenti troppo
standardizzata. “Benvenuto nell'isola dei giocattoli difettosi” è
infatti la frase-manifesto con cui Sam accoglie Charlie nel gruppo.
La storia costruisce così
un complesso sistema di riferimenti pop (a tratti viene da pensare a
una versione ancora più intimista di Super 8), ed è
attentissima a esaminare e a rendere i sentimenti messi in campo,
rispettando allo stesso tempo la struttura epistolare del romanzo
d'origine: la vicenda è infatti cadenzata dai momenti in cui Charlie
racconta i fatti scrivendo delle lettere a un amico scomparso. Ciò
che però colpisce è come l'amalgama non si appiattisca mai su
nessuno di questi elementi, mantenendo sempre una freschezza e una
vitalità in grado di far risaltare la varietà di toni della
vicenda. La sensazione è esattamente quella di un bombardamento
emotivo tipico di un'età problematica come l'adolescenza, con la sua
tendenza ad amplificare ogni sensazione. Per questo si passa senza
soluzione di continuità dal riso alla lacrima, dalla riflessione
all'entusiasmo, esattamente come il “mondo” descritto dal film si situa
fra la concretezza degli ambienti “istituzionali” (la casa, la
scuola) e quei momenti in cui i protagonisti si ritagliano degli
spazi propri, come a reinventare la realtà (l'iconica scena del
tunnel, il rituale del Rocky Horror Picture Show recitato dal
vivo).
Non stupisce perciò il
gioco dei contrasti e dei dualismi, che si fa via via più acuto: la
timidezza di Charlie si accosta all'estrema vitalità di Patrick e
Sam, l'amore adolescenziale e tenero dello stesso Charlie (che non ha
il coraggio di dichiararsi) ha un contraltare in quello “nascosto”
e problematico di Patrick per il campione di football Brad, la
sicurezza rappresentata dalla famiglia del protagonista si infrange
con il trauma legato al passato con la zia ormai scomparsa, così
come l'orgoglio violento del padre di Brad fa sponda con l'estrema
frammentazione dell'ambiente scolastico, mosso da feroci divisioni.
La struttura è a
mosaico, pur nell'estrema compattezza della vicenda, con Chbosky che
riesce a elevare il racconto a un livello che è puramente empatico e
sensoriale, dribblando le trappole imposte da una narrazione che a
tratti rischia di giocare con il sovraccarico di eventi. Pensiamo
soprattutto al pre-finale, quando si entra nel merito dei traumi che
hanno caratterizzato l'infanzia di Charlie: Chbosky è intelligente
nel porre in essere una determinata situazione, senza però insistere
troppo, giocando anche con il non detto e sfumando dove serve. Così
come solletica l'effetto nostalgia nella ricostruzione d'epoca, ma
poi non insiste con la forza iconografica del vintage, tanto che il
film – sebbene chiaramente iscrivibile in un preciso momento
storico – è poi abbastanza immune dalla carica di rimpianto che
spesso connota operazioni simili e si lascia gustare per il piacere
del racconto.
La differenza che passa
fra il più composito titolo originale e il più netto Noi siamo
infinito dell'edizione italiana rispecchia dunque la forza stessa
del film e la sua natura magmatica. Un racconto quasi “alla
francese” per il rispetto che dimostra verso la materia, nobilitato da un tris d'interpreti in stato di grazia (Logan Lerman, Ezra Miller e l'ex Hermione di Harry Potter, Emma Watson), camei di lusso (il grande Tom Savini) e, su tutto, la
capacità di trascinare lo spettatore come nel miglior cinema
americano, per una volta senza troppi facili ammiccamenti: bellissimo
e sincero, ha ottime possibilità di diventare un vero cult
generazionale.
Noi siamo infinito
(The Perks of Being a
Wallflower)
Regia e sceneggiatura:
Stephen Chbosky (dal suo romanzo)
Origine: Usa, 2012
Durata: 102'
Nessun commento:
Posta un commento