Torino 30+8
Dopo una fisiologica
flessione nella parte centrale della settimana, l'arrivo del weekend
riporta il pubblico nelle sale torinesi: ad accoglierlo ci sono
storie intime su scenari di ampio respiro, spesso mozzafiato o
intrisi dei destini della Grande Storia. Si parte dall'India, da dove
arriva I.D., di Kamal K.M. (in Concorso). Un uomo muore mentre
sta tinteggiando le pareti di un appartamento. L'inquilina cerca in
tutti i modi di conoscere l'identità dell'operaio, che fa parte dei
lavoratori a giornata e che (forse) proviene dagli slum, una delle
zone più povere del paese. Il viaggio della donna è l'occasione per
un'immersione dal sapore prima kafkiano e poi via via sempre più
ipnotico in una realtà multiforme: lo scenario tentacolare di Mumbai
si trasforma ben presto in un paesaggio apocalittico, raccontato con
sguardo curioso e tocchi di malinconia che rendono il tutto quasi magico. Ma, soprattutto, spicca una miscellanea di
suoni che trovano il loro apice nel linguaggio, un mix di indiano e
inglese, in grado di creare un effetto piacevolmente straniante.
Anche la sezione Rapporto
Confidenziale flirta con l'idea dell'apocalisse: lo fa con Fin/The
End, primo lungometraggio dello spagnolo Jorge Torregrossa, in
cui un gruppo di ex studenti si ritrova per una rimpatriata a quasi
vent'anni dalla loro ultima volta insieme. Fra loro scorrono tensioni che
affondano nelle vicende del passato, ma l'aspetto più particolare
è che strani fenomeni atmosferici stanno precipitando il mondo verso il
baratro. Le persone spariscono tutte all'improvviso e lentamente
anche il gruppo inizia a perdere pezzi. Il confronto con le
esperienze passate si rispecchia in un mondo senza futuro, in cui il
regista riflette – anche in questo caso – tanto un distorto
ideale di bellezza (il film ha a suo modo una caratura poetica)
quanto un angosciante monito a un'umanità che non è stata capace di
seminare nulla di virtuoso. Se l'impianto sembra strizzare l'occhio a serie come Ai confini delal realtà, alcuni passaggi del finale rimandano alle
cose
migliori di Narciso Ibanez Serrador, dove il fantastico è sempre lasciato sullo sfondo di un racconto dalla forte caratura umana. Nel cast
ritroviamo la splendida Maribel Verdù che già
si è fatta notare in Blancanieves
(peraltro è presente anche in una terza pellicola, Como
estrellas fugaces).
La risposta più vitale
della giornata si ritrova negli spazi angusti di un polmone
d'acciaio, quello in cui è rinchiuso il protagonista di The Sessions
(sezione Festa Mobile), dell'ex regista televisivo Ben Lewin.
Prendendo ispirazione da una storia vera, Lewin racconta
l'iniziazione sessuale di un uomo paralizzato dalla poliomelite e che
viene educato alla scoperta del proprio corpo da Cheryl (la sempre
bravissima Helen Hunt), una partner surrogata. I presupposti per un
film patetico o afflitto da forzata “carineria” c'erano tutti,
ma, anche se la struttura narrativa non si discosta molto dai canoni
di certi racconti americani contemporanei, stupisce la levità con
cui un argomento pure così spinoso viene trattato. Merito di attori
perfettamente in parte, fra cui svetta uno strepitoso William H.
Macy, prete dalla visione liberale, che bypassa splendidamente le
fobie sessuofobiche del cattolicesimo. Ne viene fuori un film
toccante, in cui – per una volta – il sesso non è
materia per umorismi pruriginosi (sebbene il tutto sia anche
divertente), ma un elemento necessario per la conoscenza di se
stessi, uno di quegli fattori che rendono la vita complessa e
affascinante.
D'altra parte, che il
mondo sia un posto difficile, arriva a ricordacelo Shadow Dancer
(ancora Festa Mobile), di James Marsh, che ci fa tornare ai
conflitti in Irlanda del Nord, attraverso la vicenda di un'attivista
dell'IRA costretta a collaborare con i servizi segreti britannici e a
rivelare i traffici in cui sono invischiati i suoi fratelli.
Diversamente ne farebbe le spese il figlioletto. Il suo contatto con
le autorità è il redivivo Clive Owen, tenuto a bada da una
irreprensibile direttrice che ha le fattezze di Gillian Anderson, la Scully
di X-Files qui in inedita versione bionda. La materia è
ottima per il potenziale drammatico che potrebbe esprimere, fra
intrecci di potere, reminiscenze di un periodo storico difficile e
dinamiche umane e familiari che pesano sulle azioni dei personaggi. Ma, nonostante i colpi di scena finali, il risultato
è debole e poco incisivo, e trasmette il sapore di un'occasione sprecata. Idealmente lo si può comunque ricollegare alle atmosfere di Call Girl e di Good
Vibrations, visti nei giorni passati, con cui può
formare un'ideale trilogia a cavallo fra complotto e società allo
sbando.
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