"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 19 dicembre 2012

Maniac

Maniac

Frank Zito è un serial killer: il suo obiettivo sono giovani donne che, in una visione distorta del mondo, gli ricordano la madre con cui, da piccolo, aveva un rapporto difficile, fatto di gelosie e maltrattamenti. Frank le tallona, le assale e le scotenna, per poi usare i loro capelli per decorare i manichini che custodisce in casa. La sua vita sembra però prendere una svolta dopo l'incontro con Anna, una fotografa di modelle con cui inizia a instaurare una relazione apparentemente priva di problemi. Ma i demoni interiori torneranno a farsi sentire...


L'omicidio iniziale della coppia sulla spiaggia sancisce immediatamente i canoni di una dinamica slasher da cui un film come Maniac naturalmente discende. Allo stesso tempo, però, il successivo giro in città di Frank Zito, con relativo abbordaggio di una prostituta, sembra molto più vicino alle atmosfere decadenti di un Taxi Driver che ai vari Venerdì 13. Il film in fondo si ritrova in questa dinamica del doppio passo: da un lato si offre come un testo interessato al confronto diretto con l'horror coevo, dall'altro come un cascame dei racconti di alienazione metropolitana all'epoca portati avanti da registi come Michael Winner o Martin Scorsese.

D'altra parte, bisogna anche considerare la diversa estrazione degli artefici: William Lustig all'epoca aveva un trascorso nel cinema hard e, da conoscitore e cultore del cinema di genere, doveva essere probabilmente più ispirato dalla prima delle due possibilità (elaborare i codici dello slasher). La sua mano si avverte anche in alcuni tocchi propriamente splatter, come la celebre fucilata al malcapitato automobilista (interpretato non casualmente da un volto cult dell'horror come Tom Savini, anche autore degli FX) o la “resurrezione” finale della madre di Frank, una figura che sembra uscita dai vicini zombie-movie di Lucio Fulci (in particolare Zombi 2).

Joe Spinell, che del film è interprete, autore del soggetto e co-sceneggiatore, veniva invece da un cinema più “impegnato”, il suo volto butterato aveva fatto capolino nelle saghe del Padrino, di Rocky e nel già citato Taxi Driver. L'aspetto più intrigante del film diventa quindi questa continua dialettica alto/basso che si ritrova anche nella particolare forma cinematografica: si passa infatti dal dilettantismo di alcuni momenti - figli, evidentemente, della fretta con cui si dovettero girare molte scene, essendo la troupe mancante di permessi - a scene che invece riescono a centrare magnificamente la poesia malsana del soggetto. Lustig immerge lo spettatore nella mente del mostro, attraverso autentiche soggettive associate che, con il solo uso espressivo del grandangolo, riescono a portare la storia su binari allucinati. L'attitudine malsana del testo si stempera così in una visionarietà malinconica, che lascia intravedere un minimo barlume di speranza nella storia con Anna.

In mezzo c'è il corpo ingombrante e magnificamente laido di Joe Spinell, che disegna un killer ributtante e feroce e che riesce a esprimere la forza del suo personaggio con la sola fisicità, più che con i monologhi o le azioni. Con il senno di poi, è possibile vedere nella forza espressiva garantita dalla semplice potenza iconica dell'attore uno scampolo di una possibile poetica sul potere dell'immagine, che diventerà effettivamente predominante nei decenni a venire. Non appare dunque casuale che il film chiami in causa molto spesso l'arte, con la decorazione dei manichini, Frank che si presenta come un pittore e Anna che è una fotografa. Sebbene il film motivi l'ossessione del protagonista per i manichini come un tentativo di “fermare” la bellezza perduta delle donne in cui rivede l'amata/odiata madre, è parecchio intrigante pensare che sottotraccia si nasconda una critica alla “plastificazione” dell'immaginario che sempre più negli anni a venire trasformerà l'immagine femminile (in particolare quella fotografica) in grottesche creature inanimate, prive di ogni imperfezione esteriore. Non è dato sapere quanto Lustig fosse consapevole, ma il suo Frank Zito è stato il primo esponente di una battaglia estetica combattuta sul corpo delle donne.

Al di là di questi possibili livelli secondari di lettura, il film funziona anche se preso semplicemente per quello che é. Lustig, infatti, cerca di andare al di là della semplice coazione a ripetere degli omicidi: in particolare, la morte della modella si fa notare per il momento in cui Frank, dopo aver pugnalato la vittima, si muove sul suo cadavere mentre il sangue che fuoriesce dalla ferita descrive una grottesca parodia dell'amplesso, resa ancor più oscena dal discorso incestuoso che coinvolge il personaggio. E' interessante notare come la dinamica eros/tanatos posta in essere dal film trovi la sua realizzazione soprattutto nell'espressione dell'atto violento: per il resto, infatti, il film è insolitamente privo di componenti pruriginosi, anche laddove coinvolge direttamente il nudo femminile o il sesso. Lustig, suo malgrado, esplicita la tensione celibe dell'horror e in questo trova sponda nel suo protagonista, arrivando a comprenderne i disturbi della sfera sessuale, che non sono figli dell'impotenza fisica, ma di una dinamica tutta mentale.

Tutte le direttrici confluiscono poi nel magnifico finale che segna la saldatura tra realtà e finzione, tra dimensione soggettiva e realtà oggettiva, sposando definitivamente l'idea dell'amore che si fa morte e della forza violenta che diventa anche atto di possessione fisica. Il momento, potentissimo a livello emotivo e visivo, segna anche la perfetta sovrapposizione fra la due nature del film, quella più interessata alla pura dinamica horror e quella che focalizza invece la sua attenzione sul senso di solitudine di un uomo ormai prigioniero delle sue ossessioni. Anche per questo, la sorte di Frank sembra quasi porsi come un rovesciamento del massacro salvifico perpetrato da Travis Bickle in Taxi Driver.

Il film è considerato oggi un classico nella trattazione dei serial killer (in netto anticipo rispetto ai più noti American Psycho, Assassino senza colpa, Manhunter o Henry: Pioggia di sangue): pare che Spinell abbia lottato per anni per realizzare un sequel, salvo morire dopo essere riuscito solo a girare un promo reel. William Lustig si vede in un cameo come addetto alla reception dell'hotel dove Frank si incontra con la prostituta.


Maniac
(id.)
Regia: William Lustig
Sceneggiatura: C.A. Rosenberg, Joe Spinell (soggetto di Joe Spinell)
Origine: Usa, 1980
Durata: 83'

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