Maniac
Frank Zito è un
serial killer: il suo obiettivo sono giovani donne che, in una
visione distorta del mondo, gli ricordano la madre con cui, da
piccolo, aveva un rapporto difficile, fatto di gelosie e
maltrattamenti. Frank le tallona, le assale e le scotenna, per poi
usare i loro capelli per decorare i manichini che custodisce in casa.
La sua vita sembra però prendere una svolta dopo l'incontro con
Anna, una fotografa di modelle con cui inizia a instaurare una
relazione apparentemente priva di problemi. Ma i demoni interiori
torneranno a farsi sentire...
L'omicidio iniziale della
coppia sulla spiaggia sancisce immediatamente i canoni di una
dinamica slasher da cui un film come Maniac
naturalmente discende. Allo stesso tempo, però, il successivo giro
in città di Frank Zito, con relativo abbordaggio di una prostituta,
sembra molto più vicino alle atmosfere decadenti di un Taxi
Driver che ai vari Venerdì 13. Il film in fondo si ritrova in questa dinamica del doppio
passo: da un lato si offre come un testo interessato al confronto
diretto con l'horror coevo, dall'altro come un cascame dei racconti
di alienazione metropolitana all'epoca portati avanti da registi come
Michael Winner o Martin Scorsese.
D'altra parte, bisogna
anche considerare la diversa estrazione degli artefici: William
Lustig all'epoca aveva un trascorso nel cinema hard e, da conoscitore
e cultore del cinema di genere, doveva essere probabilmente più
ispirato dalla prima delle due possibilità (elaborare i
codici dello slasher). La sua mano si avverte anche in alcuni
tocchi propriamente splatter, come la celebre fucilata al malcapitato
automobilista (interpretato non casualmente da un volto cult
dell'horror come Tom Savini, anche autore degli FX) o la
“resurrezione” finale della madre di Frank, una figura che sembra
uscita dai vicini zombie-movie di Lucio Fulci (in particolare Zombi
2).
Joe Spinell, che del film
è interprete, autore del soggetto e co-sceneggiatore, veniva invece
da un cinema più “impegnato”, il suo volto butterato aveva fatto
capolino nelle saghe del Padrino, di Rocky e nel già
citato Taxi Driver. L'aspetto più intrigante del film diventa
quindi questa continua dialettica alto/basso che si ritrova anche
nella particolare forma cinematografica: si passa infatti dal dilettantismo
di alcuni momenti - figli, evidentemente, della fretta con cui si
dovettero girare molte scene, essendo la troupe mancante di permessi
- a scene che invece riescono a centrare magnificamente la poesia
malsana del soggetto. Lustig immerge lo spettatore nella mente del
mostro, attraverso autentiche soggettive associate che, con il solo
uso espressivo del grandangolo, riescono a portare la storia su
binari allucinati. L'attitudine malsana del testo si stempera così
in una visionarietà malinconica, che lascia intravedere un minimo
barlume di speranza nella storia con Anna.
In mezzo c'è il corpo
ingombrante e magnificamente laido di Joe Spinell, che disegna un
killer ributtante e feroce e che riesce a esprimere la forza del suo
personaggio con la sola fisicità, più che con i monologhi o le
azioni. Con il senno di poi, è possibile vedere nella forza
espressiva garantita dalla semplice potenza iconica dell'attore uno
scampolo di una possibile poetica sul potere dell'immagine, che
diventerà effettivamente predominante nei decenni a venire. Non
appare dunque casuale che il film chiami in causa molto spesso
l'arte, con la decorazione dei manichini, Frank che si presenta come
un pittore e Anna che è una fotografa. Sebbene il film motivi
l'ossessione del protagonista per i manichini come un tentativo di
“fermare” la bellezza perduta delle donne in cui rivede
l'amata/odiata madre, è parecchio intrigante pensare che
sottotraccia si nasconda una critica alla “plastificazione”
dell'immaginario che sempre più negli anni a venire trasformerà
l'immagine femminile (in particolare quella fotografica) in
grottesche creature inanimate, prive di ogni imperfezione esteriore.
Non è dato sapere quanto Lustig fosse consapevole, ma il suo Frank
Zito è stato il primo esponente di una battaglia estetica combattuta
sul corpo delle donne.
Al di là di questi
possibili livelli secondari di lettura, il film funziona anche se
preso semplicemente per quello che é. Lustig, infatti, cerca di
andare al di là della semplice coazione a ripetere degli omicidi: in
particolare, la morte della modella si fa notare per il momento in
cui Frank, dopo aver pugnalato la vittima, si muove sul suo cadavere
mentre il sangue che fuoriesce dalla ferita descrive una grottesca
parodia dell'amplesso, resa ancor più oscena dal discorso incestuoso
che coinvolge il personaggio. E' interessante notare come la dinamica
eros/tanatos posta in essere dal film trovi la sua realizzazione
soprattutto nell'espressione dell'atto violento: per il resto,
infatti, il film è insolitamente privo di componenti pruriginosi,
anche laddove coinvolge direttamente il nudo femminile o il sesso.
Lustig, suo malgrado, esplicita la tensione celibe dell'horror e in
questo trova sponda nel suo protagonista, arrivando a comprenderne i
disturbi della sfera sessuale, che non sono figli dell'impotenza
fisica, ma di una dinamica tutta mentale.
Tutte le direttrici
confluiscono poi nel magnifico finale che segna la saldatura tra
realtà e finzione, tra dimensione soggettiva e realtà oggettiva,
sposando definitivamente l'idea dell'amore che si fa morte e della
forza violenta che diventa anche atto di possessione fisica. Il
momento, potentissimo a livello emotivo e visivo, segna anche la
perfetta sovrapposizione fra la due nature del film, quella più
interessata alla pura dinamica horror e quella che focalizza invece
la sua attenzione sul senso di solitudine di un uomo ormai
prigioniero delle sue ossessioni. Anche per questo, la sorte di Frank
sembra quasi porsi come un rovesciamento del massacro salvifico
perpetrato da Travis Bickle in Taxi Driver.
Il film è considerato
oggi un classico nella trattazione dei serial killer (in netto
anticipo rispetto ai più noti American Psycho, Assassino
senza colpa, Manhunter o Henry: Pioggia di sangue):
pare che Spinell abbia lottato per anni per realizzare un sequel,
salvo morire dopo essere riuscito solo a girare un promo reel.
William Lustig si vede in un cameo come addetto alla reception
dell'hotel dove Frank si incontra con la prostituta.
Maniac
(id.)
Regia: William Lustig
Sceneggiatura: C.A.
Rosenberg, Joe Spinell (soggetto di Joe Spinell)
Origine: Usa, 1980
Durata: 83'
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