Torino 30+9 (+1)
Come una partita che
giunge ai tempi supplementari, la domenica permette spesso di
recuperare i titoli che si sono perduti durante i 9 giorni di
programmazione del Torino Film Festival (che dall'esterno possono sembrare molti, ma in
rapporto alle tante pellicole passate sugli schermi bastano a
malapena a coprire una bassa percentuale dell'offerta). Quest'anno,
il Cinema Massimo ha dedicato la giornata a riproporre i film
premiati, e l'occasione si è rivelata quella giusta per vedere
Shell, di Scott Graham, vincitore, per l'appunto, della
categoria principale, ovvero il Concorso Lungometraggi.
L'opera batte bandiera
scozzese e si ambienta non a caso nello splendido paesaggio delle
Highlands, che l'occhio di Graham riprende con particolare gusto,
lasciando trasparire la forza imponente nota a chiunque abbia mai
avuto a che fare con quei luoghi, senza però dimenticare quella
qualità un po' aliena e ieratica, tipica di un angolo di mondo che
sembra fare storia a sé. Qui vive
Shell, una ragazza che, insieme al padre Pete, gestisce una pompa di
benzina in mezzo al nulla. Le sue giornate trascorrono fra clienti
talmente sporadici da esserle ormai familiari e un rapporto con il
genitore che più volte sembra sfiorare la morbosità. Sebbene la
possibilità dell'incesto venga esplicitata soltanto nel finale, per
quasi tutta la sua durata il film suggerisce più che altro una
condizione di immobilismo temporale che “blocca” la ragazza in
una condizione infantile, come una bambina in un corpo di adulta e
che perciò la spinge a cercare gesti d'affetto spontanei o a nascondersi nel letto
paterno in cerca di calore, quando la caldaia si rompe. Il nome
Shell, infatti, rimanda tanto a una nota marca di benzina (e quindi
definisce l'attività lavorativa) quanto al “guscio” nel quale il
personaggio è prigioniero, e che si lega al paesaggio immutabile
delle Highlands. Sentimenti ambivalenti e opposti, che più di tutto
sono sintetizzati dalla splendida figura della protagonista Chloe
Pirrie, in grado di unire un'aria quasi impermeabile agli stimoli esterni, a
una capacità di risultare estremamente desiderabile nella sua
vulnerabilità. Un film di luoghi e di corpi, dunque, che affascina
la mente più che appassionare il cuore, complice una struttura
narrativa esilissima, tanto da far sorgere a tratti il sospetto di
una pellicola abbastanza “facile” nella sua composizione e nella
sua ricercata lentezza. Amata dalla giuria (che l'ha premiata
all'unanimità) e dal pubblico, la si ricorderà comunque per il
rumore costante del vento e quella ricerca del calore che,
nell'ultimo cortocircuito sensoriale generato dal festival, si
sovrappone alle temperature bassissime che da poco hanno iniziato a
flagellare il capoluogo piemontese. Come realtà e finzione (e quindi
vita e cinema), che ancora una volta si mescolano a formare un
tutt'uno.
I resoconti giornalieri
terminano qui, fra un paio di giorni – a mente più fredda – ci
sarà un'ultima riflessione generale sul festival, mentre nelle
prossime settimane il Nido dedicherà degli appuntamenti specifici ai titoli più interessanti.
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