Torino 30+7
Gli anni Settanta sono
stati il miglior decennio del XX secolo e il Torino Film Festival è
lì a ribadirlo: un periodo turbolento, magmatico, che già
presentava tutti i segni della crisi della modernità, eppure era un
fermento continuo di creatività e nuovi furori. Tre film della
settima giornata è come se sintetizzassero queste affermazioni
attraverso una trattazione a tutto campo dei “favolosi Seventies”.
Si parte con l'ottimo
Call Girl, di Mikael Marcimain (in Concorso), che racconta il clima nella
Svezia del 1976, divisa fra la lotta per la parità dei sessi (portata avanti dai
partiti progressisti) e il giro di prostituzione che arrivava ai
livelli più alti dello stato, coinvolgendo proprio i paladini dei diritti civili, smascherati nella loro solenne ipocrisia. Il tutto è raccontato
attraverso la vicenda di due minorenni, finite nel meccanismo
stritolatore a base di sesso, denaro, cocaina e tentativi delle
autorità di insabbiare tutto. Che la nazione nordica avesse i suoi
scheletri dell'armadio - in piena opposizione al ritratto edulcorato
che si è propagandato per decenni - non è una novità: basterebbe
citare i romanzi di Stieg Larsson, riferimento inevitabile anche
per la figura del detective solitario che si batte per portare il
marcio allo scoperto. La struttura si muove dunque fra una parte più
intimista e fortemente empatica nei confronti delle ragazze, e
dinamiche più spettacolari e di ampio respiro, che rendono la
progressione incalzante (memorabile lo score vagamente carpenteriano)
e il finale nichilista ancora più duro da digerire. Da
segnalare la performance della sempre magnifica Pernilla August, qui
nel ruolo della “matrigna” che tira le fila del mercato del
sesso.
Basta poi spostare lo
sguardo dall'altra parte dell'Europa per ritrovarci nell'Irlanda del
Nord scossa dalle divisioni fra cattolici e protestanti, al limite della guerra civile. In questo
scenario, un giovane idealista di nome Terri Hooley apre il suo
soprendente negozio di dischi, Good Vibrations, che è anche
il titolo del film di Lisa Barros D'Sa e Glenn Leyburn (in Festa Mobile). L'attività,
infatti, diventa la culla del movimento punk rock di Belfast, che
il film presenta come una valvola di sfogo dalle tensioni sociali
dell'epoca e come una iniezione di vitalità e divertimento in un
mondo squarciato. Good Vibrations e il piccolo mondo di Terri,
infatti, diventano un'oasi in cui le divisioni politiche vengono
superate in nome del fermento creativo portato dalla nuova tendenza
musicale. I due registi lavorano sulle dinamiche della commedia per
restituire il clima di euforia e rischiano la carta dell'eccessiva
edulcorazione (sebbene non nascondano mai il difficile scenario sociale).
Pur con i distinguo del caso si resta così affascinati dalla vicenda
e dallo splendido panorama musicale descritto. Il pubblico accoglie
con scroscianti applausi.
Dunque il fermento
culturale dei Seventies è acclarato, la disgregazione politica e
sociale anche: a completare il quadro ci pensa un classico come La
rabbia giovane di Terrence Malick, presentato nella sezione Figli e
Amanti (dove è stato scelto da Daniele Vicari e Michele Riondino) e
che appare in perfetta continuità con il discorso sin qui seguito.
La vicenda dei due ribelli senza causa Kit e Holly mostra infatti già
tutti i segni del percorso d'autore di Malick, ma con un forte
precipitato politico per come le imprese assassine dei due riflettono
i disordini umani, materiali e sociali dei Seventies. Il decennio, in fondo, è tutto qui: nella tenerezza dei due amanti, nel romanticismo di un viaggio che è anche un recupero del rapporto con la natura in opposizione alla città, negli scenari mozzafiato delle Badlands e nella violenza immotivata e senza scampo dei giovani in fuga senza una meta. Un film a suo modo necessario e definitivo.
Si chiude con un progetto
del tutto diverso e fuori da ogni possibile collocazione temporale:
la sezione Onde ci porta infatti Invisible, di Victor Iriarte,
racconto di un film di vampiri che... non esiste. La storia è
infatti illustrata attraverso sintetiche didascalie su fondo nero,
suoni, frammenti di dialogo e, in parallelo, le prove in sala di
registrazione di Maite Arroitajuaregi, intenta a creare la colonna
sonora con l'ausilio di incredibili performance vocali e vari
strumenti. Dunque allo stesso tempo un'operazione che mette lo
spettatore nella condizione di dover immaginare un film letteralmente
invisibile, unita al processo creativo dell'unica componente non
visiva della pellicola: la banda sonora. Un esperimento pertanto
radicale, ma anche immaginifico e poetico, con cui risulta
interessante confrontarsi.
Call Girl - trailer
Good Vibrations su Facebook
La rabbia giovane - trailer
Invisible - trailer
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La rabbia giovane - trailer
Invisible - trailer
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