Maniac (2012)
Frank Zito è un
serial killer: abborda giovani donne, casualmente o dando loro
appuntamento via chat, per ucciderle e scotennarle, e con i loro
capelli decora i manichini del suo laboratorio. A guidarlo sono i
traumi provocati da un rapporto difficile con la madre, ormai
defunta, e che si divertiva a provocarlo passando da un amante
all'altro, quando non lo puniva. Frank agisce come in preda a un
disturbo bipolare della personalità, che si manifesta attraverso
forti emicranie. Un giorno, però, alla sua porta bussa Anna, una
fotografa affascinata dai manichini esposti nel laboratorio: la
ragazza inizia una relazione con lui e lo coinvolge nei suoi
successi, ma infine Frank non riuscirà a nascondere la sua vera
natura.
Come già si
è scritto da queste parti, il nuovo Maniac,
più che un semplice remake è un film che rende merito all'idea di
re-imagining. Ci riesce perché, nel rimettere in scena la
storia di Frank Zito, le fa compiere il doveroso passo in avanti,
evolvendo e sviluppando alcune idee presenti in nuce nel prototipo
di William Lustig. Gli sceneggiatori
Alexandre Aja e Gregory Levasseur, infatti, optano per una struttura
più forte rispetto all'originale, complice una dimensione produttiva
più solida che permette un maggior lavoro di pianificazione:
inoltre, forti del senno del poi, i due - di concerto con il regista
Franck Khalfoun - riescono ad affrancare l'operazione dalla semplice
ricognizione sui codici dello slasher, per abbracciare in
pieno il concept dell'alienazione metropolitana e del disagio
del protagonista, qui più evidentemente affetto da un disturbo
bipolare della personalità.
Non che manchi la
violenza, fortissima anzi nelle scene in cui Frank scotenna le sue
vittime, ma stavolta si ha più la sensazione di un bilanciamento fra
l'affidarsi alla semplice forza espressiva della rappresentazione
della morte e la dimensione interiore del killer. Quest'ultimo
aspetto, infatti, sebbene già presente nel prototipo, assume
maggiore centralità attraverso le forti emicranie che colgono Frank
all'improvviso, quasi a voler costituire un monito nei suoi
confronti: all'atto pratico, i dolori gli impediscono quindi di
fuggire dal destino di morte che l'uomo si è tracciato,
condannandolo alla perenne reiterazione degli omicidi.
Pertanto, la sua continua
ricerca di una compagna, non risulta subordinata unicamente al
bisogno di soddisfare la propria sete assassina, ma al contrario al
desiderio di crearsi una possibilità che gli permetta di spiccare
finalmente il volo verso un nuovo futuro. Di qui anche la dialettica
visiva che il film chiama in causa con l'uso felice della soggettiva
assoluta. Lo spettatore “vede” il mondo dal punto di vista di
Frank, ma allo stesso tempo il personaggio riflette la sua doppiezza
a volte “uscendo” dalla dimensione in prima persona, come se si
“vedesse dall'esterno”. Il regista Frank Calkhoun non scioglie
mai la riserva se questi momenti siano subordinati alla semplice
logica spettacolare (inquadrare i delitti “dal di fuori” per
renderli graficamente più potenti) oppure per sottolineare proprio
l'estraneità del Frank “interiore” rispetto a quello esteriore:
l'ambiguità è infatti un altro degli aspetti interessanti
dell'operazione, e trova il suo punto di forza nell'aspetto
rassicurante di Elijah Wood, qui preferito alla prepotente fisicità
di un Joe Spinell.
Ci sono alcune
concessioni al marketing e al fandom: gli eccessivi rispecchiamenti
su superfici riflettenti per inquadrare il volto di Wood, o la scena
in cui lo vediamo dal collo in giù con i capelli della sua vittima
in mano, come nella locandina del Maniac originale; ma, a
parte questi isolati aspetti, il film che ci si para davanti è
crudele, compatto e sfaccettato, e la sua dialettica con il
precursore si ritrova principalmente nel tentativo di recuperare un
rapporto “dal basso” con la città, fatta di notti al neon,
musiche e tinte cupe e ossessive. Partendo da questa struttura, il
film si innalza secondo una logica che è più verticale che
orizzontale, dove troviamo lussuosi appartamenti con ampie finestre
sul panorama cittadino e un generale senso di ariosità che crea un
felice contrasto con le discese di Joe Spinell nelle viscere della
metropolitana.
La battaglia diventa
quindi ancora una volta estetica: in questo modo il nuovo Maniac
porta a definitivo compimento quel processo di riqualificazione e
“plastificazione” dell'immaginario che, dai tempi del film di
Lustig, è giunto alle dinamiche “digitali” dell'epoca odierna.
Ecco dunque le chat attraverso le quali ci si conosce via foto e
tutta la dinamica dei corpi femminili tatuati, mascherati in ruoli
ben definiti (la ballerina, la fotografia, l'agente dai modi
bruschi), che trova poi la sua rappresentazione ideale nei manichini
di Frank. Non a caso stavolta Anna smette di fotografare corpi reali
e utilizza invece le statue restaurate dallo stesso Frank, rendendo
in questo modo il legame fra i due più pertinente alla storia e
avvicinando i personaggi. Li vediamo infatti anche in momenti intimi,
come quando vanno al cinema insieme, e in generale la loro relazione
ha un peso specifico molto maggiore rispetto al film di Lustig.
C'è poi un altro punto
di differenza fondamentale rispetto al prototipo: la rappresentazione
delle donne e della violenza che Frank infligge loro è stavolta più
consapevole del suo potenziale pruriginoso e della dinamica di
desiderio/punizione che si genera con lo spettatore. Il mondo del
“nuovo” Frank è infatti attraversato e retto da donne
bellissime, intraprendenti e sicure della propria fisicità, di
fronte alle quali il protagonista è “timido”: l'agguato diventa
quindi una traslazione del desiderio che l'uomo (e lo spettatore)
prova per loro, rendendo il tutto molto più ambiguo.
L'esito è perciò se
vogliamo meno allucinato e malsano, ma più lirico nella sua
potenzialità malinconica. E le punizioni che Frank infligge alle sue
vittime fanno forse ancora più male, in particolare se a farne le
spese sono creature angeliche come l'Anna di Nora Arnezeder, dotata
di una gamma espressiva che la vede insieme forte e fragile,
esattamente come accade con Frank. Di fronte a un ritratto così
composito, l'idea di un ipotetico lieto fine (che il film accarezza,
pur negandola alla prova dei fatti) non spaventa così tanto, ma anzi
diventa quasi una allettante possibilità.
UPDATE: uscito in Italia direttamente nel mercato dell'home video il 28 Maggio 2014.
Maniac
(id.)
Regia: Franck Khalfoun
Sceneggiatura:
Alexandre Aja, Grégory Levasseur
Origine: Usa, 2012
Durata: 93'
3 commenti:
bella recensione, posterai anche lords of salem?
JOE
Sì, ma sono indeciso se farlo subito o in prossimità dell'uscita italiana...
Uscita ancora incerta dato che la Notorius aveva detto che sarebbe uscito day& date con gli USA quindi il 26 aprile, oggi vado nel loro sito e vedo che c'è scritto che uscirà il 23 maggio :-(
Mah, valli a capire sti distributori...
Su Maniac, si ottima rece e non vedo l'ora di vedere il film, anche perchè l'originale, ammetto, non mi fa impazzire, si è un valido horror, ma di Lustig preferisco una certa trilogia su un certo poliziotto eh eh ;-), questo nuovo Maniac ha un trailer sconvolgente e sembra davvero essere un horror/thriller crudo e spietato come piace a me ;-)
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