"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 14 settembre 2011

Super 8

Super 8

1979. Il piccolo Joe resta improvvisamente orfano di madre, morta per un incidente sul posto di lavoro: suo padre Jackson ritiene responsabile del lutto Louis Dainard, che era arrivato ubriaco in fabbrica e per questo era stato sostituito dalla donna. Qualche mese dopo, Joe si dedica al film horror in Super 8 che l'amico Charles sta girando con grande passione, e nel quale è stata coinvolta anche Alice, la figlia di Dainard, di cui lo stesso Joe è segretamente invaghito. Durante una notte di riprese presso la stazione ferroviaria, i ragazzi sono così testimoni di uno spaventoso incidente, provocato dal dottor Woodward, che fa deragliare il treno e poi intima ai ragazzi di non raccontare a nessuno cosa hanno visto. Ben presto le cause del folle gesto iniziano a chiarirsi quando una misteriosa creatura inizia ad aggirarsi per la zona, mentre l'esercito impone il coprifuoco in città.


La prospettiva più esaltante è sottrarre finalmente il genio di J. J. Abrams ai contorcimenti narrativi delle sue invenzioni televisive, per vedere piuttosto in lui un autore completo e capace di instaurare una proficua dialettica con l'immaginario cinematografico degli ultimi trent'anni. Se infatti Mission Impossibile III rappresentava un tentativo ambizioso e non del tutto riuscito di ibridare il format della classica spy-story con le strategie narrative di Alias, ben più interessante si era rivelato l'esperimento di rivitalizzare le coordinate dell'universo di Star Trek attraverso un approccio che guardava direttamente alle epopee spaziali di George Lucas. Non appare pertanto peregrino il fatto che un gioiello come Super 8 innesti una vicenda che presenta echi da Cloverfield (che Abrams stesso aveva prodotto) su un'architettura visiva e tematica che si rifà direttamente allo Steven Spielberg d'annata.

L'operazione compiuta da Abrams diventa pertanto ricognizione filologica su uno stile che è contemporaneamente memoria condivisa e forza propulsiva di un cinema ritenuto evidentemente come modello imprescindibile per leggere tanto il reale quando la fantasia che da esso deriva. Siamo ai confini del manierismo, laddove il regista non solo riproduce con fedeltà intere inquadrature di E.T. o Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma addirittura lavora con la macchina da presa per conferire a ogni passaggio una natura avvolgente, girando intorno ai protagonisti, come ad abbracciarli, ma anche come a voler riprodurre a livello visivo l'effetto della rotazione della pellicola nel caricatore della cinepresa Super 8.

La bravura dimostrata dall'autore sta tutta nel saper sfruttare simili elementi mantenendo sempre un rapporto empatico e non strettamente teorico con i personaggi, indagati nelle proprie emozioni e utili a riflettere spielberghianamente l'idea di una comunità articolata, anche divisa, ma capace di dare vita a una comunione d'intenti. Abrams riflette questo proposito da un lato nelle difficoltà sopportate dai ragazzi per portare a termine il loro film, dall'altro nella strenua battaglia dell'alieno contro le forze che vogliono impedirgli di portare a termine la sua missione e che non a caso operano nell'inganno e nel silenzio.

Al pari dei misteriosi cubi che servono a formare l'astronave della creatura (e che sembrano guardare anche a Transformers), il lavoro che Abrams svolge di concerto con i suoi personaggi è quello di recuperare gli elementi primari della mitopoiesi e del sense of wonder, cioè quelli del cinema e, in ultima istanza, della realtà. Si tratta di un lavoro sotto molti aspetti artigianale e ammantato dall'evidente soddisfazione del fare, che si riverbera in un tripudio di elementi materici (il caricatore di pellicola, la cinepresa, i modellini, i trucchi e le vernici di Joe) ma anche di una certa caratura immateriale che affonda naturalmente in inquietudini più profonde, al pari di quanto i film spesso chiamati in causa (in particolare gli invasion-movie dei Cinquanta) facevano con le isterie collettive, filtrate attraverso lo schematismo dei B-movie. Oggi, più che alle paure dei russi o ai complotti militari, pure chiamati in causa con forza, dobbiamo guardare alle relazioni personali: da quelle più difficili fra rivali (il vicesceriffo e l'uomo che ha causato suo malgrado la morte della moglie) a quelle più complesse e articolate fra amici che si rimproverano le rispettive mancanze, come accade nel bel rapporto fra Joe e Charlie.

Questa natura a metà fra ricapitolazione e riappropriazione di un sentimento originale arriva quindi alla necessità di tarare lo spirito di una comunità attraverso la possibilità di ristabilire l'emozione della prima volta. Il film pertanto sta tutto in una serie di inizi: la nuova vita di Joe che, in seguito alla morte della madre deve imparare a far da sé; il suo contrapporsi per la prima volta a un padre autoritario che gli nega la possibilità di effettuare le sue scelte; il primo amore per Alice; fino alla spiritosa metafora degli zombi evocati dal film in Super 8. Si tratta in tutti i casi di stabilire una rinascita, una connessione che rivitalizzi o inneschi nuovi e virtuosi rapporti, per colmare una distanza fra elementi e persone altrimenti destinate a restare chiuse nelle rispettive ostilità. Il tutto attraverso le possibilità offerte da un cinema che è prospettiva privilegiata per vedere il mondo, elemento unificante di affetti, che svela segreti (la natura dell'alieno), chiarisce i sentimenti e aiuta a conservare le memorie di ciò che si è perduto (i filmati di famiglia di Joe), e che permette dunque la saldatura fra il fantastico e il reale.

Il toccante momento finale dell'incontro ravvicinato con l'alieno diventa così la sublimazione di questo spirito di avvicinamento fra i personaggi e fra i vari livelli su cui si articola l'intero racconto. A completamento del tutto resta, durante i titoli di coda, la divertente visione del film in Super 8: il frutto delle fatiche collettive è infatti ormai completato e se sarà proiettato in un festival (come Charlie spera) rappresenterà a sua volta un possibile nuovo inizio.


Super 8
(id.)
Regia e sceneggiatura: J. J. Abrams
Origine: Usa, 2011
Durata: 112'


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Film decisamente magico! Straordinari i titoli di coda!

Ale55andra

Alessio G. ha detto...

Bella recensione, che come potrai leggere conferma le ottime impressioni che io stesso ho avuto. Un film hollywoodiano puro, utile e pensante, una volta tanto. Un gioiello.