Carnage
New York. Penelope e
Michael Longstreet invitano nel loro appartamento Nancy e Alan Cowan
per confrontarsi su quanto accaduto ai rispettivi figli: il giovane
Cowan ha infatti colpito il piccolo Longstreet con un ramo d'albero,
procurandogli delle lesioni al volto. Il confronto, inizialmente
civile, diviene lentamente più serrato fino a sfociare in una guerra
delle parti, che rompe e ricompatta i fronti, dando ben presto vita a
un tutti contro tutti.
Un
gioco al massacro, perfetto, implacabile, oltremodo chirurgico, nel
quale i personaggi sono trattati alla stregua di topi da laboratorio.
La cosa in sé non ci coglie peraltro impreparati, sia perché alla
base c'è un noto testo teatrale, sia perché le coordinate del
cinema di Polanski da sempre oscillano fra il dramma e quella
tendenza a irridere il soggetto che si mette in scena, tipica di un
autore con il gusto del paradosso.
Ciò
che invece colpisce è la lucida delegittimazione del dialogo che dà
vita a una struttura involutiva capace non già di risolvere il
contenzioso in atto fra i personaggi, ma di esaltare lo stesso,
rinchiudendo i quattro ancor più nel loro reciproco isolamento. Con
sagacia, la dicotomia fra le famiglie si sfalda facilmente per dare
vita a un meccanismo dove i fronti si mescolano, nascono improvvise
alleanze e simpatie fra i due uomini, dove Alan Cowan non difende il
figlio ma anzi ne esalta la natura di teppista e l'armonia apparente
dei Longstreet evidenzia tutte le sue crepe. L'incontro di tesi
contrapposte, insomma, non fornisce soluzioni al dramma, ma anzi lo
alimenta e sottolinea lo spazio incolmabile fra i contendenti.
Da
questo versante è assolutamente gustoso notare come, in sostanza,
Polanski metta in scena un meccanismo tipico dei dibattiti
televisivi: il suo scopo è cioè conferire centralità a personaggi
che non sono i reali protagonisti della vicenda, ma delle figure
vicarie che pure si scontrano in una situazione di assoluto distacco
dal reale, e pretendono di poter decifrare quanto accaduto meglio dei
due autentici artefici della situazione. Lo scontro fra i ragazzi è
dunque accennato soltanto nei titoli di testa per poi lasciare spazio
a un effettivo “fuori-onda” che pretende di essere il vero
momento qualificante della vicenda, sintomo della confusione
linguistica e di contenuto dell'epoca attuale: non sono dunque i due
giovani a confrontarsi nel merito di quanto successo, ma due coppie
di genitori che dimostrano praticamente di non avere mai stabilito
nessun legame tangibile con i propri figli. E qui naturalmente si
torna a un concetto puramente polanskiano come quello della famiglia
in quanto nucleo non coeso ma basato sulla mera coabitazione e
sopraffazione reciproca, che aveva già reso grandi titoli come
Rosemary's Baby o Luna
di fiele.
Rispetto
a quei film, però, Carnage
è volutamente distante dai personaggi, che considera visibilmente
come degli intrusi da osservare nella loro bislacca pretesa di poter
leggere il mondo, pur risultando impermeabili allo stesso. E' infatti
interessante notare come, pur vomitandosi (letteralmente e
praticamente) addosso le peggiori accuse, i quattro restino
sostanzialmente indifferenti alle stesse e anzi fieri dei reciproci
ruoli. Ciò che realmente li destabilizza è il danno inferto a
quegli oggetti che ne legittimano lo status,
come il telefono cellulare per Alan, i libri d'arte per Penelope o la
borsetta per Nancy. Non a caso i personaggi evitano quasi del tutto
anche lo scontro fisico, accanendosi proprio contro gli oggetti, come
accade ad esempio con i tulipani. Tali feticci rappresentano infatti
le pietre angolari di un mondo che è tutto lì, al chiuso di una
situazione ovattata dove le terze parti sono assenti o veicolate
attraverso forme di intermediazione capaci comunque di preservare la
distanza (principalmente le telefonate).
In
virtù di questa struttura, trova una sua ragione d'essere anche
l'esuberanza del parlato che affligge la narrazione (ascrivibile
peraltro all'origine teatrale), con dialoghi a tratti didascalici,
che però altro non fanno che esaltare proprio l'inutilità della
parola in quanto forma fallimentare di comunicazione in un mondo
ormai non più predisposto al confronto.
L'autentico
colpo di genio sta dunque tutto nell'inquadratura finale che – in
forma non a caso squisitamente muta e priva di dialogo – reimmette
lo spettatore nel mondo mostrandoci la riconciliazione dei figli,
avvenuta nella piena normalità dello scorrere degli eventi, mentre i
genitori hanno ormai consumato il loro dramma al chiuso delle pareti
domestiche. Al grande regista basta una sola immagine per svelare
l'inganno di un confronto fallimentare in partenza e aprire
nuovamente lo sguardo alla vita.
Carnage
(id.)
Regia:
Roman Polanski
Sceneggiatura:
Yasmina Reza e Roman Polanski (dalla pièce Il dio
del massacro, di Yasmina
Reza)
Origine:
Francia/Germania/Polonia, 2011
Durata:
75'
1 commento:
Finale per me molto ironico e beffardo. Film riuscitissimo, non solo per quello che dici giustamente, ma anche per la messa in scena e per l'abilità davvero straordinaria dei quattro attori protagonisti.
Ale55andra
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