"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 7 settembre 2011

Lo squalo

Lo squalo

Nelle acque di Amity, una tranquilla isoletta vicina alla costa atlantica degli Stati Uniti, una ragazza viene fatta a pezzi da quello che si sospetta essere un grande squalo bianco. Martin Brody, capo della polizia locale, vorrebbe chiudere le spiagge, ma si scontra con il consiglio comunale che non intende compromettere l'apertura della stagione turistica, autentico polmone dell'economia locale. Brody trova supporto ai suoi timori nell'esperienza di Matt Hooper, scienziato dell'Istituto Oceanografico, ma le autorità non sembrano voler sentire ragioni, forti anche del fatto che la presenza di una simile creatura non ha precedenti nella storia del luogo. Tutto questo finché ulteriori attacchi ai danni dei bagnanti non li convincono a ingaggiare l'abile pescatore Quint. Con lui, Brody e Hooper partono per una caccia che si rivelerà un'autentica sfida, dove ben presto i confini fra cacciatori e preda sfumeranno fino a ribaltarsi.


Si potrebbe credere che il cinema di Steven Spielberg sia stato sviscerato a sufficienza, ma persiste tuttora una errata attitudine a inquadrare ogni film unicamente dalla prospettiva degli incassi e del successo economico, generando valutazioni imprecise. Ad esempio, un insano e snobistico atteggiamento cinefilo ha spesso portato un film come Lo squalo a essere ricondotto nel cono d'ombra del precedente Duel, in quanto tardo e "commerciale" epigono di un fiero modello indipendente basato sui meccanismi mitologici dell'uomo contro il Leviatano. Sicuramente non va negato come il successo al botteghino abbia innescato dinamiche che poi hanno prodotto delle ricadute estetiche e contenutistiche molto significative sul cinema a venire, ma Lo squalo resta in sé un modello encomiabile di espressività, che rispetto al citato predecessore deve porsi non come un superfluo cascame, ma piuttosto come una evoluzione.

Spielberg riesce infatti a compiere una straordinaria operazione di sintesi amplificando il livello di risonanza mitica già innescato da Duel partendo da uno schema narrativo che si situa nel solco dei classici monster-movies. Come più volte dimostrerà nella sua carriera, il regista americano è grande nel costruire una struttura capace di innalzare un fatto specifico a livello universale e globale, pur restando ancorato alla lezione di chi lo ha preceduto. Pertanto, la lotta solitaria fra l'uomo e il mostro perde il suo carattere solitario e diventa stavolta condivisa, e se Brody è sicuramente una figura aliena rispetto alla comunità di Amity (in quanto proveniente da New York e non nativo del luogo – elemento originale perché assente nel romanzo da cui il film è tratto), nondimeno non è isolato nella sua odissea, ma condivide la stessa con compagni d'avventura che, insieme, formano una sorta di modello ideale di comunità: Quint è l'esperienza pratica sul campo, Hooper la teoria imparata attraverso l'osservazione e gli studi, e i due insieme estroflettono quella necessità di un confronto sul campo con un demone che rispetto a Brody è ancora interiore, e metaforizzato dalla sua paura dell'acqua: risulta in tal modo esemplare la scena in cui i due uomini esibiscono le rispettive cicatrici, come a legittimare la loro presenza fisica sul teatro di una scena che però ha in Brody (semplice osservatore dell'atto) il suo protagonista principale, sebbene ancora inconsapevole.

Se, dunque, la caccia allo squalo diventa il percorso di formazione del poliziotto, la creatura resta comunque un archetipo di inquietudine assoluta che investe e chiama in causa ogni personaggio: la dinamica del singolo (Brody) si articola dunque all'interno di una rete di relazioni che rende il racconto corale e complesso. La lotta dell'uomo si innalza pertanto a un livello mitico perché racchiude in sé il senso dello stare all'interno della comunità: non a caso a Brody è demandato il ruolo della difesa del proprio spazio, in quanto poliziotto, secondo una dinamica che potremmo avvicinare a quella dello sceriffo nei classici film western. E lo squalo, sebbene autentico villain del film, è sostanzialmente identificato nell'oceano stesso grazie alla geniale trovata di celarne la presenza allo spettatore per tre quarti della durata.

Questa coralità si riflette poi nella struttura filmica che Spielberg tesse con abilità consumata (e a dir poco incredibile, considerando i mastodontici disagi sopportati durante la fase delle riprese): il regista, infatti, nel mettere in scena questa nuova storia e nello sfruttare ogni possibile spunto in grado di rendere universale la vicenda, chiama in causa i possibili modelli passati, consapevole com'è che la costruzione del nuovo non può prescindere dalla ricontestualizzazione del vecchio e dalla sua lezione. Ecco dunque che il primo attacco dello squalo, con la bellissima inquadratura della donna ripresa dal fondo del mare, costituisce un generoso omaggio al capolavoro di Jack Arnold Il mostro della laguna nera, in quanto rappresentante dell'epoca gloriosa dei monster movie; pensare di unire questi spunti all'impegnativo confronto uomo/natura dello strepitoso Moby Dick di John Huston (dal quale Spielberg riprende fedelmente alcune inquadrature durante la caccia allo squalo) è un colpo di genio che solo un grande regista poteva avere! Il tutto senza dimenticare che, la già citata responsabilità imposta a Brody dal suo ruolo di difensore della comunità, lo allontana dalle manie dell'Achab di Gregory Peck, chiaro indice di una dialettica che Spielberg instaura con i classici, confrontandosi con essi senza complessi di subalternità.

Lo squalo è per questo un film-ponte, in grado di unire spunti tra loro differenti in modo virtuoso, per creare un affresco potente e mitico: ma è anche un magnifico tour-de-force espressivo e tecnico. Nell'era della computer grafica può risultare di poco conto l'impresa compiuta dalla troupe fra le acque dell'oceano, ma la testardaggine mostrata da un regista che ha voluto girare on location (come già in Duel) ed evitando le comodità della stop motion o dei modellini, per impiegare al contrario un innovativo squalo meccanico a grandezza naturale, è l'indice di una ossessione di un cinema che, pur raccontando un'avventura non priva di spunti fantastici, pretende di stare nella realtà. A questo punto non deve stupire il fatto che Lo squalo, in realtà, sia un film realistico e fatto di uomini, prima ancora che delle basiche dinamiche horror conseguenti la lotta con il mostro. Non a caso Spielberg chiama in causa la Storia, con il bellissimo passaggio in cui Quint racconta l'affondamento della USS Indianapolis (l'incrociatore che trasportava parti della bomba atomica sganciata su Hiroshima). Un piccolo momento significativo, che getta un ponte verso un'ossessione figurativa destinata a germinare ancora nel cinema di Spielberg, basti pensare alla visione nucleare de L'impero del Sole.

Per questo, e per molto altro, Lo squalo non è soltanto un fortunato campione degli incassi, ma anche, e soprattutto, un capolavoro del cinema.


Lo squalo
(Jaws)
Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Carl Gottlieb, Peter Benchley (dal suo romanzo)
Origine: Usa, 1975
Durata: 118'


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1 commento:

Tamcra ha detto...

Non bisogna dimenticare l'apporto della colonna sonora, con quei colpi di violoncello ogni volta che si pensa arrivi lo squalo (simili agli stridii dei violini delle coltellate della scena della doccia in Psycho .)