"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 28 settembre 2011

L'alba del pianeta delle scimmie

L'alba del pianeta delle scimmie

Will Rodman è uno scienziato i cui lavori sono finalizzati a trovare una cura contro l'Alzheimer per guarire il padre malato. Lo scimpanzé cui viene però somministrato il farmaco sperimentale manifesta segni di violenza e viene abbattuto, lasciando al mondo un erede, che Will adotta e cui dà il nome di Cesare. Nel tempo Cesare dimostra di aver ereditato i geni modificati della madre e dimostra una spiccata intelligenza, crescendo perfettamente a suo agio con l'habitat umano. Almeno fino a quando non aggredisce un vicino per difendere il padre di Will, che dopo essere apparentemente guarito grazie alle cure del figlio inizia a manifestare nuovamente i segni della malattia. Così Cesare viene rinchiuso in un istituto, dove – maltrattato dagli uomini – si vede contrastato anche dalle scimmie...


Al pari dei personaggi che mette in scena, la saga del Pianeta delle scimmie dimostra di aver saputo inaspettatamente superare i traumi provocati dal pessimo remake di Tim Burton, e di essere stata capace di riguadagnare la sua centralità nell'immaginario contemporaneo, in modo intelligente e filologico. Questo nuovo capitolo azzera la continuità della saga anni Settanta, si colloca come prequel diretto dell'indimenticabile originale con Charlton Heston (non considerando dunque tutti i seguiti) e, pur attingendo da un plot di base che ricorda quello del quarto capitolo 1999: Conquista della Terra (dove compariva per la prima volta il personaggio di Cesare), riserva non poche sorprese.

Tutto ruota attorno all'esigenza di determinare la propria identità, autentica linea guida non solo dei personaggi, ma del progetto tutto: così come il nuovo film deve infatti trovare la sua dimensione all'interno di un immaginario preesistente, così i suoi protagonisti devono affrontare una ricerca del proprio posto del mondo o addirittura della propria stabilità razionale ed emotiva all'interno di un complesso di relazioni minate dalla caducità del corpo. L'evoluzione è dunque fisica e anche relazionale, al pari di quanto accade con Cesare che, nel suo progressivo avvicinamento alla dimensione umana, deve anche passare per un confronto con la legge della giungla, evidente nel rapporto con le scimmie che condividono la sua prigionia. D'altro canto, invece, il personaggio di Will cerca la propria specificità di persona attraverso la ricerca medica, utile a guarire quel padre che – complice l'Alzheimer – sta letteralmente perdendo la sua identità. La sceneggiatura è abile nell'evitare tanto le tentazioni superomiste dello scienziato che si crede Dio, quanto le spinte meramente rivoluzionarie, che restano confinate al prototipo settantesco.

I personaggi sono infatti affrontati secondo una prospettiva squisitamente “interiore”, per effetto della quale la ribellione di Cesare non è collegata agli abusi dei carcerieri o alla diffidenza degli uomini, ma piuttosto all'esigenza propria di trovare un posto nel mondo attraverso la correlazione empatica con l'ambiente, i propri simili e l'umanità: con sagacia l'approdo è ibrido, le scimmie fuggiasche saranno qualcosa in più che semplici primati, una sorta di anello di congiunzione con la razza umana, e prenderanno possesso di un alveo di verde all'interno dello spazio metropolitano di San Francisco, a metà fra la tradizione mitologica (la sequoia per molte culture è un albero sacro) e la modernità ispirata dai palazzi.

Ciò che dunque si cerca è una sintesi, la stessa che spinge il film ad aprire un arco narrativo nuovo, ma interno alla tradizione tracciata dal primo Pianeta delle scimmie, chiamato in causa attraverso piccoli in-jokes; allo stesso tempo c'è un discorso prettamente teorico e tecnico che la pellicola chiama in causa attraverso il tour-de-force stilistico rappresentato dall'uso della motion-capture e degli sfondi digitali su cui si muovono i personaggi. Rifacendosi alla lezione di Avatar, il film mette in scena il racconto di un istinto libertario attraverso una messinscena estremamente orchestrata e tecnologica, che rende il particolare look visivo del film antitetico al trionfo del make up e dei trucchi prostetici della saga originale (e del remake burtoniano, sorta di deriva ultima possibile per il lavoro dei maghi del lattice): la sensazione è quella ancora una volta di sintesi fra la leggerezza immateriale del digitale e la pesantezza di un corpo che deve essere superato per dare vita a una sorta di smaterializzazione empatica nell'ambiente circostante, capace per questo di rendere il tutto estremamente coerente a livello visuale.

Non a caso la sensazione che il film offre è quella di un viaggio costante in una dimensione alterata, quasi lisergica, dove si incontrano istanze in continuo conflitto, appianate dalla capacità di sintesi mostrata dal regista Ruper Wyatt. Pertanto, l'ultimo movimento che il film mette in scena è quello della ricollocazione della storia di Cesare in un immaginario anni Settanta. La progressione mostra infatti un continuo slittamento del baricentro narrativo da una modernità fatta di esperimenti genetici e scenari asettici, a location più vicine alle iconografie del passato (lo zoo, il Golden Gate, l'elicottero, gli scontri di massa con la polizia), come se il film, nel riappropriarsi di elementi tipici della mitologica della saga, volesse al contempo farli propri, metabolizzarli e superarli.

L'evoluzione di Cesare si sposa pertanto con una propensione a riprendere la lezione del passato per poi farle fare un ulteriore passo in avanti, lungo una strada che produca un risultato inedito nella sua familiarità: il tutto in modo lineare e capace di risultare ad ogni modo appassionante anche a uno sguardo in cerca del semplice spettacolo. Una vera sorpresa, che porta ad aspettare con interesse il possibile seguito.


L'alba del pianeta delle scimmie
(Rise of the Planet of the Apes)
Regia: Rupert Wyatt
Sceneggiatura: Amanda Silver, Rick Jaffa, Jamie Moss (ispirata al romanzo di Pierre Boulle)
Origine: Usa, 2011
Durata: 105'

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