"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

sabato 24 agosto 2013

Daltanious, il robot del futuro

Daltanious, il robot del futuro

In un futuro (per l'epoca) 1995, la Terra è stata conquistata dagli invasori di Zaar e le città sono ridotte a cumuli di macerie: in questo scenario, un gruppo di giovani teppisti guidati dall'intrepido Kento Tate si arrangia fra piccoli furti e la necessità di dare delle regole alla propria scomposta “famiglia”. Durante una delle scorribande con l'amico Danji, Kento riporta accidentalmente in superficie l'astronave del dottor Earl, un transfuga dell'antico impero di Helios, pure devastato da Zaar. Ormai scoperto agli occhi dei Bemborg nemici, lo scienziato affida ai due ragazzi il gigantesco robot Daltanious perché combattano gli invasori. Non tarda molto tempo perché Earl riconosca pure in Kento il legittimo erede al trono di Helios, compito che al ragazzo (cresciuto fra le esperienze di una vita avventurosa) va però stretto. Le cose si complicano quando emergono i segreti nascosti nella storia di Helios: gli scienziati del pianeta, infatti, avevano compiuto azzardati esperimenti di clonazione, legati a doppio filo alla natura stessa degli Zaar! L'identità dei legittimi successori di Helios è quindi nascosta sotto una coltre di sorprendenti colpi di scena, che spingono i protagonisti a scelte difficili, nella lunga battaglia per la pace.


Anche se fa appello al futuro sin dal titolo, una serie come Daltanious è evidentemente pensata per guardare al passato e al presente della società giapponese che l'ha generata e che nella storia finisce suo malgrado per rispecchiarsi: può farlo grazie a una complessità che il genere mecha ha ormai acquisito nella seconda metà degli anni Settanta, quando il modello episodico delle storie create da Go Nagai per la Toei Animation è ormai tramontato e la scena è dominata dalle sperimentazioni introdotte dalla Nippon Sunrise che, attraverso Zambot 3 e Daitarn 3 compie nello stesso anno di Daltanious la rivoluzione di Gundam. Più ancora, però, bisogna avere presenti le turbolente e sottovalutate epopee di Tadao Nagahama, il regista di classici come Yusha Raideen, Combatter e, soprattutto, Vultus 5 e General Daimos. Autentici caposcuola di un filone che ha affiancato all'azione sfrenata anche un ritratto a tutto tondo di personaggi sottoposti a drammi personali, e immersi in continuity piuttosto elaborate.

Non è un caso che tutti i nomi sinora coinvolti si ritrovino fra i credits: Sunrise e Toei producono, mentre Nagahama ricopre ufficialmente il ruolo di Art Director, ma la sua ispirazione è evidentissima, tanto che alcune fonti lo riportano come regista – i credits iniziali attribuiscono però la direzione a Katsutoshi Sasaki, Nagahama compare soltanto nei cartelli della sigla di coda. Stando a Wikipedia, comunque, Nagahama avrebbe effettivamente diretto parte della serie, ma la sua morte, sopraggiunta mentre la serie era ancora in corso, avrebbe costretto in seconda battuta i produttori a rimpiazzarlo con Sasaki. Più certo il ruolo del character design Saburo Yatsude, dello sceneggiatore Fuyunori Gobu e del musicista Hiroshi Tsutui, tutti provenienti proprio da Vultus 5.

Sta di fatto che, esattamente come i modelli citati, anche Daltanious si offre con la potenza di un ritmo molto serrato, esaltato anche dai tratti ruvidi e aggressivi delle animazioni, e dalla ritualità epica del caratteristico colpo finale; allo stesso tempo, però, emerge la capacità di ritagliare il giusto spazio per le microstorie dei protagonisti, al punto che la prima metà della vicenda è sostanzialmente formata da una susseguirsi di “focus” in cui vengono passati in rassegna i trascorsi di tutti i personaggi, nessuno escluso: basti pensare che persino il simpatico maialino Tonsuke (Jimmy nell'edizione italiana), mascotte del gruppo di Kento, ha la sua puntata monografica. Risulta quindi evidente come, all'esaltazione dei sentimenti più lirici e struggenti, faccia da contraltare anche una capacità di mescolare i toni, che rende le storie varie e in grado di muoversi fra momenti drammatici e altri allegri e demenziali senza apparente soluzione di continuità.

Le cose cambiano con la seconda parte, quando il fronte narrativo si apre agli scenari spaziali e agli excursus storici su un passato che investe l'intera galassia, l'impero perduto di Helios e la missione degli Zaar: qui emerge infatti la natura critica dell'operazione rispetto alla società giapponese e a un modello culturale messo in crisi dai nuovi contesti, aperti alle influenze dell'Occidente. Lo scenario prefigurato dalla storia, infatti, rappresenta un'evidente metafora del Giappone dell'immediato dopoguerra, fatto di orfani costretti a trovare da soli la propria strada, città uscite devastate dai bombardamenti, mentre la nazione subisce l'occupazione straniera (nel racconto a un certo punto intervengono anche i militari americani, con cui Kento deve suo malgrado scontrarsi, giusto qualora non fosse chiaro il concetto). Il colpo di genio sta nel non sfruttare una simile situazione per solleticare istinti revanscisti, ma per prefigurare anzi un orizzonte nuovo, e libero degli orpelli del passato, che hanno causato la rovina del Giappone stesso. Difficile infatti non restare sorpresi dalla vena anti-imperialista della storia, che attribuisce alle figure imperiali e a quelle governanti una natura subdola e negativa, incapace di guardare ai bisogni della povera gente e per questo pari alle prepotenze perpetuate dagli invasori. Il conflitto trova una raffigurazione scherzosa nel “ribellismo” di Kento, totalmente refrattario all'idea di indossare i panni del principe come invocato con insistenza dal dottor Earl.

Lo scienziato, peraltro, rappresenta lo speculare opposto del protagonista e quando lo vediamo costretto a scegliere fra gli ideali di libertà (quelli che lo spingerebbero a mantenere il ruolo di difensore della Terra) e la fedeltà agli Zaar (nell'attimo in cui la vicenda dei cloni fa credere che il legittimo erede al trono di Helios sia il capo delle truppe nemiche) emerge in tutta evidenza il dramma di un modello culturale basato sull'obbedienza cieca e sganciata da ogni contesto. A questo, Daltanious preferisce una prospettiva “dal basso”, che guardi ai bisogni del popolo, e che spinga i personaggi a compiere delle scelte chiare più vicine alla propria etica umana e personale, che ai dettami imposti dal dovere (si pensi in tal senso alla complessa figura di Kloppen, autentico rappresentante dell'antico codice dei samurai). Appare in questo senso congruo il riferimento alla figura del moschettiere “ribelle” e a favore dei giusti, codificata da Alexandre Dumas: l'originale “Darutaniasu”, infatti, rappresenta un gioco di parole con il nome di D'Artagnan, celebre eroe dei romanzi d'avventura, celebrato anche con l'effige della croce dei moschettieri e il colpo finale che sfrutta la forza della spada.

Si può dunque notare come il gioco imbastito dagli autori ruoti non solo intorno al concetto di identità, ma anche a quello dei rispecchiamenti verso un modello che ormai si ritiene completamente addentro al multiculturalismo e alle influenze più disparate. Anche per questo è interessante notare come, rispetto al genere dei mecha, la storia rappresenti quasi una parafrasi di quella già vista in Ufo Robot Goldrake, che per primo aveva aperto le regole del genere al confronto con l'altro da sé, attraverso la figura del pilota-alieno outsider (che poi ritroveremo anche in Baldios). Oltre a una serie di elementi ripresi di peso da quel modello, si possono infatti notare anche dei debiti stilistici nei design, che trovano il culmine nella maschera di Kloppen, quasi una stilizzazione del volto dello stesso Goldrake (e il fatto che a doppiare il personaggio da noi ci sia Romano Malaspina, già voce proprio di quell'eroe, è una coincidenza felicissima). Il gioco di avvicinamenti e distanze, fatto di omaggi e rovesciamenti di prospettiva, si fa insomma molto complesso e per questo più entusiasmante.

Una nota infine sull'edizione italiana curata dalla Citiemme Edizioni, che propone un adattamento di buon livello, con qualche variazione nei nomi (“Antares” al posto di “Atlas”, “Ormen” al posto di “Dolmen”), ma un cast ben variegato. Curiosa la scelta di sostituire il termine “clone” con “biodroide”, così come alcune invenzioni (gli invasori denominati “Akron”) e mancanze (i robot nemici, i Bemborg, non hanno sostanzialmente denominazione). Da notare pure alcuni casi particolari, come Ochame che diventa Mita (come il cognome della sua doppiatrice Yuko Mita), o il nome dell'imperatore Nishimura (in originale “Palmillion”), che farebbe pensare a una sovrapposizione con il direttore della fotografia T Nishimura. Errori o semplici coincidenze?

In Italia la serie è raccolta in DVD da Dynit.


Update del 04/12/13: sulla questione relativa al vero ruolo di Nagahama nella serie, da una discussione sulla pagina Facebook di Yamato Video collegata a un articolo di Mario Rumor sull'autore giapponese emerge quanto segue:

Animage Pocket Data Notes indica Nagahama come enshutsu (quindi supervisiore generale della serie), per poi essere sostituito da Sasaki come kantoku (regista) e autore degli storyboard. C'era Ulysses 31 a cui Nagahama tendeva di più e che lo ha portato a mollare sia Daltanious sia Lady Oscar. Però, poi è morto.


Daltanious, il robot del futuro
(Mirai Robo Darutaniasu)
Regia: Katsutoshi Sasaki
Sceneggiatura generale: Fuyunori Gobu, Masaki Tsuji
Origine: Giappone, 1979
Durata: 47 puntate

1 commento:

Emmeggì ha detto...

Grazie, un'ottima analisi su una serie per me mitica!