Daltanious, il robot del
futuro
In un futuro (per
l'epoca) 1995, la Terra è stata conquistata dagli invasori di Zaar e
le città sono ridotte a cumuli di macerie: in questo scenario, un
gruppo di giovani teppisti guidati dall'intrepido Kento Tate si
arrangia fra piccoli furti e la necessità di dare delle regole alla
propria scomposta “famiglia”. Durante una delle scorribande con l'amico
Danji, Kento riporta accidentalmente in superficie l'astronave del
dottor Earl, un transfuga dell'antico impero di Helios, pure
devastato da Zaar. Ormai scoperto agli occhi dei Bemborg nemici, lo scienziato affida ai due ragazzi il gigantesco robot
Daltanious perché combattano gli invasori. Non tarda molto tempo
perché Earl riconosca pure in Kento il legittimo erede al trono di
Helios, compito che al ragazzo (cresciuto fra le esperienze di una
vita avventurosa) va però stretto. Le cose si complicano quando
emergono i segreti nascosti nella storia di Helios: gli scienziati
del pianeta, infatti, avevano compiuto azzardati esperimenti di
clonazione, legati a doppio filo alla natura stessa degli Zaar!
L'identità dei legittimi successori di Helios è quindi nascosta
sotto una coltre di sorprendenti colpi di scena, che spingono i
protagonisti a scelte difficili, nella lunga battaglia per la pace.
Anche se fa appello al
futuro sin dal titolo, una serie come Daltanious è
evidentemente pensata per guardare al passato e al presente della
società giapponese che l'ha generata e che nella storia finisce suo
malgrado per rispecchiarsi: può farlo grazie a una complessità che
il genere mecha ha ormai acquisito nella seconda metà degli
anni Settanta, quando il modello episodico delle storie create da Go
Nagai per la Toei Animation è ormai tramontato e la scena è
dominata dalle sperimentazioni introdotte dalla Nippon Sunrise che,
attraverso Zambot 3 e Daitarn 3
compie nello stesso anno di Daltanious
la rivoluzione di Gundam.
Più ancora, però, bisogna avere presenti le turbolente e
sottovalutate epopee di Tadao Nagahama, il regista di classici come
Yusha Raideen, Combatter e, soprattutto, Vultus 5
e General Daimos. Autentici caposcuola di un filone che ha
affiancato all'azione sfrenata anche un ritratto a tutto tondo di
personaggi sottoposti a drammi personali, e immersi in continuity
piuttosto elaborate.
Non è un caso che tutti
i nomi sinora coinvolti si ritrovino fra i credits: Sunrise e Toei
producono, mentre Nagahama ricopre ufficialmente il ruolo di Art
Director, ma la sua ispirazione è evidentissima, tanto che alcune
fonti lo riportano come regista – i credits iniziali attribuiscono
però la direzione a Katsutoshi Sasaki, Nagahama compare soltanto nei
cartelli della sigla di coda. Stando a Wikipedia, comunque, Nagahama
avrebbe effettivamente diretto parte della serie, ma la sua morte,
sopraggiunta mentre la serie era ancora in corso, avrebbe costretto
in seconda battuta i produttori a rimpiazzarlo con Sasaki. Più certo
il ruolo del character design Saburo Yatsude, dello sceneggiatore
Fuyunori Gobu e del musicista Hiroshi Tsutui, tutti provenienti
proprio da Vultus 5.
Sta di fatto che,
esattamente come i modelli citati, anche Daltanious si offre
con la potenza di un ritmo molto serrato, esaltato anche dai tratti
ruvidi e aggressivi delle animazioni, e dalla ritualità epica del
caratteristico colpo finale; allo stesso tempo, però, emerge la
capacità di ritagliare il giusto spazio per le microstorie dei
protagonisti, al punto che la prima metà della vicenda è
sostanzialmente formata da una susseguirsi di “focus” in cui
vengono passati in rassegna i trascorsi di tutti i personaggi,
nessuno escluso: basti pensare che persino il simpatico maialino
Tonsuke (Jimmy nell'edizione italiana), mascotte del gruppo di Kento,
ha la sua puntata monografica. Risulta quindi evidente come,
all'esaltazione dei sentimenti più lirici e struggenti, faccia da
contraltare anche una capacità di mescolare i toni, che rende le
storie varie e in grado di muoversi fra momenti drammatici e altri
allegri e demenziali senza apparente soluzione di continuità.
Le cose cambiano con la
seconda parte, quando il fronte narrativo si apre agli scenari
spaziali e agli excursus storici su un passato che investe l'intera
galassia, l'impero perduto di Helios e la missione degli Zaar: qui
emerge infatti la natura critica dell'operazione rispetto alla
società giapponese e a un modello culturale messo in crisi dai nuovi
contesti, aperti alle influenze dell'Occidente. Lo scenario
prefigurato dalla storia, infatti, rappresenta un'evidente metafora
del Giappone dell'immediato dopoguerra, fatto di orfani costretti a
trovare da soli la propria strada, città uscite devastate dai
bombardamenti, mentre la nazione subisce l'occupazione straniera (nel
racconto a un certo punto intervengono anche i militari americani,
con cui Kento deve suo malgrado scontrarsi, giusto qualora non fosse
chiaro il concetto). Il colpo di genio sta nel non sfruttare una
simile situazione per solleticare istinti revanscisti, ma per
prefigurare anzi un orizzonte nuovo, e libero degli orpelli del
passato, che hanno causato la rovina del Giappone stesso. Difficile
infatti non restare sorpresi dalla vena anti-imperialista della
storia, che attribuisce alle figure imperiali e a quelle governanti
una natura subdola e negativa, incapace di guardare ai bisogni della
povera gente e per questo pari alle prepotenze perpetuate dagli
invasori. Il conflitto trova una raffigurazione scherzosa nel
“ribellismo” di Kento, totalmente refrattario all'idea di
indossare i panni del principe come invocato con insistenza dal
dottor Earl.
Lo scienziato, peraltro,
rappresenta lo speculare opposto del protagonista e quando lo vediamo
costretto a scegliere fra gli ideali di libertà (quelli che lo
spingerebbero a mantenere il ruolo di difensore della Terra) e la
fedeltà agli Zaar (nell'attimo in cui la vicenda dei cloni fa
credere che il legittimo erede al trono di Helios sia il capo delle
truppe nemiche) emerge in tutta evidenza il dramma di un modello
culturale basato sull'obbedienza cieca e sganciata da ogni contesto.
A questo, Daltanious preferisce una prospettiva “dal basso”,
che guardi ai bisogni del popolo, e che spinga i personaggi a
compiere delle scelte chiare più vicine alla propria etica umana e
personale, che ai dettami imposti dal dovere (si pensi in tal senso
alla complessa figura di Kloppen, autentico rappresentante
dell'antico codice dei samurai). Appare in questo senso congruo il
riferimento alla figura del moschettiere “ribelle” e a favore dei
giusti, codificata da Alexandre Dumas: l'originale “Darutaniasu”,
infatti, rappresenta un gioco di parole con il nome di D'Artagnan,
celebre eroe dei romanzi d'avventura, celebrato anche con l'effige
della croce dei moschettieri e il colpo finale che sfrutta la forza
della spada.
Si può dunque notare
come il gioco imbastito dagli autori ruoti non solo intorno al
concetto di identità, ma anche a quello dei rispecchiamenti verso un
modello che ormai si ritiene completamente addentro al
multiculturalismo e alle influenze più disparate. Anche per questo è
interessante notare come, rispetto al genere dei mecha, la
storia rappresenti quasi una parafrasi di quella già vista in Ufo
Robot Goldrake, che per primo aveva aperto le regole del genere
al confronto con l'altro da sé, attraverso la figura del
pilota-alieno outsider (che poi ritroveremo anche in Baldios).
Oltre a una serie di elementi ripresi di peso da quel modello, si
possono infatti notare anche dei debiti stilistici nei design, che
trovano il culmine nella maschera di Kloppen, quasi una stilizzazione
del volto dello stesso Goldrake (e il fatto che a doppiare il
personaggio da noi ci sia Romano Malaspina, già voce proprio di
quell'eroe, è una coincidenza felicissima). Il gioco di
avvicinamenti e distanze, fatto di omaggi e rovesciamenti di
prospettiva, si fa insomma molto complesso e per questo più
entusiasmante.
Una nota infine
sull'edizione italiana curata dalla Citiemme Edizioni, che propone un
adattamento di buon livello, con qualche variazione nei nomi
(“Antares” al posto di “Atlas”, “Ormen” al posto di
“Dolmen”), ma un cast ben variegato. Curiosa la scelta di
sostituire il termine “clone” con “biodroide”, così come
alcune invenzioni (gli invasori denominati “Akron”) e mancanze (i
robot nemici, i Bemborg, non hanno sostanzialmente denominazione). Da
notare pure alcuni casi particolari, come Ochame che diventa Mita
(come il cognome della sua doppiatrice Yuko Mita), o il nome
dell'imperatore Nishimura (in originale “Palmillion”), che
farebbe pensare a una sovrapposizione con il direttore della
fotografia T Nishimura. Errori o semplici coincidenze?
In Italia la serie è
raccolta in DVD da Dynit.
Update del 04/12/13: sulla questione relativa al vero ruolo di Nagahama nella serie, da una discussione sulla pagina Facebook di Yamato Video collegata a un articolo di Mario Rumor sull'autore giapponese emerge quanto segue:
Animage Pocket Data Notes indica Nagahama come enshutsu (quindi supervisiore generale della serie), per poi essere sostituito da Sasaki come kantoku (regista) e autore degli storyboard. C'era Ulysses 31 a cui Nagahama tendeva di più e che lo ha portato a mollare sia Daltanious sia Lady Oscar. Però, poi è morto.
Daltanious, il robot
del futuro
(Mirai Robo
Darutaniasu)
Regia: Katsutoshi
Sasaki
Sceneggiatura
generale: Fuyunori Gobu, Masaki Tsuji
Origine: Giappone,
1979
Durata: 47 puntate
1 commento:
Grazie, un'ottima analisi su una serie per me mitica!
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