Sunshine
2057. Il sole si sta
spegnendo e l'astronave Icarus II è in viaggio per scaricare un
ordigno nucleare nel cuore della stella, in modo da rivitalizzarla.
La missione in realtà fa seguito a quella dell'Icarus I, che ha
fatto perdere le sue tracce senza essere riuscita a portare a termine
il suo compito. L'equipaggio comprende tecnici e scienziati altamente
qualificati, ma la missione è in ogni caso lunga e complessa, tanto
da lasciare spazio a tensioni all'interno del gruppo. Arrivata in
prossimità di Mercurio, l'astronave riceve però un segnale di
emergenza proveniente dall'Icarus I. Su consiglio di Capa, il fisico
dell'equipaggio, si decide di raggiungere il relitto della nave per
recuperarne l'ordigno, in modo da rendere più probabile il successo
della missione. Ma una serie di problemi provoca una catena di danni
all'Icarus II e di perdite umane. Lentamente inizia a emergere la
possibilità che all'interno dell'equipaggio possa nascondersi un
sabotatore.
“Sunshine”, ovvero la
luce del sole. È allo stesso tempo l'obiettivo finale da raggiungere
(rivitalizzare la stella) e il nemico da abbattere, la barriera da
superare per poter riuscire a relazionarsi con un corpo celeste
morente, ma ancora oltre le capacità percettive dell'occhio
umano. Si può dire che il perimetro descritto dalla pellicola di
Danny Boyle sia proprio qui, nell'intervallo all'interno del quale è
possibile vedere la luce senza restarne abbagliati. Che poi, per un
bellissimo paradosso, è anche quello in cui il buio è ancora uno
spazio abitabile. In effetti la sfida è tanto più intrigante quanto
più ci si rende conto delle implicazioni che porta con sé: Sunshine
è un film che gioca con gli opposti. Si cerca la luce, ma si vive
nel buio. Di più: Searle, lo psichiatra del gruppo, ci spiega che
l'oscurità è assenza, il vuoto in cui il corpo galleggia in piena
privazione sensoriale (ricordate Stati di allucinazione?). La
luce, invece, è qualcosa che si compenetra all'essere umano, lo
investe e lo ingloba. È come se lo definisse, lo rendesse “pieno”.
Sintetizzando, il buio è
filosoficamente assenza di vita, è il nemico, quello che non offre
prospettive che non siano quelle della morte per progressivo
spegnimento. Ma a conti fatti descrive invece l'unico spazio in cui è
possibile agire, per mantenere ancora il senso della propria
missione. È un luogo fisico, materiale, all'interno del quale il
corpo è pienamente in possesso delle proprie facoltà percettive. È
in definitiva, il luogo in cui il nostro occhio limitato riesce
ancora a vedere. Il buio è la Terra, che proprio nell'oscurità va
lentamente avvolgendosi. Viceversa la luce è la vita, ma è più
ancora la metafora di uno sviluppo evolutivo senza fine che può
portare l'umanità a una costante progressione. Di conseguenza, è
lontana, inafferrabile, e alla sua piena potenza acceca: è un
potenziale, che può essere raggiunto solo con il più alto sviluppo
tecnologico. Non a caso il risveglio del Sole può essere garantito
solo dallo sgancio di un dispositivo che è frutto dell'umano
ingegno.
In ragione di questi
dualismi, il film può essere inquadrato da due diverse prospettive:
c'è un aspetto eminentemente spettacolare, in cui si gioca proprio
con i capovolgimenti offerti dal continuo ribaltamento dei
significati connessi alla luce e al buio. Boyle lo porta avanti con
consumata abilità, riesce a generare suspense e a porre lo
spettatore di fronte ai doverosi interrogativi sulla sopravvivenza
dei personaggi. Un po' thriller, un po' fantahorror, ancor meglio se
connesso direttamente ai corpi, che vengono infilzati, congelati,
bruciati: un body-horror che diventa body-count, insomma, con la
missione che va incontro a un numero sempre maggiore di perdite umane
per colpa dell'intruso di turno. Più che a Alien,
però, pensate a Punto di non ritorno, di Paul W.S.
Anderson: ci siete? Bene, questo è ciò che quel film poteva essere
se non si fosse arenato sulle facili direttrici del genere.
Già, perché la seconda
prospettiva è fornita proprio dall'ambizione, quella che, comprese
le potenzialità dell'idea, decide di sfruttarle appieno per andare
oltre. Boyle cerca cioè di superare la facile dicotomia
Sole/Tenebra, per poter finalmente afferrare la luce. Vuole
che l'occhio riesca a vedere il Sole! Quando il capitano Kaneda
soccombe al bagliore solare, infatti, Searle gli chiede “che cosa
vedi?”. Rivitalizzare il Sole non è soltanto una questione di
continuare a fornire energia alla Terra, ma di affermare la capacità
umana di poter finalmente superare i limiti imposti da un occhio che
non riesce a catturare la luminosità senza esserne soverchiato. La
posta in gioco è dunque proprio quella offerta dall'enunciazione
dello stesso Searle: il buio è assenza, la luce è presenza e
occorre recuperarla, farla propria.
Il gioco si fa
filosoficamente raffinato, ma a Boyle non interessa emulare Kubrick o
Tarkovskij, quello che gli preme è elaborare visivamente questo
superamento percettivo, per rilanciare ancora una volta una sfida, e
ricreare così un cinema che lo spettatore debba sentire addosso,
come già successo con 28 giorni dopo. L'uomo di luce, il
sabotatore, è dunque ritratto sempre fuori fuoco, come a
riprodurre quell'intervallo in cui lo sguardo cerca di riprendersi
dall'abbaglio. E la sua sconfitta, che poi rappresenta anche la
riuscita della missione, coincide con il momento in cui Capa riesce
finalmente a restare immobile davanti alla massima luminescenza senza
restarne accecato, ma alzando invece il braccio come a voler/poter
afferrare il muro di fuoco che ha davanti a sé.
Il film risulta pertanto
di grande fascino visivo, ma è qualcosa in più di un semplice
esercizio di tecnica, è un tour de force stilistico con
un'anima profonda, che permette alla fantascienza di riverberare
sfide adulte che sembravano destinate a restare nel passato.
In attesa di vedere cosa
ci riserverà Prometheus può essere una buona idea
recuperarlo.
Sunshine
(id.)
Regia: Danny Boyle
Sceneggiatura: Alex
Garland
Origine: UK, 2007
Durata: 107'
3 commenti:
Bellissimo film di fantascienza, ma dai significati molteplici, come quelli che hai ampiamente sviscerato in questo bel post. Uno dei migliori di Boyle in assoluto.
Ale55andra
Grazie Alessandra, non ho visto tutti i film di Boyle, ma al momento anche per me questo è uno dei suoi migliori!
Gran film Sunshine, un paio di scorci sono assolutamente mozzafiato anche se la sceneggiatura in certi frangenti si fa un po' kitsch (il superboss finale è un po' campato in aria, ma ci sta...).
Peccato che poi Boyle si sia sfessato in India...
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