"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 13 luglio 2012

Take Shelter

Take Shelter

Curtis La Forche è sposato con Samantha e ha una figlia, Hannah, afflitta da problemi d'udito fin dalla nascita. Lavora in un cantiere ed è coperto da un'ottima assicurazione sanitaria, che gli permetterà di far operare la bambina. Un'inquietudine si fa però strada nella sua mente, sotto forma di sogni che preannunciano una tempesta di incredibili proporzioni. Ossessionato dalle emozioni violente trasmesse dagli incubi, Curtis inizia a manifestare un atteggiamento ostile verso gli altri e concentra tutti i suoi sforzi nell'ampliamento del rifugio presente in giardino, che dovrebbe preservare lui e i suoi cari dalla tempesta. Ben presto, le visioni iniziano a manifestarsi anche da sveglio e Curtis inizia a sospettare che in lui si annidi la stessa malattia mentale che anni prima aveva colpito sua madre. Ma è follia o c'è un fondo di verità nelle sue visioni?


Le nubi all'orizzonte come segno di una minaccia incombente, che porta con sé una pioggia anomala, limacciosa, dal sapore chiaramente apocalittico. Il folgorante incipit di Take Shelter diventa ancora più potente grazie a un sapiente lavoro di post produzione, che rende il paesaggio di sfondo volutamente artificioso, così come gli stormi degli uccelli, che descrivono anomale coreografie. È un uso espressivo di colori e effetti che trasfigurano la situazione reale in un qualcosa che è ancora al di qua del fantastico, ma è abbastanza insolito da suscitare naturalmente (emotivamente) il dubbio che ci sia qualcosa che non va. Perché siamo in un territorio onirico, visionario, sebbene la tendenza sia poi quella di mescolare i piani: realtà e sogno finiscono ben presto per sovrapporsi, in modo tale che lo spettatore vede il mondo direttamente dagli occhi di Curtis, rendendo quasi tutto il film una enorme soggettiva associata al personaggio.

Curtis, cioè, è in campo, ma la sua percezione diretta dello spazio, dei suoni e dei colori è condivisa interamente dal film (e dall'occhio dello spettatore), salvo quando non entrano in gioco figure terze che non la condividono e, dunque, ne svelano la finzione: il cambio della prospettiva è repentino, avviene senza che il pubblico se ne accorga e il regista Jeff Nichols lo gestisce con un'abilità e una precisione che già da sole basterebbero a scrivere il suo nome nella lista dei grandi autori del nuovo millennio. Quello che Curtis vede non è necessariamente la realtà. Forse però è una iperrealtà e in effetti il registro stilistico e narrativo prediletto da Nichols ha una doppia finalità: creare nello spettatore attesa, tensione e un concreto senso del mistero circa la verità delle visioni di Curtis; ma soprattutto empatizzare umanamente con un personaggio che nel corso della storia suscita sensazioni ambivalenti, per i suoi errori, per le sue paure, ma anche per la sincerità delle azioni generate da un umanissimo senso di impotenza di fronte a una minaccia insondabile.

Merito dell'incredibile prestazione di Michael Shannon, assolutamente gigantesco nel restituire il senso di spossatezza e frustrazione di un uomo piegato da un'ansia mai rappresentata con tanta forza espressiva: un'ansia che è innanzitutto diretta, in quanto frutto di visioni che lo vedono aggredito da cani feroci o dalle persone più vicine, come l'amata moglie Samantha (la bravissima Jessica Chastain). Da questo punto di vista, Take Shelter può essere addirittura considerato un horror, perché fa sue le caratteristiche fondanti del genere, ovvero il rovesciamento delle certezze, che diventano improvvisamente dei punti deboli, in cui lo spazio personale e privato, la sfera intima e familiare, è il ricettacolo della tensione. Ma, anche sotto questo aspetto, Jeff Nichols è bravo a scompaginare le carte e, rilancia l'idea di qualcosa che, più che al genere della paura, fa pensare ancora una volta al fantastico, a una sorta di fiaba chiaroscurale, carica di spunti inquieti. D'altra parte, il rimando al fantasy è palese quando vediamo il tornado all'orizzonte, e il pensiero corre a Il mago di Oz.

Questo registro mutevole, a metà fra racconto fantastico e dramma personale, che chiama in causa elementi concretissimi come la perdita del lavoro e l'operazione della figlia, è ciò che rende il film a un tempo ossessivo, carico di tensione, e anche incredibilmente affascinante, ipnotico. È una storia in cui succede poco, eppure si resta sempre aggrappati alla poltrona, si gode quasi del cadenzare lento del racconto, delle sue pause e dei suoi improvvisi scoppi d'ira, spesso provocati dai sogni. E, soprattutto, si prova grande tenerezza per quest'uomo e questa famiglia che deve lentamente ricostruire un rapporto di fiducia messo a dura prova dalla paura, in cui occorre fidarsi dell'altro prima ancora che delle proprie percezioni.

Naturalmente nulla vieta a questo punto di considerare soprattutto l'elemento metaforico, che rende l'odissea di Curtis un riflesso dei timori di un'epoca (la nostra) schiacciata dalla crisi economica e dalla disperazione di non riuscire a garantire una stabilità finanziaria alla propria famiglia. Lettura assolutamente legittima e pertinente, tipica peraltro di un autentico racconto americano basato sulla coesione di un gruppo lacerato da timori più grandi e dalla paura di non sopravvivere alla minaccia che viene dall'esterno. Ma è comunque una prospettiva incapace di esaurire la forza di un racconto che è soprattutto emotivo e che si vive sulla propria pelle, sopportandone il peso. Con il cuore, prima ancora che con la testa.

L'ambiguità, in ogni caso, non sarà sciolta fino alla fine: Curtis potrebbe essere realmente malato, ma forse no. D'altra parte questa non è una pellicola costruita come puro meccanismo narrativo. Al contrario, molto è lasciato al giudizio dello spettatore: il finale aperto non può che rappresentarne la migliore conclusione. Che non è affatto consolante, ma anzi amplifica l'angoscia e risulta, ancora una volta, molto affascinante.

Presentato al Festival di cannes 2011, il film è uscito da poco nelle sale italiane.


Take Shelter
(id.)
Regia e sceneggiatura: Jeff Nichols
Origine: Usa, 2011
Durata: 121'

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