Take Shelter
Curtis La Forche è
sposato con Samantha e ha una figlia, Hannah, afflitta da problemi
d'udito fin dalla nascita. Lavora in un cantiere ed è coperto da
un'ottima assicurazione sanitaria, che gli permetterà di far operare
la bambina. Un'inquietudine si fa però strada nella sua mente, sotto
forma di sogni che preannunciano una tempesta di incredibili
proporzioni. Ossessionato dalle emozioni violente trasmesse dagli
incubi, Curtis inizia a manifestare un atteggiamento ostile verso gli
altri e concentra tutti i suoi sforzi nell'ampliamento del rifugio
presente in giardino, che dovrebbe preservare lui e i suoi cari dalla
tempesta. Ben presto, le visioni iniziano a manifestarsi anche da
sveglio e Curtis inizia a sospettare che in lui si annidi la stessa
malattia mentale che anni prima aveva colpito sua madre. Ma è follia
o c'è un fondo di verità nelle sue visioni?
Le nubi all'orizzonte
come segno di una minaccia incombente, che porta con sé una pioggia
anomala, limacciosa, dal sapore chiaramente apocalittico. Il
folgorante incipit di Take Shelter diventa ancora più potente
grazie a un sapiente lavoro di post produzione, che rende il
paesaggio di sfondo volutamente artificioso, così come gli stormi
degli uccelli, che descrivono anomale coreografie. È un uso
espressivo di colori e effetti che trasfigurano la situazione reale in un
qualcosa che è ancora al di qua del fantastico, ma è abbastanza
insolito da suscitare naturalmente (emotivamente) il dubbio che ci
sia qualcosa che non va. Perché
siamo in un territorio onirico, visionario, sebbene la tendenza sia
poi quella di mescolare i piani: realtà e sogno finiscono ben presto
per sovrapporsi, in modo tale che lo spettatore vede il mondo
direttamente dagli occhi di Curtis, rendendo quasi tutto il film una
enorme soggettiva associata al personaggio.
Curtis, cioè, è in
campo, ma la sua percezione diretta dello spazio, dei suoni e dei
colori è condivisa interamente dal film (e dall'occhio dello
spettatore), salvo quando non entrano in gioco figure terze che non
la condividono e, dunque, ne svelano la finzione: il cambio della
prospettiva è repentino, avviene senza che il pubblico se ne accorga
e il regista Jeff Nichols lo gestisce con un'abilità e una
precisione che già da sole basterebbero a scrivere il suo nome nella
lista dei grandi autori del nuovo millennio. Quello che Curtis vede
non è necessariamente la realtà. Forse però è una iperrealtà
e in effetti il registro stilistico e narrativo prediletto da Nichols
ha una doppia finalità: creare nello spettatore attesa, tensione e un concreto senso del mistero circa la verità delle visioni di Curtis; ma soprattutto
empatizzare umanamente con un personaggio che nel corso della storia
suscita sensazioni ambivalenti, per i suoi errori, per le sue paure,
ma anche per la sincerità delle azioni generate da un umanissimo
senso di impotenza di fronte a una minaccia insondabile.
Merito dell'incredibile
prestazione di Michael Shannon, assolutamente gigantesco nel
restituire il senso di spossatezza e frustrazione di un uomo piegato
da un'ansia mai rappresentata con tanta forza espressiva: un'ansia
che è innanzitutto diretta, in quanto frutto di visioni che lo
vedono aggredito da cani feroci o dalle persone più vicine, come
l'amata moglie Samantha (la bravissima Jessica Chastain). Da questo
punto di vista, Take Shelter può essere addirittura
considerato un horror, perché fa sue le caratteristiche fondanti del
genere, ovvero il rovesciamento delle certezze, che diventano
improvvisamente dei punti deboli, in cui lo spazio personale e
privato, la sfera intima e familiare, è il ricettacolo della
tensione. Ma, anche sotto questo aspetto, Jeff Nichols è bravo a
scompaginare le carte e, rilancia l'idea di qualcosa che, più che al
genere della paura, fa pensare ancora una volta al fantastico, a una
sorta di fiaba chiaroscurale, carica di spunti inquieti. D'altra
parte, il rimando al fantasy è palese quando vediamo il tornado
all'orizzonte, e il pensiero corre a Il mago di Oz.
Questo registro mutevole,
a metà fra racconto fantastico e dramma personale, che chiama in
causa elementi concretissimi come la perdita del lavoro e
l'operazione della figlia, è ciò che rende il film a un tempo
ossessivo, carico di tensione, e anche incredibilmente affascinante,
ipnotico. È una storia in cui succede poco, eppure si resta sempre
aggrappati alla poltrona, si gode quasi del cadenzare lento del
racconto, delle sue pause e dei suoi improvvisi scoppi d'ira, spesso
provocati dai sogni. E, soprattutto, si prova grande tenerezza per
quest'uomo e questa famiglia che deve lentamente ricostruire un
rapporto di fiducia messo a dura prova dalla paura, in cui occorre
fidarsi dell'altro prima ancora che delle proprie percezioni.
Naturalmente nulla vieta
a questo punto di considerare soprattutto l'elemento metaforico, che
rende l'odissea di Curtis un riflesso dei timori di un'epoca (la
nostra) schiacciata dalla crisi economica e dalla disperazione di non
riuscire a garantire una stabilità finanziaria alla propria
famiglia. Lettura assolutamente legittima e pertinente, tipica
peraltro di un autentico racconto americano basato sulla coesione di
un gruppo lacerato da timori più grandi e dalla paura di non
sopravvivere alla minaccia che viene dall'esterno. Ma è comunque una
prospettiva incapace di esaurire la forza di un racconto che è
soprattutto emotivo e che si vive sulla propria pelle, sopportandone
il peso. Con il cuore, prima ancora che con la testa.
L'ambiguità, in ogni
caso, non sarà sciolta fino alla fine: Curtis potrebbe essere
realmente malato, ma forse no. D'altra parte questa non è una
pellicola costruita come puro meccanismo narrativo. Al contrario,
molto è lasciato al giudizio dello spettatore: il finale aperto non
può che rappresentarne la migliore conclusione. Che non è affatto
consolante, ma anzi amplifica l'angoscia e risulta, ancora una volta,
molto affascinante.
Presentato al Festival di
cannes 2011, il film è uscito da poco nelle sale italiane.
Take Shelter
(id.)
Regia e sceneggiatura:
Jeff Nichols
Origine: Usa, 2011
Durata: 121'
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