Turkey Shoot
1995. Un regime
totalitario è salito al potere per reprimere i disordini sociali, e
così sono stati creati dei campi speciali per rieducare i
“devianti”, ovvero chiunque manifesti un atteggiamento ribelle
verso le autorità. Al Campo 47 arrivano così Paul Anders, voce di
una trasmissione radiofonica clandestina che inneggia alla
ribellione; Chris Walter, ragazza normale e del tutto estranea ai
movimenti antigovernativi, rimasta coinvolta suo malgrado in
un'operazione di polizia; Rita Daniels, sospettata di attività
contrarie alla moralità pubblica. I tre vengono scelti da Charles
Thatcher, direttore del campo, per partecipare a una battuta di
caccia: loro saranno le prede e se riusciranno a sopravvivere per
un'intera giornata ai cacciatori (nelle cui fila milita lo stesso
Thatcher) riguadagneranno la libertà.
“30 anni prima di
Hunger Games, un altro
film catturò il cuore degli adolescenti”:
oggi Brian Trenchard-Smith può permettersi di scherzare quando posta
sulla sua bacheca Facebook qualche memorabilia di Turkey
Shoot, famigerato (s)cult-movie
da lui diretto in Australia nel 1982. Ma non è stato sempre così.
Il film ha infatti alle spalle una storia problematica, al punto che,
se il regista lo ricorda tutto sommato con divertimento, lo stesso
non fanno i membri del cast, che a sentirli parlare sembra rievochino
un vero e proprio viaggio all'Inferno. Le cose andarono in questo modo: pochi
giorni prima di iniziare a girare, il budget subì una grossa
decurtazione... c'è chi dice della metà, pare in realtà fosse
molto meno, ma comunque si parla di una bella somma, basti pensare
che i giorni di ripresa furono drasticamente ridotti da 44 a 30.
Peccato perché le ambizioni erano notevoli: si era dopotutto nel
pieno di un filone che si divertiva a immaginare realtà distopiche,
collocate in un futuro non troppo lontano e in grado di catturare
l'immaginazione degli spettatori, fornendo intriganti letture del
presente e delle sue spinte più turbolente. Pensiamo al capolavoro
1997: Fuga da New York,
che era uscito qualche mese prima, o anche alla saga di Mad
Max, che quando si ha a che fare
con il cinema australiano non si può fare a meno di nominare.
Così,
la produzione aveva pensato in grande, con un set in grado di
accogliere migliaia di comparse, e volti noti (e internazionali) come
l'argentina Olivia Hussey, l'americano Steve Railsback e l'inglese
Michael Craig, cui va aggiunto il David Hemmings di Blow
Up e Profondo
rosso, qui nelle vesti di
regista della seconda unità. Di fronte alle ristrettezze economiche,
Trenchard-Smith dové fare di necessità virtù e trasformò dunque
il suo film in un exploitation
tutta azione e violenza, indicato più per i drive-in e le
grindhouses, che per i
cinema del centro dove ormai si accoglieva a braccia aperte la
fantascienza, purché con ambizioni ben più alte. Le star rimasero, per le comparse ci si dovette arrangiare con un numero inferiore al previsto.
Se
l'Inghilterra ha comunque fatto sin dall'inizio la voce fuori dal
coro, premiando un film che vedeva un “Thatcher” nel ruolo del
cattivo (altro cascame delle iniziali ambizioni), con il tempo Turkey
Shoot è diventato materia per
cinefili di nicchia, complice magari la riscoperta dell'Ozploitation
operata dal documentario Not Quite Hollywood di Mark
Hartley (che pure lo reputa “un brutto film”). A rivederlo oggi
sembra La pericolosa partita
in sedicesimo, girata però come se il regista avesse in testa Quella
sporca dozzina. La mano di
Trenchard-Smith è energica, e la sua volontà caparbia di portare a
casa un risultato ci dona un film assolutamente ostinato nell'offrire
emozioni forti, con molte belle intuizioni e un tripudio di azione e
violenza sempre attento a mantenere la piena coerenza
dell'operazione. Voglio dire: quanti B-movie abbiamo visto che, sì,
sono pieni di budella e frattaglie... certo, presentano mostri e
situazioni strane a tutti i costi... senz'altro non disdegnano nudi,
sadiche virago in odore di lesbismo e altre divertite sortite nel
sexploitation... ma
che sono terribilmente scollati nelle loro parti e drammaticamente
noiosi? Ecco, Turkey Shoot
è esattamente il contrario: ogni scena è chiaramente protesa a
mantenere il livello del film oltre la soglia dell'interesse, e tara
la tonalità del film su una follia senza cedimenti, che spinge a
proseguire la visione in uno stato di grande divertimento.
Il
che agevola anche la seconda lettura, più “teorica”, per come
Trenchard-Smith ha creato, suo malgrado, il perfetto ibrido
post-moderno: se un Tarantino o un Rodriguez lo rifacessero oggi non
riuscirebbero a rendere Turkey Shoot
meno composito e citazionista. Accanto ai riferimenti nobili già
citati in precedenza, infatti, il film guarda anche al classico
filone delle “donne in prigione” o a quello delle mutazioni
corporee, con la figura assolutamente estemporanea dell'uomo bestia
che sembra uscito dall'Isola del dottor Moreau.
E, naturalmente, il basso budget e la povertà esibita di molte
situazioni finiscono per rendere tali riferimenti filologicamente
corretti, pur nella dissonanza con la classica cura visiva dei film australiani (che magari giustifica le critiche di tradizionalisti e addetti ai lavori). E' come se il film fosse costruito su due livelli: quello
del lavoro sul set, che ci dona un quadro povero di elementi e con
effetti posticci (figli del basso budget); e quello della
post-produzione, dove il regista ha fatto miracoli per dare ritmo
alle scene e unirle a una efficace colonna sonora.
Qualcosa
insomma a metà fra l'immediatezza del gesto sul set, dove si cerca
di “catturare” le reazioni più spontanee ed efficaci possibili,
e l'astuta pianificazione in sala di montaggio, dove si dona
organicità al materiale. Per questo si apprezzano alcuni elementi
fortuiti come la recitazione nervosissima di Olivia Hussey (pare
provocata dal reale timore dell'attrice per le minacce del selvaggio
entroterra australiano) e altri causati dall'ingegno, come l'attento
lavoro di costruzione dei flashback che, in poche battute,
contestualizza i personaggi e permette di capire come sono finiti nel
campo di prigionia - il prologo infatti fu la prima cosa a essere
tagliata quando il budget si rivelò più basso del previsto,
parliamo di 15 pagine di sceneggiatura letteralmente stracciate via
in un attimo.
Eccessivo
nei toni e cartoonesco nella messinscena, Turkey Shoot
rimane quindi un esempio di cinema a tutti i costi,
in grado di regalare più di una sorpresa, e rappresenta un buon
biglietto da visita per i territori selvaggi della Ozploitation, che
continueremo a esplorare in altri appuntamenti del Nido. In Italia è
inedito, ma è uscito in DVD in America, Inghilterra e, ovviamente,
Australia, sempre senza qualsivoglia sottotitolo (per questo
resoconto mi sono rifatto all'edizione della Umbrella Entertainment,
ovvero quella australiana, corredata di interessanti extra): lo si
consiglia pertanto a chi mastica abbastanza l'inglese, anche se il
meccanismo puramente spettacolare lo rende comunque comprensibile e
non inficia particolarmente la godibilità delle scene più “forti”.
In America è noto come Escape 2000,
mentre in Inghilterra come Blood Camp Thatcher.
Turkey Shoot
Regia: Brian
Trenchard-Smith
Sceneggiatura: Jon
George, Neill D. Hicks (soggetto di David Lawrence, George Schenck,
Robert Williams)
Origine: Australia,
1981
Durata:
88'
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