"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

sabato 28 luglio 2012

Roadgames

Roadgames

Quid guida il suo camion lungo le strade dell'Outback australiano insieme all'inseparabile dingo: fa quel lavoro da tempo, ma non si considera necessariamente un camionista. Il suo nuovo viaggio lo porterà a Sidney per consegnare una partita di carne, ma la sua attenzione viene ben presto attratta da un misterioso individuo, che si comporta in modo strano. Non passa molto tempo che Quid si convince che l'uomo sia in realtà un assassino: in effetti la radio diffonde la notizia di un killer che strangola le sue vittime con corde di chitarra. Sulle strade infinite dell'entroterra australiano si consuma così un bizzarro gioco, in cui Quid cerca di smascherare il colpevole e questi cerca di impedirglielo. Successivamente, Quid carica a bordo del suo camion“Hitch”, un'autostoppista in cerca di avventure, che lo aiuta nelle sue indagini. Le cose sono però complicate dal fatto che varie coincidenze spingono le autorità a credere che in realtà Quid stesso sia “il pianista”...


Ogni cinematografia “nascosta” ha il suo outsider, l'autore da rivalutare, quello che più che riassumere le caratteristiche estetiche e culturali del filone le travalica, risaltando come un valido regista tout-court, da non assimilare necessariamente ai territori dell'exploitation: nel caso dell'Australia, il nome in questione è quello di Richard Franklyn, purtroppo scomparso prematuramente nel 2007 e che si era rivelato nel 1978 con l'horror Patrick, per poi passare a Hollywood nel 1983 con Psycho II. Progetto, quest'ultimo, decisamente annunciato, a dir poco scritto nel suo destino, dal momento che Franklyn era soprattutto un fervente ammiratore di Sir Alfred Hitchcock.

Per questo, fra i due progetti citati si situa questo interessante Roadgames (a volte scritto “Road Games”), che nasce da un'intuizione tanto felice quanto ambiziosa: trasporre la formula di un altro celebre capolavoro hitchcockiano, La finestra sul cortile, dallo spazio chiuso degli appartamenti a quello aperto delle strade che tagliano l'entroterra australiano. Il che già di per sé implica la sfida del movimento e dell'apertura dello sguardo: come fare a riprodurre la dinamica interpersonale fra detective (seppur improvvisato) e assassino nell'orizzonte sconfinato offerto dalle terre australi? Franklyn ha la risposta pronta, quando rivela che proprio l'indefinitezza dello scenario autostradale rende più facile l'interazione: in mezzo al nulla si è in pochi, ci si incontra spesso, ci si conosce e riconosce... ragion per cui si nota più facilmente l'elemento fuori posto, garantito, nel caso specifico, dall'assassino.

Che il meccanismo del whodunit non interessi al regista è evidente: il killer viene rivelato subito (è il celebre stuntman Grant Page) e, addirittura, lo si vede persino nel trailer, insieme al finale del film (!). Nessun pericolo di effetto sorpresa, insomma, perché ciò che conta è il “gioco”, che la pellicola chiama in causa attraverso una struttura a triplice strato. A un livello immediato, infatti, il gioco è quello del gatto con il topo, che si instaura fra Quid e il suo rivale e che produce la suspense. È il livello dell'emulazione, quello con cui Franklyn paga pegno al maestro inglese, riproducendo con abilità le dinamiche e il gioco di fascinazione per l'indagine e l'omicidio. Il regista offre belle sequenze d'azione e tensione, e lavora sull'estetica, offrendo un assassino dall'apparenza smunta e poco carismatica, che però è protagonista di una sequenza iniziale sbalorditiva per la sua eleganza formale (pure questa è presente nel trailer): lo vediamo infatti eliminare la sua vittima in un'atmosfera quasi onirica, garantita dalle tonalità con cui è ripresa la stanza d'albergo. L'uomo si veste con meticolosità dopo una notte d'amore, indossa i suoi guanti di pelle ed emerge come una presenza infernale dai fumi del bagno in piena luce, entrando nella stanza in penombra. Qui la sua vittima, nuda, accarezza le corde di una chitarra abbandonandosi quasi in trance all'abbraccio mortale dell'assassino. Perfetto!

L'impatto della scena ossequia una certa cifra estetizzante tipica del cinema australiano e esalta il lavoro di uno dei migliori direttori della fotografia di quella piazza, Vincent Monton. La composizione dell'azione, invece, rivela il peso specifico dello sguardo autoriale di Franklyn e apre il film alle varie contaminazioni con i sottogeneri coevi. Da Hitchcok si passa quindi a De Palma e Carpenter (quest'ultimo chiamato in causa anche dalla presenza iconica di Jamie Lee Curtis, all'epoca reduce da Halloween e Fog). Ma, ancora più interessante è il fatto che una struttura così “porosa”, riesca naturalmente a precorrere anche atmosfere che ritroveremo in seguito: l'intera vicenda infatti anticipa alcuni passaggi dello splendido The Hitcher, sul quale pure si tornerà, nell'ambito di questo percorso dedicato all'Ozploitation.

Il secondo livello è poi quello ludico puramente inteso: Quid infatti, prima ancora di improvvisarsi detective, si diverte a giocare con le persone che carica a bordo. Il gioco per lui è un'occasione di confronto con quella realtà che lo circonda, che lo tratta un po' come estraneo e che lui commenta sempre ad alta voce, da bravo americano trapiantato (non si sa se per caso o per scelta) dall'altra parte del mondo. La sua personalità appare dunque duttile, come dimostra anche la sua convinzione ferma di non voler essere etichettato come un semplice camionista solo per il mezzo che guida: per certi versi è come se l'avventura esplicitasse una sua tensione alla fuga dal veicolo e alla routine di una guida che lo spinge invece alla simbiosi con il mezzo. Qui Franklyn sembra rivendicare la matrice personale del suo cinema.

Il che ci porta al terzo e ultimo livello, quello dell'equivoco: come si scriveva a proposito di Not Quite Hollywood, infatti, il cinema australiano di genere sta a metà strada fra stilemi espressivi propri e l'emulazione dei modelli americani. Il punto di vista esterno fornito da attori statunitensi come Stacky Keach e Jamie Lee Curtis sottolinea questa tensione al doppio registro, al guardare al proprio paese, ma attraverso uno sguardo altro: ancor prima che per esplicitare il difficile rapporto della stessa Australia con il proprio entroterra, Franklyn in questo caso rimarca la tendenza di quel cinema a non essere capito, un po' come accade con Quid che viene scambiato erroneamente per l'assassino.

In ragione di tutti questi elementi, Roadgames è un film che riesce a offrirsi come prodotto molto più complesso di quanto non appaia, per certi versi anche difficilmente classificabile nonostante la struttura di genere ben determinata: merito dell'accorta regia di Franklyn che, pur con qualche concessione un po' grossolana all'effetto shock (come accade con l'apparizione del canguro) confeziona un prodotto compatto e appassionante. Ma non va sottovalutato anche l'apporto dello sceneggiatore Everett De Roche, figura centrale in molte fra le più interessanti produzioni Ozploitation del passato e anche del presente.

Nonostante l'apporto fornito dai due divi americani, Roadgames è rimasto purtroppo inedito in Italia: anche in questo caso esistono edizioni DVD estere curate da Umbrella o Anchor Bay, con tanto di intervista al regista. Il tutto, ancora una volta, senza sottotitoli.


Roadgames
Regia: Richard Franklyn
Sceneggiatura: Everett De Roche
Origine: Australia, 1981
Durata: 101

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