Roadgames
Quid guida il suo
camion lungo le strade dell'Outback australiano insieme
all'inseparabile dingo: fa quel lavoro da tempo, ma non si considera
necessariamente un camionista. Il suo nuovo viaggio lo porterà a
Sidney per consegnare una partita di carne, ma la sua attenzione
viene ben presto attratta da un misterioso individuo, che si comporta
in modo strano. Non passa molto tempo che Quid si convince che l'uomo
sia in realtà un assassino: in effetti la radio diffonde la notizia
di un killer che strangola le sue vittime con corde di chitarra.
Sulle strade infinite dell'entroterra australiano si consuma così un
bizzarro gioco, in cui Quid cerca di smascherare il colpevole e
questi cerca di impedirglielo. Successivamente, Quid carica a bordo
del suo camion“Hitch”, un'autostoppista in cerca di avventure,
che lo aiuta nelle sue indagini. Le cose sono però complicate dal
fatto che varie coincidenze spingono le autorità a credere che in
realtà Quid stesso sia “il pianista”...
Ogni cinematografia
“nascosta” ha il suo outsider, l'autore da rivalutare, quello che
più che riassumere le caratteristiche estetiche e culturali del
filone le travalica, risaltando come un valido regista tout-court,
da non assimilare necessariamente ai territori dell'exploitation: nel
caso dell'Australia, il nome in questione è quello di Richard
Franklyn, purtroppo scomparso prematuramente nel 2007 e che si era
rivelato nel 1978 con l'horror Patrick, per poi passare a
Hollywood nel 1983 con Psycho II. Progetto, quest'ultimo,
decisamente annunciato, a dir poco scritto nel suo destino, dal
momento che Franklyn era soprattutto un fervente ammiratore di Sir
Alfred Hitchcock.
Per questo, fra i due
progetti citati si situa questo interessante Roadgames
(a volte scritto “Road Games”), che nasce da un'intuizione
tanto felice quanto ambiziosa: trasporre la formula di un altro
celebre capolavoro hitchcockiano, La finestra sul cortile,
dallo spazio chiuso degli appartamenti a quello aperto delle strade
che tagliano l'entroterra australiano. Il che già di per sé implica
la sfida del movimento e dell'apertura dello sguardo: come fare a
riprodurre la dinamica interpersonale fra detective (seppur
improvvisato) e assassino nell'orizzonte sconfinato offerto dalle
terre australi? Franklyn ha la risposta pronta, quando rivela che
proprio l'indefinitezza dello scenario autostradale rende più facile
l'interazione: in mezzo al nulla si è in pochi, ci si incontra
spesso, ci si conosce e riconosce... ragion per cui si nota più
facilmente l'elemento fuori posto, garantito, nel caso specifico,
dall'assassino.
Che il meccanismo del
whodunit non interessi al regista è evidente: il killer viene
rivelato subito (è il celebre stuntman Grant Page) e, addirittura, lo si vede persino nel trailer,
insieme al finale del film (!). Nessun pericolo di effetto sorpresa,
insomma, perché ciò che conta è il “gioco”, che la pellicola
chiama in causa attraverso una struttura a triplice strato. A un
livello immediato, infatti, il gioco è quello del gatto con il topo,
che si instaura fra Quid e il suo rivale e che produce la suspense.
È il livello dell'emulazione, quello con cui Franklyn paga
pegno al maestro inglese, riproducendo con abilità le dinamiche e il
gioco di fascinazione per l'indagine e l'omicidio. Il regista offre
belle sequenze d'azione e tensione, e lavora sull'estetica, offrendo
un assassino dall'apparenza smunta e poco carismatica, che però è
protagonista di una sequenza iniziale sbalorditiva per la sua
eleganza formale (pure questa è presente nel trailer): lo vediamo
infatti eliminare la sua vittima in un'atmosfera quasi onirica,
garantita dalle tonalità con cui è ripresa la stanza d'albergo.
L'uomo si veste con meticolosità dopo una notte d'amore, indossa i
suoi guanti di pelle ed emerge come una presenza infernale dai fumi
del bagno in piena luce, entrando nella stanza in penombra. Qui la
sua vittima, nuda, accarezza le corde di una chitarra abbandonandosi
quasi in trance all'abbraccio mortale dell'assassino. Perfetto!
L'impatto della scena
ossequia una certa cifra estetizzante tipica del cinema australiano e
esalta il lavoro di uno dei migliori direttori della fotografia di quella piazza, Vincent Monton. La composizione
dell'azione, invece, rivela il peso specifico dello sguardo autoriale
di Franklyn e apre il film alle varie contaminazioni con i
sottogeneri coevi. Da Hitchcok si passa quindi a De Palma e Carpenter
(quest'ultimo chiamato in causa anche dalla presenza iconica di Jamie
Lee Curtis, all'epoca reduce da Halloween e Fog). Ma,
ancora più interessante è il fatto che una struttura così
“porosa”, riesca naturalmente a precorrere anche atmosfere che
ritroveremo in seguito: l'intera vicenda infatti anticipa alcuni
passaggi dello splendido The Hitcher, sul quale pure si
tornerà, nell'ambito di questo percorso dedicato all'Ozploitation.
Il secondo livello è poi
quello ludico puramente inteso: Quid infatti, prima ancora di
improvvisarsi detective, si diverte a giocare con le persone che
carica a bordo. Il gioco per lui è un'occasione di confronto con
quella realtà che lo circonda, che lo tratta un po' come estraneo e
che lui commenta sempre ad alta voce, da bravo americano trapiantato
(non si sa se per caso o per scelta) dall'altra parte del mondo. La
sua personalità appare dunque duttile, come dimostra anche la sua
convinzione ferma di non voler essere etichettato come un semplice
camionista solo per il mezzo che guida: per certi versi è come se
l'avventura esplicitasse una sua tensione alla fuga dal veicolo e
alla routine di una guida che lo spinge invece alla simbiosi con il
mezzo. Qui Franklyn sembra rivendicare la matrice personale del suo
cinema.
Il che ci porta al terzo
e ultimo livello, quello dell'equivoco: come si scriveva a
proposito di Not
Quite Hollywood, infatti, il cinema australiano di genere sta
a metà strada fra stilemi espressivi propri e l'emulazione dei
modelli americani. Il punto di vista esterno fornito da attori
statunitensi come Stacky Keach e Jamie Lee Curtis sottolinea questa
tensione al doppio registro, al guardare al proprio paese, ma
attraverso uno sguardo altro:
ancor prima che per esplicitare il difficile rapporto della stessa
Australia con il proprio entroterra, Franklyn in questo caso
rimarca la tendenza di quel cinema a non essere capito, un po' come
accade con Quid che viene scambiato erroneamente per l'assassino.
In ragione di tutti
questi elementi, Roadgames è un film che riesce a offrirsi
come prodotto molto più complesso di quanto non appaia, per certi
versi anche difficilmente classificabile nonostante la struttura di
genere ben determinata: merito dell'accorta regia di Franklyn che,
pur con qualche concessione un po' grossolana all'effetto shock (come
accade con l'apparizione del canguro) confeziona un prodotto compatto
e appassionante. Ma non va sottovalutato anche l'apporto dello
sceneggiatore Everett De Roche, figura centrale in molte fra le più
interessanti produzioni Ozploitation del passato e anche del
presente.
Nonostante l'apporto
fornito dai due divi americani, Roadgames è rimasto purtroppo
inedito in Italia: anche in questo caso esistono edizioni DVD estere
curate da Umbrella o Anchor Bay, con tanto di intervista al regista.
Il tutto, ancora una volta, senza sottotitoli.
Roadgames
Regia: Richard
Franklyn
Sceneggiatura: Everett
De Roche
Origine: Australia,
1981
Durata: 101
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