"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 20 dicembre 2011

Midnight in Paris

Midnight in Paris

Gil è uno sceneggiatore hollywoodiano stanco del suo lavoro e che vorrebbe fare un salto di qualità realizzando finalmente un romanzo. La sua relazione con Inez risente di queste frustrazioni, poiché la ragazza lo ritiene un eterno indeciso con il mito nostalgico degli anni Venti e, durante un loro viaggio a Parigi, gli preferisce la compagnia di John, un amico sempre pronto a fare sfoggio della sua erudizione. Una sera, rimasto solo mentre passeggia per le vie di Parigi, Gil si ritrova per magia negli anni Venti e ha così modo di conoscere Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Salvador Dalì, Pablo Picasso e Gertrude Stein, alla quale chiede consigli per il suo romanzo. L'euforica esperienza lo porta in breve a dedicare le giornate alla scrittura e le notti alle avventure nel passato.


Mi piace pensare a Woody Allen che, fra una session di jazz e una passeggiata per le vie delle sue città predilette, si fa venire in mente l'idea di Midnight in Paris, stimolato dai continui commenti dei nostalgici delle sue prime opere, sempre lì a rinfacciargli una certa stanchezza registica e a fare paragoni con il passato. Non che il film sia animato da chissà quale intento “vendicativo”, si badi, perché Allen è autore troppo raffinato per star dietro a queste mie fantasticherie: eppure è un dato di fatto che l'anti-elogio della nostalgia (quella acritica peraltro) sia il fulcro della storia, ma soprattutto l'epicentro di un più stratificato discorso sui tentativi che l'uomo (e spesso anche l'arte) fanno di “fermare il tempo” in un eterno presente che sia sovrapposto perfettamente ai dettami del passato.

Conseguentemente il passato diventa non solo la matrice del presente, ma anche l'alibi più facile per sdoganare se stesso nell'attualità: il riferimento principale non è al sognatore Gil, ma all'erudito personaggio dell'ottimo Michael Sheen, che fa sfoggio di sé e ammalia le donne in virtù della sua conoscenza delle opere del passato. In realtà il gioco riesce bene perché Allen immerge i suoi personaggi in un sistema di riferimenti che è emblema della cristallizzazione, giocando volutamente con un certo effetto cartolina giocoforza necessario alla sua fiaba per prendere corpo. Il film può dunque essere visto come un sottilmente ironico atto di elegia verso la città di Parigi e l'immaginario che essa naturalmente evoca, la sua funzione di polo attrattore del turismo culturale, per i musei, i palazzi e anche i paesaggi resi celebri dai quadri di Monet.

Non appare perciò casuale il fatto che a districarsi dalle maglie di uno spazio che riverbera se stesso in quanto emblema delle rappresentazioni passate sia un uomo doppiamente scentrato come Gil: che è americano e dunque perfettamente dentro le logiche di fascinazione che solo il turista può provare per un'altra città; ma è anche uno scrittore, dunque una figura che conosce i meccanismi dell'affabulazione ed è abituato a rielaborare e filtrare la realtà per arrivare all'immaginario. A lui spetta il compito di incarnare la moderna Cenerentola che non deve tornare al ballo entro la mezzanotte, ma che al contrario proprio allo scoccare della stessa ora può iniziare il suo viaggio fantastico fra le ere.

Il passaggio “attraverso lo specchio” di Gil è concertato da Allen con la levità del giovane sognatore, che applica al suo protagonista un'espressione perennemente stupita e capace di trasmettere un senso della meraviglia alquanto sconosciuto a chi gli sta vicino. Ma anche con una vena più oscura, dove la caratterizzazione dei personaggi storici, da Fitzgerald a Dalì, gioca tanto con quella che è l'opinione codificata degli stessi, quanto con un sottile gusto dissacratorio che sfiora il macchiettismo. A tratti si ha l'impressione di assistere a un racconto di fantasmi, di anime imprigionate in un tempo nel quale non si riconoscono, in una girandola di situazioni che – a vari livelli temporali – evocano sempre lo stesso atteggiamento insoddisfatto, una sorta di eterna danza della morte alla Carnival of Souls. In questo Allen dimostra l'atteggiamento tipico dell'uomo di esperienza, che sa dunque giocare con la materia che crea fascinazione, ma al contempo sa anche ridimensionare la stessa mettendone in scena le fragilità, spesso profondamente umane (tacendo di autentiche venature negative, evidenti in vizi come collericità o alcolismo).

Pertanto Midnight in Paris riesce a funzionare sia come fiaba, sia come monito al rapporto di ogni persona con il tempo (proprio e altrui), in un gioco di riferimenti interni e esterni che diverte e affascina, ma allo stesso tempo sa mettere in scena riflessioni non banali, pur apparendo semplicemente ameno: merito di uno stile classico e dunque capace di gestire l'andirivieni temporale in modo diretto e lineare, lavorando però sulle sfumature. A questo vanno aggiunti un Owen Wilson finalmente in parte e capace di riscuotere le simpatie dello spettatore, un eccellente lavoro di casting in generale, e la bella fotografia di Darius Kondji, uno che di creare atmosfere fantastiche con la luce se ne intende!

La risoluzione di tutto ciò è il tentativo del protagonista di affrancarsi dalle due realtà in cui è imprigionato, passeggiando sotto una pioggia che letteralmente lava via quell'aura patinata che staziona fra le immaginarie feste del passato e l'itinerario turistico e lo sfarzo degli interni prediletti dai suoceri (e dall'ingrata fidanzata) nel presente. Punto di partenza ideale per nuove vite e storie, come testimonia l'incontro finale.

In definitiva ci voleva un giovane vecchio come Woody Allen per creare una fiaba così stimolante, e capace – con l'arma dell'ironia – di dirci molte più cose sul presente di quanto non si creda. Chi fa finta di non accorgersi del suo valore vive fuori dal tempo: chissà, forse proprio nel passato.


Midnight in Paris
(id.)
Regia e sceneggiatura: Woody Allen
Origine: Francia/Usa, 2011
Durata: 100'


2 commenti:

Babol ha detto...

Un film bellissimo, per me che amo Parigi. E' proprio vero che non si può visitare la città e poi pretendere di vivere altrove... e un grande Woody Allen, che pur non mi fa impazzire. Ma questo film l'ho visto come una specie di regalo, davvero!

Anonimo ha detto...

Non sono parimenti entusiasta, pur avendolo trovato comunque un buon film, però il Dalì di Brody l'ho trovato davvero entusiasmante.

Ale55andra