Torino 2011: Day 8
Chi frequenta i festival
di cinema sa bene che un film a sorpresa spesso può non essere
veramente tale, ma quando è arrivata la notizia che Torino tirava
fuori dal cilindro nientemeno che l'ultimo, attesissimo, Twixt
di Francis Ford Coppola il pensiero è stato unanime: stavolta la
sorpresa si può dire riuscita! Ed è addirittura doppia se
consideriamo che il risultato è oltremodo spiazzante per come si
distanzia dalle recenti sperimentazioni del regista americano: la
vicenda è minimale, incentrata su uno scrittore horror in un
paesello americano dove è stato compiuto un fatto di sangue che
diventa l'ispirazione per il suo nuovo romanzo. Netto è anche
l'avvicinamento – o meglio il ritorno, considerando i primi passi
alla factory di Roger Corman – a un genere puro come, appunto,
l'horror, con tanto di vampiri, realtà oniricamente disturbate e
disturbanti, una presenza femminile fantasmatica (la brava Elle
Fanning) e nientemeno che Edgar Allan Poe, novello Virgilio nei
deliri onirici del protagonista, in bilico fra passato e presente in
un luogo che sembra essere, per l'appunto, fuori dal tempo. Coppola è
sempre più un regista che ama sperimentare, e sfrutta il genere per
intessere un gioco di scatole cinesi fra realtà, finzione e
demistificazione, lavorando sui contrasti fra bianconero e colore
(con giochi a volte molto raffinati) e fra immagine digitale e
inserti 3D. Il risultato è sicuramente curioso e coerente con la
poetica dell'autore, ma il tutto risulta un po' freddo e meno
entusiasmante del solito. Il lavoro del grande regista americano si
iscrive fra due film curiosamente tangenti tra loro e che rinunciano
a ogni possibile deriva fantastica in favore di un tema quantomai
realista, quello del cancro. In 50/50, di Jonathan Levine,
presentato nel Concorso Lungometraggi, un ragazzo (l'ottimo Joseph
Gordon Levitt, che si conferma fra i migliori interpreti sulla scena
contemporanea) scopre infatti di essere afflitto dal terribile male e
lo affronta insieme a una sorta di “corte dei miracoli” formata
dall'amico egoista, dalla fidanzata fedigrafa e dalla madre
iperprotettiva. La confezione guarda alla neo commedia contemporanea,
legame stabilito anche dalla presenza di Seth Rogen, ma il tono è
insolitamente malinconico e empatico nei confronti del dramma del
protagonista, e lascia che la risata si stemperi nel dramma
rinunciando a pietismi e eccessi ridanciani per comporre un affresco
sincero e che sembra costituire una sorta di possibile evoluzione
“intimista” del genere. La distribuzione italiana è della Eagle
Pictures. A questo risponde Sion Sono con Chanto Tsutaeru/Be Sure
to Share, dove il male colpisce un ex allenatore di calcio e
costringe il figlio a tentare di recuperare il tempo perduto con lui.
Il ragazzo peraltro si scopre anch'egli afflitto dallo stesso male,
in una chiara metafora della condivisione che diventa finalmente la
traccia portante di un film liberatorio e dedicato alla memoria del
padre del regista: se nelle altre pellicole viste al festival,
infatti, Sono ha sempre preferito raccontare la tragedia di un popolo
costretto a non poter vivere in prima persona i propri drammi perché
schiacciato dal peso delle convenzioni che incasellano in ruoli e
comportamenti predefiniti, stavolta i personaggi possono compiere un
percorso di evoluzione il cui approdo è la necessità di condividere
i pensieri, le emozioni e i problemi. Il regista sfrutta ancora una
volta il suo consueto gusto per l'estremo, confinato però a una sola
sequenza in cui il figlio “rapisce” il cadavere del padre per
portarlo a pescare come gli aveva promesso: un momento pure
grottesco, ma che rappresenta un autentico gesto di volontà
contrario a ogni convenzione (anche filmica) e che apre il film alla
svolta, simboleggiata dal rapporto fra il ragazzo e la sua promessa
sposa per la scelta che condizionerà il prosieguo delle loro vite.
Un gioiello da recuperare a tutti i costi e il film in assoluto più
spiazzante del regista: un'altra sorpresa riuscita, insomma.
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