Real Steel
Nel 2020 i
combattimenti fra umani sono stati sostituiti da gare fra robot, in
grado di assicurare maggiore spettacolarità. Charlie Kenton è un ex
pugile che non ha saputo sfruttare la sua chance e ora si arrangia
partecipando a gare di “robot boxing” con i giganti meccanici che
riesce ad assemblare, ma le cose non gli vanno troppo bene. Oberato
dai debiti e sempre alla ricerca di un nuovo ingaggio, Charlie si
ritrova anche costretto a badare per un'estate al figlio che non ha
mai voluto seguire e che ora a 11 anni, è rimasto senza madre e deve
passare sotto la custodia degli zii. Il ragazzo, Max, pur mostrandosi
scontroso verso il genitore, si appassiona agli incontri di “robot
boxing”, ancor più quando, in una discarica, recupera Atom, un
robot di vecchia generazione che decide di far combattere. Per far
questo, però, occorre che Atom sia allenato da un esperto come
Charlie...
All'indomani di
Transformers era logico aspettarsi che il genere dei robot
giganti dilagasse nel pur vasto mare di offerte hollywoodiane, ma a
conti fatti il solo Steven Spielberg sembra voler continuare a
premere perché gli automi restino centrali nell'immaginario delle
nuove generazioni. La sua missione non è soltanto regalare un
infantile divertimento, ma al contrario (ri)edificare una neo
mitologia che strappi al Giappone quella preminenza da sempre
detenuta all'interno di questo tipo di storie. Non appare pertanto
casuale che Real Steel ponga in essere proprio un discorso di
appartenenze e di aderenze a modelli distanti dalla propria cultura.
L'ispirazione è un racconto di Richard Matheson, già trasposto come
secondo episodio della quinta stagione di Ai confini della realtà:
una scelta non casuale, soprattutto in virtù che proprio da un altro
racconto dello stesso scrittore Spielberg aveva compiuto il grande
passo verso il successo, quando, nel 1972, aveva diretto lo splendido
Duel.
Una simile suggestione si
va dunque a sovrapporre a un altro riferimento, ravvisabile nel nome
Atom, che ci riporta a Astroboy, primo robot dell'animazione
giapponese, creato da Osamu Tezuka. I riferimenti al Giappone nel
film sono molto precisi, si va dall'automa Noisy Boy (che, non
casualmente, ascolta solo gli ordini nella lingua dell'Est e deve
perciò essere settato su quella americana) al nemico finale, lo zeus
di Tak Mashido. Alla spinta innovatrice dell'Est, il film oppone una
visione conservatrice (nel senso non deteriore del termine) che si
rifà ai valori fondanti della cultura americana: senso
dell'individualismo che spinge a dare il massimo per la vittoria, ma
anche dell'appartenenza a un luogo (la palestra), a una comunità (la
famiglia e il figlio), a un percorso di vita (lo sport).
Narrativamente, questo
intento permette al film di procedere lungo coordinate codificate,
che guardano a icone americane come Sylvester Stallone: appare
alquanto evidente, infatti, che il film segua in maniera molto
precisa due opere dell'attore americano, Over the Top, per il
rapporto padre/figlio cementato da una condivisione d'intenti e di
ideali sportivi che si oppone alle mire di una famiglia che intende
separarli; e poi Rocky, su cui è praticamente costruita tutta
l'architettura della parte finale, con l'estenuante combattimento fra
Atom e Zeus. Nel rendere puramente americana l'avventura del robot,
inoltre, Spielberg innesta la componente della condivisione e della
comprensione, centrali già nel primo Transformers: Charlie
deve così condividere il destino del suo robot, guidandone
semplicemente i movimenti.
Ma questo rapporto
padrone/esecutore lentamente si smarca dalla semplice sudditanza e
prende la forma di una simbiosi: la storia non a caso gioca con la
possibilità che Atom possa essere realmente dotato di una sua
volontà. E' un'ipotesi cui sembra credere ciecamente lo stesso Max,
ma che non viene mai confermata del tutto. Ciò che invece conta è
il progressivo avvicinamento fra l'uomo e la macchina, che procede in
parallelo a quello fra il padre e il figlio: i due imparano a
conoscersi e apprendono dettagli dei rispettivi passati che li
rendono meno prigionieri di un ruolo e sempre più persone destinate
a formare un nuovo legame, pur sulla matrice storica, sociale e
culturale che l'istituzione-famiglia inerzialmente impone (Max è
convocato per redigere formalmente l'atto con cui rinuncia alla
patria potestà e questo innesca la storia).
Pertanto, Atom diventa il
fulcro di una triangolazione fra due differenti persone (Charlie e
Max) e altrettanti immaginari: quello del giovane tifoso che sogna
l'avventura fantastica esaltandosi di fronte ai giganti meccanici; e
quello dello sportivo tradizionale che deve riscoprire il gusto per
la tecnica, andando ben presto oltre l'entertainment puramente
tecnologico. Il percorso è articolato lungo una logica progressiva:
si va dal classico telecomando, al comando manuale, fino al finale in
cui – sfruttando la capacità di Atom di riprodurre i movimenti –
Charlie letteralmente “combatte” a bordo ring la partita della
vita, che l'automa riprende in modo succedaneo fra le corde.
La sovrapposizione di
vite e iconografie arriva dunque a compimento e perciò Real Steel
riesce a raggiungere la sintesi fra le suggestioni differenti da cui
è generato: un po' film di fantascienza e un po' classico racconto
sportivo, diventa un film puramente americano, pur con suggestioni
orientaleggianti. La regia di Shawn Levy si dimostra perfettamente
professionale e al servizio della storia, riuscendo a conferire al
tutto quella giusta medietà da prodotto di massa, capace perciò di
esaltare i concetti più complessi all'interno di una confezione
perfettamente fruibile.
Real Steel
(id.)
Regia: Shawn Levy
Sceneggiatura: Leslie
Bohem, John Gatins (soggetto di Dan Gilroy, Jeremy Leven, basato sul
racconto Steel di Richard Matheson)
Origine: Usa, 2011
Durata: 127'
1 commento:
Bellissima recensione per un film che, come dici alla fine, purtroppo patisce un po' della sua natura di "prodotto medio".
Godibilissimo, comunque!!
Posta un commento