Midnight in Paris
Gil
è uno sceneggiatore hollywoodiano stanco del suo lavoro e che
vorrebbe fare un salto di qualità realizzando finalmente un romanzo.
La sua relazione con Inez risente di queste frustrazioni, poiché la
ragazza lo ritiene un eterno indeciso con il mito nostalgico degli
anni Venti e, durante un loro viaggio a Parigi, gli preferisce la
compagnia di John, un amico sempre pronto a fare sfoggio della sua
erudizione. Una sera, rimasto solo mentre passeggia per le vie di
Parigi, Gil si ritrova per magia negli anni Venti e ha così modo di
conoscere Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Salvador Dalì,
Pablo Picasso e Gertrude Stein, alla quale chiede consigli per il suo
romanzo. L'euforica esperienza lo porta in breve a dedicare le
giornate alla scrittura e le notti alle avventure nel passato.
Mi
piace pensare a Woody Allen che, fra una session di jazz e una
passeggiata per le vie delle sue città predilette, si fa venire in
mente l'idea di Midnight in Paris,
stimolato dai continui commenti dei nostalgici delle sue prime opere,
sempre lì a rinfacciargli una certa stanchezza registica e a fare
paragoni con il passato. Non che il film sia animato da chissà quale
intento “vendicativo”, si badi, perché Allen è autore troppo
raffinato per star dietro a queste mie fantasticherie: eppure è un
dato di fatto che l'anti-elogio della nostalgia (quella acritica
peraltro) sia il fulcro della storia, ma soprattutto l'epicentro di
un più stratificato discorso sui tentativi che l'uomo (e spesso
anche l'arte) fanno di “fermare il tempo” in un eterno presente
che sia sovrapposto perfettamente ai dettami del passato.
Conseguentemente
il passato diventa non solo la matrice del presente, ma anche l'alibi
più facile per sdoganare se stesso nell'attualità: il riferimento
principale non è al sognatore Gil, ma all'erudito personaggio
dell'ottimo Michael Sheen, che fa sfoggio di sé e ammalia le donne
in virtù della sua conoscenza delle opere del passato. In realtà il
gioco riesce bene perché Allen immerge i suoi personaggi in un
sistema di riferimenti che è emblema della cristallizzazione,
giocando volutamente con un certo effetto cartolina giocoforza
necessario alla sua fiaba per prendere corpo. Il film può dunque
essere visto come un sottilmente ironico atto di elegia verso la
città di Parigi e l'immaginario che essa naturalmente evoca, la sua
funzione di polo attrattore del turismo culturale, per i musei, i
palazzi e anche i paesaggi resi celebri dai quadri di Monet.
Non
appare perciò casuale il fatto che a districarsi dalle maglie di uno
spazio che riverbera se stesso in quanto emblema delle
rappresentazioni passate sia un uomo doppiamente scentrato come Gil:
che è americano e dunque perfettamente dentro
le logiche di fascinazione che solo il turista può provare per
un'altra città; ma è anche uno scrittore, dunque una figura che
conosce i meccanismi dell'affabulazione ed è abituato a rielaborare
e filtrare la realtà per arrivare all'immaginario. A lui spetta il
compito di incarnare la moderna Cenerentola che non deve tornare al
ballo entro la mezzanotte, ma che al contrario proprio allo scoccare
della stessa ora può iniziare il suo viaggio fantastico fra le ere.
Il
passaggio “attraverso lo specchio” di Gil è concertato da Allen
con la levità del giovane sognatore, che applica al suo protagonista
un'espressione perennemente stupita e capace di trasmettere un senso
della meraviglia alquanto sconosciuto a chi gli sta vicino. Ma anche
con una vena più oscura, dove la caratterizzazione dei personaggi
storici, da Fitzgerald a Dalì, gioca tanto con quella che è
l'opinione codificata degli stessi, quanto con un sottile gusto
dissacratorio che sfiora il macchiettismo. A tratti si ha
l'impressione di assistere a un racconto di fantasmi, di anime imprigionate in
un tempo nel quale non si riconoscono, in una girandola di situazioni
che – a vari livelli temporali – evocano sempre lo stesso
atteggiamento insoddisfatto, una sorta di eterna danza della morte
alla Carnival of Souls.
In questo Allen dimostra l'atteggiamento tipico dell'uomo di
esperienza, che sa dunque giocare con la materia che crea
fascinazione, ma al contempo sa anche ridimensionare la stessa
mettendone in scena le fragilità, spesso profondamente umane
(tacendo di autentiche venature negative, evidenti in vizi come
collericità o alcolismo).
Pertanto
Midnight in Paris
riesce a funzionare sia come fiaba, sia come monito al rapporto di
ogni persona con il tempo (proprio e altrui), in un gioco di
riferimenti interni e esterni che diverte e affascina, ma allo stesso
tempo sa mettere in scena riflessioni non banali, pur apparendo
semplicemente ameno: merito di uno stile classico e dunque capace di
gestire l'andirivieni temporale in modo diretto e lineare, lavorando però sulle sfumature. A questo vanno aggiunti un Owen Wilson
finalmente in parte e capace di riscuotere le simpatie dello
spettatore, un eccellente lavoro di casting in generale, e la bella
fotografia di Darius Kondji, uno che di creare atmosfere fantastiche
con la luce se ne intende!
La
risoluzione di tutto ciò è il tentativo del protagonista di
affrancarsi dalle due realtà in cui è imprigionato, passeggiando
sotto una pioggia che letteralmente lava via
quell'aura patinata che staziona fra le immaginarie feste del passato
e l'itinerario turistico e lo sfarzo degli interni prediletti dai
suoceri (e dall'ingrata fidanzata) nel presente. Punto di partenza
ideale per nuove vite e storie, come testimonia l'incontro finale.
In
definitiva ci voleva un giovane vecchio come Woody Allen per creare
una fiaba così stimolante, e capace – con l'arma dell'ironia –
di dirci molte più cose sul presente di quanto non si creda. Chi fa
finta di non accorgersi del suo valore vive fuori dal tempo: chissà,
forse proprio nel passato.
Midnight
in Paris
(id.)
Regia
e sceneggiatura: Woody Allen
Origine:
Francia/Usa, 2011
Durata:
100'
2 commenti:
Un film bellissimo, per me che amo Parigi. E' proprio vero che non si può visitare la città e poi pretendere di vivere altrove... e un grande Woody Allen, che pur non mi fa impazzire. Ma questo film l'ho visto come una specie di regalo, davvero!
Non sono parimenti entusiasta, pur avendolo trovato comunque un buon film, però il Dalì di Brody l'ho trovato davvero entusiasmante.
Ale55andra
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