Un incidente a un sottomarino nucleare americano spinge il governo a chiedere la collaborazione degli operai della stazione petrolifera sottomarina Deepcore: coadiuvati da una squadra di SEAL capitanata dal Tenente Coffey, gli operai, guidati da Bud Brigman, dovranno esplorare il relitto, accertarsi se esistano superstiti, che non ci sia fuoriuscita di materiale radioattivo e, soprattutto, che il relitto, carico di testate nucleari, non cada in mani sovietiche. L’operazione è resa complicata dall’approssimarsi di un uragano, dalle tensioni fra Bud e l’ex moglie Lindsey e dal comportamento di Coffey, che manifesta instabilità emotiva a causa della pressione dell’ambiente sottomarino. Mentre nel mondo la tensione fra i blocchi sale alle stelle, la stazione resta isolata nel profondo degli abissi, dove gli uomini scoprono che l’incidente è stato causato da una razza aliena. Coffey decide di sterminarla, mentre Bud e Lindsey cercano di fermarlo.
C’è sempre una resurrezione, nel cinema di James Cameron, una rinascita propedeutica a quel re-imparare a vedere che connota i suoi più recenti capolavori: nel caso di The Abyss il momento in questione è particolarmente pregnante della poetica dell’autore, poiché non è correlato soltanto alla profondità tematica del testo, ma anche e soprattutto al legame con lo spettatore. Cameron chiede a chi assiste alla scena, dolorosa, intensa, fisicamente devastante, scientificamente anche poco verosimile di credere. Credere che la forza dell’amore, e insieme quella del cinema, riescano a compiere il miracolo di ridare vita a un corpo ormai spento, in virtù della tenacia che il personaggio ha sempre manifestato e della fiducia che il suo congiunto prova. E’ una scena chiave, importante per stabilire un prima e un dopo, ma soprattutto per marcare quello scarto che dalla profonda sovrastrutturazione tecnologica del film permetta di approdare a un finale appassionato nel suo lirismo, senza tirare in ballo facili accuse di retorica.
Tutto parte in fondo da un dialogo fra Bud e Lindsey in cui lei invita il suo uomo a imparare a “guardare con occhi migliori”, per non allinearsi alla visione ossesiva di un Coffey che di fronte alla prospettiva di avere un autentico incontro ravvicinato del terzo tipo vede soltanto un nemico da abbattere, magari una parafrasi dell’Unione Sovietica, paranoia peraltro fondativa di tanto cinema fantastico degli anni Cinquanta, con il quale Cameron entra evidentemente in contrasto. D’altronde è abbastanza evidente come The Abyss si allinei in questo senso alla corrente positivista che negli anni Ottanta aveva già visto transitare sugli schermi lo spielberghiano E.T. e il carpenteriano Starman. Ma gli alieni in questo caso sono un simulacro, una sorta di specchio riflettente, la cui trasparenza serve soltanto agli umani per capire come l’altro non sia necessariamente un nemico, ma una possibilità per imparare a non ripetere i propri errori.
Ecco dunque che il guardare cui si riferisce Lindsey è duplice: da un lato è tentare di superare le rigide dicotomie imposte dalla Guerra Fredda che, all’esterno della stazione sottomarina, consuma quello che potrebbe essere il suo atto terminale (e distruttivo); dall’altro è riscoprire il mare come autentico terreno di coltura della vita, imparandone i segreti che rivelano porzioni di realtà sconosciute, nuove storie e nuove possibilità (e in questo il film anticipa molti temi di Titanic).
La pellicola, d’altra parte, allinea il processo di conoscenza della nuova visione a quello dell’autentico ritorno alle condizioni primarie dell’essere umano. The Abyss non a caso è un film di emozioni forti, intense, non razionali, primarie, che vanno dalla rabbia, all’empatia (Lindsey coglie subito la natura positiva degli alieni pur non avendo prove a riguardo), sino alla meraviglia espressa da un estremamente tenero e gigantesco Ed Harris, che si emoziona nel vedere il proprio viso riprodotto dal tentacolo d’acqua. L’attore dona così al suo Bud Brigman una sensibilità che non mette mai a repentaglio la sua caratura di eroe, ma anzi lo eleva fra i personaggi più carismatici e umani dell’universo cameroniano. Gli è perfetto contraltare una Mary Elizabeth Mastrantonio coriacea come tutte le eroine care al regista canadese, ma anche capace di lasciar emergere attimi di fragilità inaspettata e per questo ancora più emozionante.
The Abyss è in fondo non tanto un film di fantascienza, quanto una storia in cui una coppia ritrova il sentimento che l’aveva unita e che è base della coesione sociale minata dall’ambizione e dal sospetto reciproco (quello che ha prodotto la divisione del mondo in blocchi). La fiducia che i due protagonisti devono lasciar riemergere nel loro rapporto è pertanto quella che rende la visione matura e che va cercata al principio dell’evoluzione umana, laddove il rapporto con l’acqua era profondo, primordiale. Per questo, la discesa di Bud nel fondo dell’oceano ha un valore altamente simbolico: si tratta di riprodurre una situazione amniotica, in cui il corpo si riabitui all’acqua e ridiventi letteralmente bambino (riemerge in questo la matrice spielberghiana dell’opera).
Particolare da non trascurare è il fatto che questo processo di recupero della propria identità umana iniziale passa inevitabilmente per un autentico tour de force tecnologico, cui i personaggi e l’intero film devono sottoporsi (la lavorazione non a caso è stata particolarmente travagliata), manovrando macchinari di ultima generazione, ancora una volta in un rapporto duale che vede il progresso come possibile fonte di guai (la bomba atomica) o come strumento di evoluzione (il liquido ossigenato mediante il quale Bud può effettuare la discesa). Un film da recuperare nell’edizione estesa da 164 minuti che delinea l’affresco autoriale in modo più preciso rispetto al montaggio cinematografico.
The Abyss
(id.)
Regia e sceneggiatura: James Cameron
Origine: Usa, 1989
Durata: 164’ (versione estesa)
Intervista a James Cameron sul film (in inglese)
Visita al set di The Abyss (in inglese)
Pagina di Wikipedia su The Abyss
Trailer di The Abyss
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