"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 18 febbraio 2010

Strange Days

Strange Days

1999. In una Los Angeles degradata, la fine del secolo potrebbe coincidere con quella del mondo: il rapper Jeriko One è stato infatti assassinato, privando la comunità nera di un leader carismatico, che si opponeva agli abusi perpetrati dalle forze di polizia. In questo clima pre-apocalittico si muove Lenny Nero, spacciatore della nuova droga hi-tech, lo SQUID, che permette di rivivere ricordi registrati direttamente dalla corteccia cerebrale altrui. Lenny ha un solo principio: non commercia in Black-Jack, i ricordi incentrati su omicidi, ma si ritrova suo malgrado al centro di un doppio intrigo, che vede un serial killer scorazzare indisturbato e minacciare Faith, la donna che Lenny ama, non ricambiato. Non è tutto: il centro dell’intrigo ruota infatti intorno a un video che mostrerebbe i fatti reali dietro l’assassinio di Jeriko One. Lenny trova aiuto nella vecchia amica Mace, coraggiosa e silenziosamente innamorata di lui.

A rivederlo oggi Strange Days risalta ancora più forte come un grido d’allarme solitario nel caos: presago probabilmente delle potenzialità e dei rischi insiti in un cinema ancorato a visioni del passato e che cerca il suo baricentro nel già visto, il film si spinge oltre. Animato anzi da una grande visione morale, il lavoro di Kathryn Bigelow si concretizza in un energico tentativo di mettere ordine nel magma umano e morale che pure rappresenta. Non a caso la regista tira in ballo il noir come genere di riferimento, quello che si incaricava di dare forma alle zone d’ombra dell’animo umano e che pure, nella sua disperazione mascherata da nichilismo, nascondeva l’intenzione di denunciare la degradazione imperante. D’altronde il noir è uno dei generi fondativi del cinema americano, al pari di quel western che pure è lontanamente possibile vedere in filigrana, soprattutto in rapporto alla matrice carpenteriana del film, che fa di Strange Days al contempo un epigono strutturalmente più elaborato di 1997: Fuga da New York, ma anche un immediato anticipatore della “fine della visione” teorizzata dal terminale Fuga da Los Angeles.

Non un film tecnofobico, però, perché, in ossequio all’altra grande matrice fornita dallo sceneggiatore James Cameron, Strange Days intrattiene un rapporto duale con la realtà che mette in scena, la teme ma al contempo la osserva, la attraversa in ossequio a un’idea di cinema che è prima di tutto fondazione di un universo e che rende il film il più grandioso della Bigelow. Di suo la regista ci mette proprio quel suo sguardo acuto che la porta sempre a chiedersi le motivazioni che spingono i suoi personaggi nelle loro azioni, in un rapporto dialettico con le immagini che è sempre immancabilmente critico e per questo politico. E inoltre ci mette il suo straordinario talento visivo e tutta la sua energia, quella capacità di dare forma a un perenne movimento delle immagini che permettono al film di non perdere un colpo nonostante la non breve durata e che rende la visione, la nostra visione, un autentico tour-de-force emotivo: il risultato conferisce alle immagini una nervosità che sembra premere continuamente sui bordi dello schermo, in perenne equilibrio sull’abisso e che trova nella rappresentazione acrobatica delle soggettive il suo apice. Il rapporto duale con lo spazio e la realtà rappresentata, peraltro, è il medesimo che il protagonista Lenny intrattiene con lo SQUID, di cui è veicolo ma anche consumatore, perché egli stesso ne è artefice (spiegando ai clienti come “inquadrare” i ricordi per permettere ai filmati di ottenere la forza maggiore).

Lenny, anzi, della droga tecnologica rappresenta l’autentica direttrice programmatica poiché la realtà che attraversa è come determinata dalla sua stessa attitudine a rinchiudersi costantemente in un passato che si crede di poter reiterare attraverso l’appropriazione del punto di vista. In effetti l’innovazione teorica più grande che il film mette in scena sta tutta nell’esplicitare l’esproprio del punto di vista già messo in pratica da certo cinema horror (pensiamo ancora a John Carpenter e alle straordinarie soggettive di Halloween), immettendo il rapporto distorto fra osservatore e soggettiva all’interno del racconto. Lo SQUID, così, diventa la riduzione del punto di vista a oggetto di largo consumo e indice di una visualità che ha perso ogni sua direttrice poiché chi vede non è più chi realmente commette l’azione e il ricordo non è una scheggia di passato sepolta nella memoria, ma un’eterna reiterazione di un tempo azzerato nel suo scorrere. In questo senso Kathryn Bigelow non accetta compromessi e va fino in fondo, mostrando le applicazioni della nuova droga in tutti i modi possibili: la confusione dei punti di vista diventa sempre più elaborata quando le vittime delle violenze sono costrette ad assistere dal punto di vista del loro carnefice cortocircuitando definitivamente i ruoli. Il film in questo caso gioca le sue carte più forti, concretizzandosi attraverso una struttura proteiforme, dove le visioni si accavallano e persino i ricordi “veri” (ad esempio il flashback di Mace che illustra il suo turbolento rapporto con l’ex marito) vengono riprodotti come se fossero scheggie di memoria registrate sullo SQUID, mentre le personalità guida (come il rapper Jeriko One) vengono freddamente eliminate e la verità frettolosamente nascosta.

In questa realtà così codificata sono però i sentimenti a dare corpo a una rete di rapporti davvero capaci di sovvertire il caos e restituire al mondo un suo ordine: come Jenny e Caleb ne Il buio si avvicina, l’amore contiene infatti in sé l’antidoto all’oscuro avanzare della distruzione. Ma pure, per comprendere questo sentimento è necessaria una presa di coscienza forte, che permetta a Lenny di smettere di inseguire un passato con Faith ormai concluso e alla stessa Mace di accettare il legame profondo con il protagonista. Mace (la grande Angela Bassett) da questo punto di vista è il vero personaggio di sintesi del film, che unisce in sé la forza delle eroine cameroniane con la fragilità profondamente umana (e che fa necessariamente rima con ricchezza interiore) delle figure del cinema di Kathryn Bigelow, dove i personaggi, pur nel loro muoversi a forte velocità, quasi alla ricerca del proprio limite, sono in ogni caso dotati di una capacità di “sentire il reale” non comune.

Il finale chiude quindi la vicenda con una nota di speranza che però la regista ha la sapienza di mettere in scena come un momento quasi distaccato dal resto, un gesto di volontà, ma anche una possibile realtà alternativa: sta in fondo allo spettatore decidere se sia tutto vero o solo un ennesimo scampolo di visione sfuggita alla caotica realtà.

Strange Days
(id.)
Regia: Katryn Bigelow
Sceneggiatura: James Cameron e Jay Cocks (da una storia di James Cameron)
Origine: Usa, 1995
Durata: 139’

Intervista a Kathryn Bigelow del 1996
Sito dedicato al film (in inglese)
Strange Days su Wikipedia
Trailer di Strange Days

Collegato:
The Hurt Locker

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