Black Christmas
Mentre si preparano a festeggiare il Natale, le ragazze di una confraternita studentesca sono prese di mira da un maniaco che le perseguita con telefonate oscene. Non visto, il mostro si installa nella soffitta del loro dormitorio e miete la sua prima vittima. Le ricerche da parte di polizia e volontari hanno inizio, mentre la giovane Jess deve confrontarsi con una gravidanza indesiderata e un fidanzato che intende imporle le sue decisioni.
NOTA: contiene importanti rivelazioni sul finale.
Agli albori del sottogenere slasher c’è questo cult-movie, per troppo tempo confinato nel limbo degli introvabili, fino alla sua uscita in DVD da parte di Gargoyle Video (di recente è approdato anche nelle edicole mentre nei cinema è uscito l’immancabile e non richiesto remake). L’aderenza del film ai codici espressivi del filone è sorprendente se consideriamo come il progetto preceda di ben quattro anni il capostipite Halloween e provenga da una cinematografia altra come quella canadese, all’interno della quale costituisce un investimento di una certa consistenza: è sufficiente dare un’occhiata al cast, che unisce l’ex kubrickiano Keir Dullea e il veterano John Saxon a giovani promesse come Olivia Hussey (la futura Maria del Gesù di Nazareth, di Zeffirelli) e Margot Kidder (Superman, Amityville Horror), per rendersene conto.
La scoperta dei topoi che il regista Bob Clark ha inconsapevolmente contribuito a codificare costituisce sicuramente l’aspetto più interessante per gli appassionati dell’horror: il film, infatti, anticipa molte trovate del già citato capolavoro di John Carpenter, con l’inizio in soggettiva, l’assassino sfuggente e dal respiro affannoso, la centralità di un gruppo femminile sotto assedio e la telefonata come momento topico dell’orrore - aspetto quest’ultimo, che sarà ripreso in maniera ancora più centrale dall’egualmente invisibile Quando chiama uno sconosciuto, ancora in attesa di una riscoperta. Manca invece il tema della maschera, ma si narra a questo proposito che l’idea stessa di Halloween sia nata da una conversazione che Carpenter ebbe con Clark a proposito di un ipotetico sequel di Black Christmas. Quale sia la verità poco importa di fronte a due progetti sicuramente comunicanti, ma in grado di conservare distinto valore e che hanno contribuito in egual misura a ridefinire le coordinate della paura su grande schermo.
In questo modo l’aspetto realmente interessante del film di Clark sta tutto nel suo segnare il passaggio a una nuova concezione di thriller che si smarca dalla logica ferrea del whodonit di matrice hitcockiana, in favore di una mera performance della tensione: la classica compattezza narrativa lascia dunque spazio a un incedere frammentario che si contenta degli stati d’animo che mette in campo all’interno dei singoli momenti e che pertanto si barcamena fra risvolti thriller e altri più smaccatamente ironici o dissacranti. Altra grande trovata è non a caso quella del periodo temporale all’interno del quale la vicenda si colloca, che permette all’umore nero della vicenda di fermentare in opposizione alla gaiezza iconica del Natale. In questo senso, anzi, il film sembra voler sviscerare la sostanziale ipocrisia di una festa che inneggia alla felicità all’interno di un quadro sociale profondamente disgregato: tra studentesse indisciplinate, governanti ubriacone e poliziotti incapaci, domina soprattutto un’idea generale di profonda indifferenza reciproca, che apre le porte a un afflato distruttivo del quale il killer è epitome. Tutto questo è comunque immerso all’interno di un preciso momento storico (come sempre accade con i lucidissimi horror di Bob Clark), nel quale gli uomini risultano sconcertati di fronte all’emancipazione delle donne, tema esplicitato sia dall’imbarazzo che l’anziano mr. Harrison prova di fronte alla confraternita dove vive sua figlia, sia (soprattutto) dal violento contrasto che si sviluppa tra Jess e il suo fidanzato Peter per il destino del bambino che la ragazza porta in grembo (e a ripensarci oggi che a manifestare una volontà abortiva sia la futura Maria zeffirelliana appare ancora più dissacrante!).
La struttura narrativa si innesta perciò su una realtà come non mai disgregata e la trovata più radicale (e per questo geniale) del film sta tutta nella sua mancata quadratura finale, che suona come il massimo sberleffo possibile alle regole del giallo classicamente inteso. Il movente dell’assassino e la sua identità non vengono rivelate, lasciando sospendere il finale in una agghiacciante incertezza.
Il film trova dunque compiutezza soltanto nei singoli momenti, dove Clark denota, accanto a una perizia tecnica non comune (impressionanti la soggettiva iniziale “acrobatica” sulla scala che conduce alla soffitta dell’edificio e l’omicidio di Margot Kidder su montaggio alternato) un perfetto studio degli spazi, dei suoni e dei giochi di luce, che conferiscono notevole tensione alle singole sequenze thriller: quasi tutto il film è in presa diretta, ed esalta gli scricchiolii delle pareti in legno, le ombre sui muri fino al massimo dell’elaborazione sonora che avviene sulle telefonate, dove il killer passa in rassegna diversi stati d’animo e toni vocali (le voci registrate erano 5!) creando una cacofonia di grande impatto. Da vedere rigorosamente in lingua originale.
Black Christmas – Un Natale rosso sangue
(Black Christmas)
Regia: Bob Clark
Sceneggiatura: Roy Moore
Origine: Canada, 1974
Durata: 94’
2 commenti:
Non ho letto perchè non avendo visto il film non volevo rovinarmi il finale. Però è una di quelle pellicole che non vedo l'ora di vedere. Amo molto l'horror, poi quando è di questo genere (cult per intenderci), non riesco quasi mai a resistere. Cercherò di recuperarlo quanto prima.
Ale55andra
Grazie Ale, sarà un piacere confrontarci quando lo vedrai: comunque, se ti può servire, le rivelazioni sul finale sono concentrate negli ultimi due paragrafi (praticamente dall'immagine di Olivia Hussey in giù), i primi tre sono "puliti" e puoi leggerli anche per le informazioni che contengono.
A presto.
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